Elena Patrizi con la mano sinistra pigia sui tasti una nota di fondo sempre uguale, che ha che fare con i suoi obiettivi, cristallini e fermi. Ciò che cambia sono gli accordi, che danno una musica imprevedibile. Nata a Pordenone nel 1989, cresciuta a Fano, laureata con 110 in Giurisprudenza alla Carlo Bo, da tempo vive a Ginevra dove svolge il dottorato in diritti umani e dei minori. Nel frattempo è anche assistente all’Università di Ginevra.

Ginevra perché?

È una storia lunga.

È il luogo giusto per raccontarla.

Il Centro nel quale mi trovo è specializzato in diritti umani e dei minori ed è interdisciplinare e Ginevra è la città sede delle Nazioni Unite, la più importante dopo quella di New York. Ospita inoltre 200 organizzazioni internazionali come l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, il Comitato della Croce Rossa Internazionale, l’Alto Commissariato per i Rifugiati e il Consiglio per i diritti umani, organo sussidiario dell’Assemblea Generale dell’Onu per la tutela e la promozione dei diritti umani. Qui c’è il cuore di un sistema, è il luogo per eccellenza per approfondire certi temi. Molti trattati internazionali sui diritti umani sono stati firmati in questa città.

Diploma in?

Ho fatto il Liceo delle scienze sociali a Fano.

Volevi fare l’insegnante?

No, odiando la matematica ho escluso lo scientifico. Poi mi piaceva molto il diritto.

Qual è stato il detonatore del tuo interesse per questo particolare aspetto del diritto?

Lo studio è il primo passo per il rispetto dei diritti umani, è fondamentale sapere quali strumenti impiegare, conoscere le convenzioni, i trattati. Spesso si pensa che ci sia dell’astrazione nell’impianto di carte e accordi. Non è così, stiamo parlando della quotidianità di tutti: di lavoro, scuola, famiglia. I diritti umani corrispondono ai beni essenziali della persona. Da sempre ho sentito il bisogno di capire le sfide e i challenges di questo sistema. L’innesco definitivo probabilmente è stato il mio prof di diritto internazionale, Luigi Mari, che è stato mio relatore. Dopo l’Erasmus mi propose una tesi sul diritto europeo, di lì in avanti ho voluto in qualche modo seguirne le tracce. Anzi, un indirizzo a tutto ciò che è venuto dopo è stato proprio il curriculum del professor Mari. L’ho letto e riletto più volte, per scoprire quale fosse il suo percorso formativo, che ha ispirato ad esempio la mia esperienza post-laurea presso l’Accademia di diritto internazionale dell’Aia nell’ambito di una summer school.

Un passaggio importante nella tua vita da universitaria?

Quando ho colto la possibilità di partecipare al programma Erasmus, lì è cambiato qualcosa, definitivamente. Da sola, per 5 mesi, in una città sconosciuta, all’Université XI Paris Sud. Ero molto titubante sulle prime. A esperienza finita mi sono detta che volevo vivere in un ambiente internazionale. Così, presa la laurea, sono partita per Londra. Ho frequentato un corso di lingua inglese per circa 8 mesi mentre lavoravo come baby sitter. Quel corso era propedeutico ad un altro passaggio della mia vita.

Quale?

Il master LL.M in International Humanitarian Law and Human Rights dell’Accademia di Ginevra, uno dei più prestigiosi nel campo dei diritti umani. Per poter inviare l’application era richiesta una buona conoscenza della lingua inglese, così ho deciso di seguire un corso a Londra.

Come è andata la tua candidatura?

A maggio 2015 sono partita per Ginevra dove vivo da ormai 5 anni. Nella classe del master sono state ammesse meno di 50 persone provenienti da tutto il mondo.

Nel tuo passato c’è mai stato spazio per l’avvocatura?

Proprio mentre mi trovavo a Londra, sono stata contattata da uno noto studio romano specializzato in diritto bancario e finanziario, tra i più quotati in Italia e all’estero. Avevano letto il mio curriculum (nel frattempo curiosavo tra le posizioni aperte) e mi hanno chiamata per la pratica forense. Semplicemente non era la mia strada. Dopo due mesi a Roma ero già sul volo di ritorno per la Svizzera.

Hai sempre avuto il coraggio di tentare cose nuove?

Ho sempre avuto degli obiettivi chiari, non mi lancio mai nel vuoto, ho una spinta interiore, delle ambizioni che mi proiettano verso la novità. Quando ho individuato qualche punto fermo allora sì, mi butto.

Facendo il calcolo dei rischi che cosa non ti saresti mai aspettata?

Se mi avessero detto che avrei vissuto a Ginevra non ci avrei creduto. Non avrei creduto a una mia esperienza in ambasciata, a una mia esperienza in una agenzia di stampa giapponese. Da studentessa di liceo non avrei creduto a tante altre cose di me.

C’è l’imbarazzo della scelta. Mettiamo a fuoco intanto l’esperienza in ambasciata.

