Da bambino aveva il sogno della magistratura, era interessato al modo in cui la società risponde alla criminalità. “Mi affascinava la problematicità del fare giustizia”. L’accento tradisce le origini siciliane ma ci sono anche le Marche nel suo parlato, regione dove si è trasferito da piccolo. Alessio Infantino, 29 anni, è – si può dire – laureato da pochi anni in Giurisprudenza e, al tempo stesso, già in carriera. La discussione della tesi soltanto qualche anno fa non gli ha impedito di mettere insieme molte esperienze lavorative e formative nell’arco di pochissimo tempo.

Alessio di che cosa ti occupi oggi?

Sono avvocato penalista, ho superato l’esame di abilitazione e tra settembre e ottobre mi iscrivo all’albo.

Rifacciamo il percorso che porta fin qui.

Ho studiato Giurisprudenza all’Università di Urbino. Dopo la laurea, nel 2016, ho iniziato un tirocinio formativo presso il Tribunale di Pesaro, 18 mesi entusiasmanti vissuti al fianco di un magistrato. 12 circa nel settore penale – ufficio del dibattimento penale e GIP-GUP, 6 mesi nel settore civile.

Qual era il tuo lavoro?

Redigevo bozze di provvedimenti e assistevo allo svolgimento delle udienze. Questo mi ha permesso di calarmi immediatamente nella concretezza dei fatti, di non rimanere ancorato al mondo delle pure idee.

Dopo il tirocinio formativo qual è stato il tuo percorso?

Sono rimasto a Urbino, dove già stavo svolgendo un dottorato in diritto penale che ho proseguito durante la pratica forense. Nello specifico in materia di corruzione. Il titolo della mia tesi era esattamente: Delitti di corruzione, tra empiria e norma, repressione penale e prevenzione amministrativa. Semplificando, una riflessione su come il sistema giuridico replica al problema della corruzione (svetta la recente legge cosiddetta Spazzacorrotti) e sulla strada che stiamo percorrendo o che, in alternativa, dovremmo percorrere.

Tutte queste esperienze come ti hanno cambiato?

Fin da piccolo volevo fare il magistrato. Durante la pratica ho percepito il valore civile della professione forense, così ho aggiornato le mie coordinate. Occupandomi di diritto penale d’impresa e amministrativo, avendo come interlocutori imprenditori e funzionari pubblici, affrontando casi di impatto economico e sociale ho colto il senso profondo dell’avvocatura.

In buona sostanza hai cambiato idea sul futuro…

Non proprio, sono comunque iscritto al prossimo concorso in magistratura, non escludo la percorribilità di questa strada, lascio la porta aperta!

Prima che cosa ti impediva di guardare al valore civico della professione?

I media solitamente rappresentano l’avvocato come azzeccagarbugli, come limite all’affermazione della giustizia. Non è così: considerato che non esiste una verità totale, che la verità umana (quindi processuale) è sempre fragile, il contraddittorio è un modo per ricercarla, per riaffermare il diritto. Questo concetto lo si incontra infinite volte nei volumi di testo, ma quando scopri i volti delle persone dietro all’applicazione delle norme lo comprendi davvero.

Che cosa ti affascina del tuo lavoro?

Amo maneggiare le leggi, prendere la norma e scucirla. Mi piace il fatto che il diritto sia una forma mentis che si acquisisce giorno per giorno, un pungolo quotidiano al miglioramento!

C’è qualcosa che ti è stato di particolare aiuto nel corso della tua formazione?

I maestri, senza i quali non si va lontano. Ho avuto la fortuna di trovare dei forti punti di riferimento che negli anni mi hanno sempre accompagnato.

La scelta del dottorato invece come è arrivata?

Viviamo una società complessa, è necessario immergersi nel mondo del lavoro, ma è altrettanto necessario continuare a studiare, aggiornarsi, rimanere curiosi. Il dottorato è stato lo strumento che mi ha consentito di affinare il mio bagaglio culturale, una notevole occasione di crescita.

Vivi e sei cresciuto nelle Marche, ma le tue origini sono siciliane. Nell’esercizio della professione c’è traccia delle tue radici?

La passione per il diritto nasce dalla necessità di dare una risposta ai problemi della mia terra, dove ho trascorso i primi anni di vita. Questa spinta emotiva l’ho razionalizzata leggendo Sciascia, il quale si arrovella molto sui temi della giustizia. Nelle pagine di questo autore ho respirato l’importanza del garantismo nell’approcciare i problemi del nostro tempo. Ne Il giorno della Civetta il capitano Bellodi soffre l’angustia in cui la legge lo costringe a muoversi e vagheggia un eccezionale potere; immediatamente tornano alla sua memoria le repressioni di Mori, il fascismo, e ritrova la misura delle proprie idee. Ecco, la vita che muove fuori dal ‘freddo e alieno diritto’ insegna molto al giurista. Tento di rifuggire dall’atteggiamento di chi, come uomo di legge, si richiude nella norma astratta e nega l’apertura a universi differenti dal proprio, compreso quello letterario. Mi pare sintomo di pigrizia trincerarsi nel proprio microcosmo giuridico. Questa carnalità del diritto mi appassiona, non a caso la mia tesi di dottorato si intitolava Delitti di corruzione, tra empiria e norma, repressione penale e prevenzione amministrativa.

È un tema filosofico, oltreché etico e deontologico.

In un certo senso. A esempio, chi si occupa di corruzione in Italia non può non confrontarsi con il periodo di Tangentopoli, altrimenti non si comprende lo sviluppo dell’attuale diritto penale anticorruzione, l’atteggiamento che sta dietro alla legge Spazzacorrotti. Magistrati e avvocati sono uomini del loro tempo, che preme alle porte e con il quale il confronto è inevitabile. Una particolare cautela si impone al giudice, che deve fuggire alla tentazione di modellare la norma in base al gusto personale o alla passione del momento. Il fare giustizia, proprio per questa ragione, è un potere che va sofferto, implica questa separazione da sé. Il maneggio di questo potere – per dirla con Sciascia – richiede di assumerlo come dramma, come sforzo quotidiano di applicare la norma in quanto tale. Diversamente la libertà dei cittadini sarebbe rimessa alla totale incertezza. La massima anglosassone per cui the law is what the judge ate for breakfast indica una tendenza da rifiutare: la decisione giudiziaria non può e non deve dipendere da ciò che il giudice ha mangiato per colazione.

Università uguale?

Maestri, docenti che ti dedicano i loro tempo, che ti chiedono il tuo pensiero, la tua opinione. La considerazione è un fattore di stimolo molto importante.

Come inizia solitamente la tua giornata lavorativa?

Arrivo in studio e leggo il giornale, il miglior manuale di diritto penale. Questa lettura mattutina è un prezioso momento di confronto con i colleghi. Poi arriva il duro confronto con le carte processuali!

Orientamento allo studio e al lavoro. Quali consigli puoi dare?

Il primo passo è cercare di conoscersi, comprendere le proprie aspirazioni, non cadere nella mediocrità dove tutto è fatica, non navigare a vista, in balia degli eventi. Darsi obiettivi a lungo termine, la determinazione arriva poi con il piacere di fare ciò che si sta facendo.

Ne è valsa la pena?

Si, se ci si mette passione alla fine si arriva. Anzi, si cammina perché è una continua partenza.

Pin It on Pinterest

Share This