Alessandro Stefanelli presto sarà un restauratore. C’è da giurarlo. Come si fa ad esserne così sicuri? Si capisce dalle frasi che mette in fila e che, alla roulette delle professioni, farebbero puntare su questo finale anche il più cauto degli scommettitori. Nell’arte del conservare e recuperare, del prendersi cura di un’eredità, modalità di concepire l’antico piuttosto moderna, ci si è ritrovato in mezzo senza averlo progettato. Ma vanno così le storie. Poco importa se quel che più si avvicina a noi, a ciò che saremo e siamo, viene a prenderci senza citofonare in anticipo e sottoforma di un mestiere fino a quel momento sconosciuto. Conta invece la risposta, conta iniziarsi a preparare per uscire fra le cose del mondo con coraggio e determinazione.

Quinto anno di Conservazione e Restauro dei Beni Culturali giusto?

Giusto.

E sei di…?

Casarano, in provincia di Lecce.

Quando e come hai deciso che questo corso sarebbe stato il tuo cantiere formativo?

In quarta superiore, frequentavo il liceo artistico. In quel periodo pensavo che avrei studiato architettura e design, poi la scuola ha organizzato un’esperienza di alternanza scuola-lavoro. Si trattava di un laboratorio di restauro: mi sono trovato alle prese con una cornice settecentesca. Ho ricevuto così le prime istruzioni teoriche del mestiere. Ancor più importante, quel che pensavo sul mio futuro non ha avuto un secondo di vita in più nella mia capa. Ho scoperto la mia passione! Improvvisamente il desiderio è stato essere a tu per tu con un’opera d’arte, avvicinarmi, poterla toccare.

Come colpito da una freccia…

Sì, una freccia “avvelenata” di artigianalità e studio. Una combinazione molto affascinante.

Finito il liceo che cosa è successo?

Lunghe traversate nell’oceano web. Avvisto il faro Uniurb, attracco, decido di tentare. Il mondo della conservazione dei beni culturali è pieno di scuole di pensiero. Alla Carlo Bo sono tutte ben rappresentate, la provenienza dei docenti è eterogenea. Perciò ho pensato che sarebbe stato utile formarmi laddove il corso di studio è più completo.

Quindi?

Nell’ordine: ho partecipato agli open day, superato l’esame di accesso.
Tre prove:

  • la prima: sulla base di un’immagine data dovevamo riportare le linee del disegno in scala;
  • la seconda: ricostruzione mimetica delle porzioni mancanti di un dipinto intervenendo con matita e acquerelli;
  • la terza prova: verifica orale sulle tecniche di restauro, sulla storia dell’arte e sulla chimica per il restauro.

Dopo questo step iniziale, qual è il mondo che ti si è spalancanto davanti?

Un mondo organizzato, dove il rapporto con i docenti è un plus notevole, che ti facilita la vita. Un mondo complesso, con molti insegnamenti diversi al suo interno che richiedono prontezza culturale e flessibilità. Questo tuttavia (lo dico a chi, sbagliando, si lascia spaventare prima ancora di cominciare) non preclude a nessuno il corso. Il perché è molto semplice: si parte dal livello zero e c’è soltanto una condizione necessaria.

Sarebbe a dire?

La condizione necessaria è la disponibilità a mettersi in gioco. Quindi servono altre due caratteristiche: sensibilità e senso di responsabilità.

Quanto tempo viene dedicato all’attività di laboratorio?

Molto. Il primo e terzo anno le ore previste sono 500, il secondo e il quarto 750, mentre il quinto 250. Il mestiere di restauratore richiede manualità, perciò è necessario intrecciare studio ed esperienza sul campo.

Quali sone le tipologie di laboratorio?

Ci sono cinque laboratori. Faccio l’elenco?

Sì.

Allora…

  • Laboratorio 1: restauro dipinti su tela, (500 ore);
  • laboratorio 2: restauro dipinti su tela (750 ore);
  • laboratorio 3: restauro opere lignee e dipinti su tavola (500 ore);
  • laboratorio 4: restauro opere lignee e dipinti su tavola (750 ore);
  • laboratorio 5: opere d’arte contemporanea (250 ore).

Quest’anno le cose sono un po’ cambiate per cui meglio consultare la scheda del corso.