È successo quasi alla fine del master. Ho avuto modo di entrare nella delegazione dell’ambasciata di San Marino presso il Palazzo dell’Onu di Ginevra. È stata una parentesi interessantissima da cui ho imparato tante regole della diplomazia: la negoziazione, la mediazione, il compromesso, il dialogo… Un cassetta degli attrezzi che mi è servita anche in seguito.

Come sei finita invece in un’agenzia di stampa giapponese?

Dato che l’esperienza in ambasciata non era remunerativa mi sono cercata una fonte di reddito. Ho inviato il mio curriculum a Kyodo News Agency che, per inciso, è una delle più importanti in Giappone. Loro cercavano una persona esperta in diritto internazionale, che parlasse inglese e francese e da accreditare presso l’Onu: io. Nemmeno sapevo che dentro le Nazioni Unite ci fosse un settore interamente dedicato ai media. Mi sono ritrovata a fianco dei corrispondenti della BBC e della CNN, accanto a giornalisti di mezzo mondo. All’inizio facevo cinque giorni la settimana in ambasciata e due lavorando per l’agenzia. Finita la prima esperienza mi sono ritrovata “corrispondente” a tempo pieno. È stato super interessante, ho capito la delicatezza del ruolo di chi fa informazione e comunicazione. Mi è capitato di intervistare il direttore generale dell’Onu e mi sono occupata tantissimo di questioni commerciali, ma anche di disarmo, argomenti che interessano molto i giapponesi. Ho assistito inoltre a molti colloqui sui trattati internazionali.

Oggi hai cambiato di nuovo pagina.

Sì, sono dottoranda della Facoltà di diritto dell’Università di Ginevra e assistente presso il Centro per gli studi sui diritti dei bambini, che si trova a Sion. Il direttore, il professor Karl Hanson, è anche mio direttore di tesi e docente di diritti dell’infanzia noto a livello internazionale. Ciò che faccio, principalmente, è scrivere la mia tesi di dottorato.

Che parlerà di?

Collocamenti forzati di minori in Inghilterra e in Svizzera durante la seconda metà del ‘900. In questo periodo molti bambini venivano rimossi forzatamente dalle famiglie di origine, sempre di ambienti poveri, per essere inviati nelle colonie inglesi. Stessa cosa capitava in Svizzera. Nel caso inglese si pensava così di avere una rappresentanza bianca e di lingua inglese nelle colonie. Nel caso della Svizzera i minori venivano inviati nelle fattorie di campagna, dove non c’era scolarizzazione. Ci sono casi in tutta Europa. Sono in corso riparazioni economiche per le vittime di questo fenomeno. C’è un tentativo di ricostruzione della memoria, commissioni di ricerca dedicate stanno facendo luce su ogni singolo episodio, stanno analizzando le norme vigenti all’epoca nei diversi Paesi. Il risarcimento, almeno morale, passa anche attraverso monumenti e luoghi intitolati alle persone che hanno subito questo abuso. Qui si sta parlando molto di una Casa dell’altra Svizzera per dare voce alle vicende di tanti minori sradicati dalle famiglie.

Il tuo lavoro di scrittura su che cosa si fonda?

Sullo studio delle carte conservate nell’archivio di Stato svizzero. La maggior parte delle vittime riesce a recuperare la memoria di quanto accaduto a partire dalle anomalie riscontrate durante l’infanzia. Genitori che hanno riservato un trattamento diverso a questi “figli rubati”, oppure che sono finiti in istituti, sono primi indizi, anche se non sufficienti, per risalire alla verità storica.

Come trascorri le tue giornate?

Scrivo la tesi, faccio ricerca bibliografica, mi confronto con gli studenti, tengo qualche corso e correggo le prove d’esame. Quando è possibile vado a teatro, al Victoria Hall, frequento i musei, in particolare il Museo Etnografico e il Museo internazionale della Croce Rossa. Sto facendo un corso di flamenco, la danza è una delle mie passioni, ho studiato danza classica. Ascolto musica, leggo.

Il libro che attualmente è sul tuo comodino?

Pastorale americana, di Philip Roth.

Quanto c’è di casuale negli incontri fatti, nelle occasioni che hai avuto?

Di casuale c’è poco, tutta la mia storia comincia a Urbino, dove ho vissuto gli anni più belli e dove mi sono dedicata tantissimo allo studio. Tutto questo ha preparato il mio percorso futuro. L’unico caso semmai è nei numeri: sono nata nel 1989, anno della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Onu.

In che rapporti sei rimasta con la città di Urbino?

Sono legatissima, mi manca. Ogni volta che rientro in Italia Urbino è una tappa fissa. È sempre un piacere passeggiare costeggiando Palazzo Ducale. Ho degli amici che sento ancora. Due compagni di corso sono diventati da poco notai.

Una “classe” vivace…

Eh sì.

Quali programmi ci sono in vista?

Non amo fare piani, non serve, la vita cambia e ti sorprende. Chissà, magari un giorno tornerò in Italia per fondare un centro sui diritti dell’infanzia. Urbino, città patrimonio dell’umanità, sarebbe il luogo ideale dove studiare e approfondire questa importante e attuale materia!

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