I nanomateriali rappresentano un rischio ecotossicologico per gli organismi che vivono nel sedimento marino, lo dimostra – per la prima volta – una ricerca internazionale capitanata da Uniurb che rintraccia anche un potenziale modello per la valutazione degli effetti di queste nuove forme di inquinamento.

Lo studio, Nanoparticle-Biological Interactions in a Marine Benthic Foraminifer, è stato pubblicato lo scorso 19 dicembre sulla rivista internazionale del gruppo Nature, Scientific Reports. Condotto da un team di ricercatori italiani, francesi, giapponesi e statunitensi, è stato guidato da Caterina Ciacci, docente di Fisiologia animale del Dipartimento di Scienze Biomolecolari, e coordinato da Fabrizio Frontalini, docente di Paleontologia e Micropaleontologia applicata del Dipartimento di Scienze Pure e Applicate, dell’Università di Urbino.

 

 

Dottoressa Ciacci, cosa si intende per nanomateriali, nanoparticelle, nanoplastiche?

I nanomateriali sono sostanze chimiche o materiali composti da particelle infinitamente piccole (nanoparticelle) con almeno una dimensione compresa tra 1 e 100 nanometri: grandezze che è possibile osservare solo al microscopio. Alcuni nanomateriali sono presenti in natura, nelle nubi di cenere vulcanica, ad esempio, nel fumo di un incendio o nei pollini; altri, invece, sono una conseguenza involontaria di attività umane, altri ancora – come il biossido di titanio – sono prodotti artificialmente.

 

Tra i nanomateriali ingegnerizzati o di origine antropica, cioè dovuti all’azione dell’uomo, sono comprese anche le nanoplastiche che derivano dalla frammentazione delle microplastiche – originate a loro volta dalla disgregazione di rifiuti di plastica di grandezze visibili a occhio nudo – o da composti di natura industriale.

 

Proprio le dimensioni estremamente ridotte, fanno sì che i nanomateriali presentino caratteristiche chimiche, fisiche, elettriche e meccaniche molto diverse rispetto a quelle degli stessi materiali non in nanoforma (detti anche sostanze allo stato sfuso). Caratteristiche per le quali si prestano a svariate applicazioni: dai ricambi per le auto agli articoli sportivi; dalle batterie agli indumenti antibatterici, ai cosmetici e ai prodotti alimentari.

Perché è importante studiare l’impatto dei nanomateriali sull’ambiente?

Il numero dei prodotti di largo consumo a base di nanotecnologie è in costante aumento, con la conseguenza che i nanomateriali diffondendosi nell’aria, nell’acqua e nel suolo, possano interagire con i diversi organismi presenti in questi ambienti e condizionare tutta la catena alimentare.
È particolarmente importante, quindi, studiare l’impatto ambientale di questi materiali nanodimensionati, perché possono manifestare effetti tossici molto diversi da quelli causati dagli stessi materiali di dimensioni maggiori.

Dottor Frontalini, com’è nata l’idea del progetto e quali professionalità tecnico-scientifiche ha coinvolto?

Il progetto ha messo in campo due linee di ricerca già in corso nei laboratori del nostro Ateneo. Una prima linea di ricerca, condotta dal gruppo di cui faccio parte, ha riguardato l’utilizzo di foraminiferi come bioindicatori, in situ, dell’inquinamento provocato da metalli pesanti.

 

L’altra, guidata dalla Dottoressa Caterina Ciacci, ha interessato la valutazione degli effetti prodotti da diverse tipologie di nanoparticelle sui molluschi marini.

Contestualmente, la ricerca ha coinvolto altre figure del nostro Ateneo, in particolare per le analisi microscopiche; ricercatori dell’Università di Siena, soprattutto per la caratterizzazione delle nanoparticelle, e ricercatori di altre nazionalità, giapponesi, francesi e statunitensi.

Dottoressa Ciacci, qual è l’obiettivo della ricerca?

L’obiettivo principale ha riguardato gli effetti di varie nanoparticelle su organismi che vivono nel sedimento marino. In letteratura sono presenti numerosi lavori riguardanti organismi marini e nanomateriali, ma nessuno aveva mai utilizzato organismi presenti nel sedimento marino.

Dottor Frontalini, quali nanoparticelle sono state indagate?

Abbiamo scelto: il biossido di titanio, una delle tipologie di nanoparticelle maggiormente prodotte; il biossido di silicio, selezionato per la possibile interferenza con i processi di mineralizzazione del guscio degli organismi utilizzati nello studio, e nanoparticelle di polistirene (plastica). Il polistirene è il tipo di plastica più diffuso, con una produzione annua di oltre 23 milioni di tonnellate.

Su quali tipologie di organismi sono stati studiati gli effetti dei nanomateriali selezionati?

Il nostro progetto di ricerca ha preso in considerazione gli effetti di questi diversi tipi di nanoparticelle su organismi eucariotici che vivono nel sedimento marino (organismi bentonici). Nello specifico, si tratta di foraminiferi della specie Ammonia parkinsoniana.

 

I sedimenti di estuario e marini rappresentano, infatti, un probabile punto finale per molte nanoparticelle a causa di una loro maggiore aggregazione e sedimentazione negli ambienti marini. Gli organismi bentonici che vivono nei sedimenti entrano in contatto con concentrazioni relativamente elevate di inquinanti e possono, pertanto, esserne negativamente influenzate.

Dottoressa Ciacci, i nanomateriali selezionati raggiungono i corsi d’acqua e producono una nuova forma di inquinamento marino, è esatto?

Esatto. Le nanoparticelle che abbiamo utilizzato sono rilasciate in enormi quantità nelle fognature urbane e industriali e, quindi, si ritrovano abbondanti nell’ecosistema marino.

Quali esiti ha prodotto lo studio?

È stata documentata la presenza di nanoparticelle, l’accumulo di lipidi neutri e la produzione di radicali nel citoplasma: segnali di stress fisiologico negli organismi considerati.

Dottor Frontalini, quali ricadute è possibile prevedere?

Il nostro studio dimostra che i nanomateriali rappresentano un rischio ecotossicologico per gli organismi che vivono nel sedimento marino, e suggerisce il benthos come potenziale modello per la valutazione degli effetti di queste “nuove forme di inquinamento”.

La ricerca di Uniurb sugli effetti delle nanoparticelle continua? Il suo team di ricerca prevede, a breve, ulteriori sviluppi?

Attualmente, in collaborazione con i colleghi giapponesi, stiamo analizzando gli effetti di altri nanomateriali, combinando metodologie di microscopia già utilizzate con un approccio di tipo biomolecolare. La ricerca certamente continua!

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