Come affronti gli esami? Sei di quelli che setacciano anche le virgole nelle note e si organizzano le giornate di studio?

No, no. Sono uno che si riduce all’ultimo momento, per concentrarmi al massimo ho bisogno di sentire l’acqua alla gola.

Argomento attuale…?

Sto lavorando al restauro di un’opera da presentare con la tesi di laurea per ottenere la qualifica di restauratore.

Che cosa significa diventare restauratore?

Significa poter intervenire su opere sottoposte a tutela da parte del Ministero per i Beni e Attività Culturali. Il restauratore è un medico, nientemeno, di opere d’arte. È un dottore della storia che conserva la salute del patrimonio artistico prolungandogli la vita e permettendo alle generazioni di conoscere ciò che è stato fatto molto tempo prima.

Qual è l’opera di cui ti stai occupando nel tuo laboratorio?

Ho scelto un tronetto ligneo di cui va ancora stabilita la datazione. Nemmeno il nome dell’autore si conosce. Di certo c’è che proviene da Borgo Pace, in provincia di Pesaro e Urbino.

La tua tesi di cosa parlerà?

Il progetto riguarda un case study. Partendo dell’analisi di soluzioni già adottate in Giappone e in Italia (penso al basamento antisismico che l’istituto Enea ha progettato per i Bronzi di Riace) sto studiando una strategia conservativa per statue esposte a sollecitazioni sismiche.  È estremamente appassionante e potrebbe rappresentare un esempio di restauro preventivo.

Portaci dietro le quinte: come vede, che cosa vede un restauratore?

Normalmente, visitando una mostra, un museo, si fa attenzione alla bellezza dell’opera, al valore estetico. Per chiunque abbia varcato la soglia di una scuola di restauro non è così. La prima cosa che si fa, senza più vie di scampo, è analizzare gli interventi di restauro, valutarne il degrado. Nel caso di una tela, capita che si vada a controllare il lato b, il retro. Ecco, se vi capita di vedere qualcuno affacciato sulla parte posteriore di un quadro, magari di un Van Gogh, fate lo sforzo di non crederlo pazzo. Quasi certamente è un restauratore.

Decisamente un altro punto di vista.

Sì e se da un lato si “desacralizza” l’opera, dall’altro è un divertimento assoluto.

Hai fatto tirocini?

Sì, uno: 125 ore a Lecce. Ho lavorato al restauro dell’Ex Ospedale dello Spirito Santo.

Esperienze all’estero?

Per ora no, nel futuro senz’altro. Sto valutando l’opzione Erasmus+ Traineeship. Destinazione Malta.

Come ti trovi a Urbino?

Bene, devo dire che all’inizio c’è l’effetto turista, ti senti visitatore della città. Piano piano entri nella dimensione universitaria.

Dove vivi?

Ai Collegi. Per quattro anni Aquilone, quest’anno sono alle Serpentine.

Che cosa ti piace della città?

Mi colpisce l’intervento dell’architetto Giancarlo De Carlo: l’inserimento di un linguaggio moderno in una città rinascimentale. Per uno che studia quel che studio io, Urbino è una pacchia.

Leggi la sfera di cristallo.

Alessandro tra qualche anno è uno che viaggia sempre e che non si annoia mai, che poi è la definizione del restauratore, perfetto sconosciuto al tedio del tempo, perché sempre alle prese con qualcosa di nuovo.

L’incubo di un restauratore?

L’ammoniaca utilizzata per la pulizia di un pavimento d’epoca. Questo è l’incubo. Il peggior incubo (e bisognerebbe usare il plurale) lo trovi pronto da consumare nel grande mercato di internet. Basta ordinare dal menu di un motore di ricerca “pessimi restauri” e affiorano immagini mostruose. Lì ti accorgi di quanto sia importante avere profili qualificati nel settore.

Abbiamo detto l’incubo. Il sogno?

Sogno un mio laboratorio di restauro.

Fai sport?

Sì, gioco a Rugby. Ho iniziato qui a Urbino.

Altro da dichiarare?

Confesso di avere un debole per le serie tv, frequento spesso le mostre d’arte e sono un abitué di Palazzo Ducale, almeno una volta ogni due mesi devo vederlo.

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