Il Tempio di Demetra a Cirene

 

Sono in uscita due articoli scientifici che parlano dell’argomento. Siamo in zona archeologia, ma molto molto distanti dalle piste battute. C’entra la storia, c’entra lo scavo, c’entra la ricerca. C’entrano la rete e il traffico internazionale di beni culturali. C’entra anche Cirene, l’antica colonia greca sulle coste del Mar Mediterraneo. C’entra infine l’Università di Urbino, che in questo sito archeologico è presente a partire dal 1957, la prima a tornare in Libia dopo il conflitto mondiale. Oscar Mei, docente di Archeologia classica e attuale direttore della Missione è stato in Libia a più riprese e ha vissuto in prima persona tutto ciò di cui stiamo per scrivere.

Professore ci introduce al tema?

Stiamo parlando di lotta al traffico illecito di beni culturali. Sono in uscita nelle riviste Quaderni di Archeologia della Libia e Libya Antiqua due articoli su due distinti recuperi portati a termine in Libia che hanno sottratto al mercato nero alcune iscrizioni e statue provenienti da scavi clandestini.

Valore economico?

È un mercato rilevante, nel caso specifico parliamo di decine di migliaia di euro a pezzo, con alcune sculture offerte anche a cifre che si aggirano tra i 500.000 e gli 800.000 dollari.

Partiamo dall’inizio, quando l’Università di Urbino avvia questo tipo di attività.

La collaborazione con il Dipartimento di Antichità della Libia e con altri enti internazionali, in particolare la Missione francese e dell’Università di Chieti in Libia nella lotta al traffico delle opere d’arte provenienti dal Nordafrica inizia subito dopo la cosiddetta “Primavera araba”. Con l’arrivo di Daesh nelle zone di Derna, Bengasi, Sirte e Sabratha si è resa necessaria un’azione di contrasto agli scavi clandestini e all’abuso edilizio che, nonostante le leggi libiche di tutela del patrimonio e a causa della mancata autorità delle istituzioni locali, hanno proliferato. Contemporaneamente uno studioso francese, Morgan Belzic, comincia ad occuparsi di traffico internazionale di beni culturali, dando vita ad una rete di protezione del patrimonio a cui collaborano, oltre agli enti già citati, altre missioni archeologiche in Libia (ad esempio quella americana e quella inglese) e organizzazioni internazionali come l’Unesco. Nel gruppo urbinate, insieme a me, ci sono gli assegnisti di ricerca Filippo Venturini e Lorenzo Cariddi. Oggi che l’esercito libico ha cacciato l’Isis da Bengasi, Derna e altre città, il fenomeno ha subito un rallentamento ma non si è esaurito.

Un esempio di abuso edilizio nel sito archeologico del Tempio di Demetra a Cirene

Quali sono i mercati di destinazione delle opere trafugate?

I pezzi finiscono nelle case d’asta, spesso occidentali, attraverso un canale che passa per i paesi mediorientali. Una volta che il percorso è compiuto viene ripulita la loro fedina, così da oscurarne la collocazione originaria. Sulla carta d’identità di manufatti e reperti rimane soltanto l’etichetta “provenienza incerta” e la casa d’asta si impegna a tutelare l’anonimato del venditore.

Chi sono gli acquirenti?

Molto di frequente altre case d’asta che comprano all’ingrosso e rivendono al dettaglio a facoltosi collezionisti privati europei, americani, russi e anche orientali.

Come si attiva la rete di tutela?

Solitamente le immagini dei manufatti compaiono nei siti specializzati, che passiamo al setaccio. Non appena sorgono dei dubbi sulla possibile provenienza da siti archeologici come quello di Cirene si contattano gli altri capi missione e si redige un report firmato da tutti i partners (emergency report), allegando infine una breve scheda del pezzo. Verificato che ci siano elementi sufficienti per provare che si tratti di un reperto trafugato illegalmente si trasmette il dossier all’Interpol o ai Carabinieri del Nucleo Protezione Beni Culturali che agiscono nei confronti delle case d’asta cercando di bloccarne la vendita.

Come si risale alla provenienza da una semplice immagine intercettata in rete?

Sono fondamentali le conoscenze e le competenze di archeologi ed esperti di antichità. Si ricostruisce l’identikit di un manufatto cercando di coglierne i dettagli stilistici. La nostra Università, come le altre che lavorano da tempo in Libia, può vantare un’esperienza di lungo corso e una familiarità con le antichità di Cirene.

I manufatti di quella che viene definita l’Atene d’Africa da che cosa sono riconoscibili?

Abbiamo principalmente due o tre tipologie. I busti funerari femminili sono certamente i più caratteristici.

Poco fa abbiamo parlato del valore economico del mercato nero, ma qual è il danno arrecato all’eredità materiale e immateriale?

Nel caso di Cirene le conseguenze non coinvolgono la città, ma la necropoli, le zone circostanti e quelle più interne del territorio. I danni dell’abuso edilizio, a cui si collega il mercato nero, sono enormi. Dal 2014 i vecchi proprietari hanno ripreso possesso di quelle che considerano le loro terre, i bulldozers hanno distrutto tombe e statue e al loro posto sono state costruite nuove case che minacciano di destinare il passato all’oblio.

Il professor Oscar Mei davanti ai resti della necropoli di Cirene

Scossero il mondo le immagini della distruzione di statue e bassorilievi a Mosul da parte dell’autoproclamato Stato Islamico. Il mercato nero scrive un capitolo diverso del rapporto fra opere d’arte e Isis?

Quello fu soprattutto un atto simbolico, l’arte trafugata in realtà, come dicevo, è stata una delle fonti di finanziamento. In una mostra promossa di recente dal Dipartimento delle Antichità della Libia c’era una sezione interessante dedicata alle opere sequestrate ai capi del Daesh, tra cui una statuetta egizia e una mesopotamica che poi si è scoperto essere dei falsi. Erano pronte per il mercato nero.

C’è un’“indagine” archeologica che è stata particolarmente difficile?

Ricordo un’opera della quale era sconosciuta la provenienza. La polizia libica aveva recuperato una bellissima statua di donna seduta con un’iscrizione che riportava nome e cognome. Era stata riconsegnata alle autorità da un cittadino privato che poi ci ha accompagnati sul luogo del ritrovamento, una tomba completamente distrutta. Grazie al confronto tra le foto più recenti e le immagini satellitari di qualche anno prima siamo riusciti a ricostruire il contesto e a individuare la collocazione originaria pubblicando poi i risultati.

Gli studenti vengono coinvolti in questa caccia alle opere di Cirene nelle aste internazionali?

A lezione spieghiamo queste attività meno note dell’archeologia, ma la partecipazione per ora è riservata ai dottorandi e agli assegnisti di ricerca, in possesso di maggior esperienza. Tuttavia anche gli studenti possono essere coinvolti in questo lavoro ed arricchire così la loro preparazione universitaria. Si tratta di un settore di ricerca molto particolare che il nostro Ateneo può offrire grazie alla presenza della Missione Archeologica in Libia.

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