Si laurea a Urbino in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche, vince il Dottorato di Ricerca in Scienze della Vita, Salute e Biotecnologie (curriculum in Scienze Biochimiche, Farmacologiche e Biotecnologie) della Carlo Bo e sceglie di integrare la formazione alla ricerca scientifica nei laboratori del Center for Neuroscience Research  interni al Children’s National Medical Center di Washington D.C.: una tra le maggiori cliniche pediatriche degli Stati Uniti.
Si chiama Giulia Riparini e dei suoi primi sei mesi al di là dell’oceano racconta …

 

Leggevo alcuni papers inerenti al lavoro che stavo svolgendo a Urbino nell’ambito del dottorato di ricerca e, in particolare, mi ha incuriosito il progetto di un gruppo di ricercatori del Children’s National Medical Center e ho pensato che mi sarebbe piaciuto fare un giro nei laboratori di Washington D.C. e partecipare direttamente a quel tipo di indagine.

 

Ne ho parlato con il mio tutor, il Professor Walter Balduini (n.d.r. docente di Farmacologia e Delegato del Rettore per l’Erasmus), insieme abbiamo avviato la procedura di contatto e richiesta di collaborazione, via skype ho fatto il colloquio di accertamento delle competenze linguistiche e due settimane dopo ho ricevuto l’attesissima risposta!
Non dimenticherò mai quel momento: ero a pranzo con i miei genitori quando ho letto la mail… ho pianto di gioia e loro con me.

Ci incuriosisce molto il tuo progetto di ricerca.

Il progetto a cui sto lavorando è completamente nuovo per me, come nuove sono le tecniche di analisi che sto utilizzando. In particolare, mi occupo di analizzare il ruolo dell’Endothelina 1 neIlo sviluppo degli oligodendrociti neuronali a livello della zona subventricolare e nella sostanza bianca.
L’argomento è molto interessante e lavorare in una struttura così importante mi permette di avere a disposizione tecnologie e strumentazioni con cui non ho mai lavorato prima. È molto stimolante! Inizialmente era previsto che rimanessi a D.C. per sei mesi, ma poi ho deciso di estendere il traineeship per la durata complessiva di un anno.

Il primo giorno al Center for Neuroscience Research?

Quando sono arrivata nel mega laboratorio mi sono guardata intorno e ho detto: ma no, ma veramente?
Vittorio Gallo, Direttore del Centro di Neuroscienze, mi ha presentato ai colleghi durante il weekly center meeting, proiettando su un grande schermo le immagini di Urbino per mostrare i luoghi da cui provengo. È stato emozionante!
Sono stata accolta con grande calore e anche in seguito mi sono sempre sentita supportata dal mio gruppo di ricerca. Di sicuro al suo interno la competizione esiste, ma è una competizione sana e costruttiva: nessuno cerca di ostacolare l’altro in alcun modo.

Il gioco di squadra valorizza, quindi, la performance del singolo e del gruppo stesso?

Sì. I miei colleghi sono molto preparati, brillanti, sempre pronti a collaborare e aiutare. Un’esperienza fondamentale della nostra settimana lavorativa è quella del central meeting: ogni sette giorni, un membro del “lab” presenta al gruppo i dati della propria ricerca creando le condizioni per un reciproco scambio di idee e prestando grande attenzione alle eventuali osservazioni, mai percepite come critiche sterili ma come spunti, come possibilità di arricchimento.

 

Quando è arrivato il mio turno ho affrontato il primo meeting con grande timore, perché per me era una novità assoluta; il secondo invece mi è piaciuto molto, sono arrivata lì tranquilla, avevo i miei dati li ho presentati e insieme li abbiamo discussi. È un momento molto atteso da tutti perché dà la possibilità di far vedere cosa sai fare, e quindi, eventualmente, di aspirare anche a qualche collaborazione o a fondi per la sponsorizzazione del tuo progetto.

Tentiamo un primo bilancio. La formazione universitaria italiana, tra le aule e i laboratori della Carlo Bo, supporta la tua ricerca negli States?

Per quella che è la mia esperienza, credo che la formazione universitaria italiana abbia il vantaggio di essere più ad ampio raggio rispetto a quella americana che è, a mio avviso, più specifica e settoriale. Di conseguenza, il percorso di studi svolto all’Università di Urbino mi è certamente utile perché le conoscenze e le competenze di base che negli anni ho acquisito mi hanno consentito, e mi consentono, di affrontare l’esperienza della ricerca anche all’estero.

 

Ovvio che negli Stati Uniti la ricerca scientifica gode di molti vantaggi. In primis, è sicuramente ben finanziata: ho bisogno di un reagente? La settimana dopo ce l’ho. Chiedo una colonia di topi per il mio esperimento la ottengo.
Lavoro con strumentazioni ad alta risoluzione e costose, utilizzo un microscopio confocale e il two-photon microscope con cui i neuroni sembra di toccarli!
Per questa e per molte altre buone ragioni, ai dottorandi del nostro Ateneo consiglio senz’altro di partire per un periodo di studio in altri laboratori del mondo.

Racconti di luoghi e microscopi e riesci ad emozionarti! Straordinario… Cosa significa per te questa esperienza?

È qualcosa che ho fortemente voluto e che ho realizzato da sola.
E, credimi, non è stato facile. Tutto l’iter burocratico, a partire dalla richiesta del visto, è complicatissimo e richiede molto tempo. Quando ti ritrovi in una grande città da sola hai bisogno di costruire nuove relazioni, trovare nuovi amici, ricreare un po’ il tuo “microambiente”.
Inoltre, lavori in contesti inizialmente estranei, con persone appena conosciute e comunichi in una lingua che non è la tua.

 

Quando sono arrivata ho dovuto studiare tanto per capire cosa stavo facendo, perché e come dovevo farlo.
Quindi niente è stato facile, però l’ho fatto e questo mi ha permesso di crescere professionalmente e personalmente.

Sei mesi a Washington D.C. e senti che qualcosa cambia. Come cambia Giulia?

In generale mi sento più forte, estroversa, più decisa. Ormai ho il mio gruppo di amici, per la maggior parte giovani europei che ho conosciuto fuori dal Children’s. Esco nel weekend, quando posso organizzo house party e cucino per tutti, non per forza spaghetti, tanto la fantasia italiana sa colorare qualsiasi piatto!
In ambito lavorativo, ad esempio, il fatto di avere la responsabilità di una parte del progetto e, quindi, di decidere come strutturare l’esperimento mi ha dato maggiore sicurezza.

 

E soprattutto, lavorando in un laboratorio che si trova all’interno di una clinica pediatrica, mentre cammino tra un corridoio e l’altro o sono seduta a un tavolo della caffetteria osservo questi bimbi affetti da patologie anche molto complesse, guardo i genitori che li accompagnano e capisco davvero perché voglio fare questo lavoro, e riscopro ogni giorno il senso più profondo della ricerca.

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