Water management solutions for reducing microbial environment impact in coastal Areas. Si tratta di un Interreg, vale a dire un progetto europeo di cooperazione territoriale, finanziato dall’Unione Europea e che ha per capofila il Consiglio Nazionale delle Ricerche IRBIM, l’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine del CNR. L’Università di Urbino è tra i partners, insieme a Regione Marche, Regione Abruzzo, Aset Spa, Regione spalatino-dalmata, Regione raguseo-narentana, Università di Spalato, Institute Materials Research Centre della Regione d’Istria e Croatina Water Agency. García Lorca lo chiamava “il cielo caduto” e intendeva il mare. Antonella Penna, docente di Ecologia marina del Dipartimento di Scienze Biomolecolari, ci spiega il ruolo fondamentale dell’Ateneo per difendere un patrimonio così prezioso e delicato.

Professoressa Penna come si “vuol bene” all’ecosistema marino?

In sintesi l’obiettivo di WaterCare è assicurare la qualità delle acque costiere.

Meno in sintesi?

Watercare nasce per:

  • sviluppare un Water Quality Integrate System (WQIS), attraverso una rete di monitoraggio idro-metereologico in tempo reale;
  • realizzare un’infrastruttura ad hoc, un vasca di decantazione delle acque sporche, combinata ad un modello operativo di previsione sullo sversamento a mare della carica microbica, sul tempo di permanenza in area costiera e sull’attenuazione, per la gestione delle acque di balneazione nel sito pilota di Fano;
  • estendere lo studio ad altri 4 siti costieri (Pola, Spalato, Dubrovnik, Pescara) allo scopo di migliorare la pianificazione e la gestione dei problemi ambientali dell’ecosistema marino costiero;
  • sviluppare un sistema di allerta, in tempo reale, in grado di prevenire il potenziale rischio ecologico da contaminazione microbica e supportare i processi decisionali nella gestione delle acque di balneazione.

Quali sono i parametri per valutare i livelli di contaminazione delle acque?

Rilevamenti sulle sponde del torrente Arzilla

Ce ne sono diversi, che indicano lo stato eutrofico delle acque, vale a dire la concentrazione di sostanze eutrofizzanti (nitrati e fosfati) derivati da fertilizzanti inorganicidelle attività agricole e zootecniche, da reflui domestici, urbani e industriali. (Le sostanze eutrofizzanti sono normalmente un nutrimento per l’ecosistema acquatico. Eppure, se presenti in eccesso, possono danneggiare l’ecosistema). L’altro fondamentale parametro, sul quale lavora l’Università di Urbino in collaborazione con il CNR IRBIM di Ancona, è la contaminazione microbica, che deriva invece dalle acque reflue delle città e misura la presenza di Escherichia coli ed Enterococcus faecalis. In particolare, siamo in grado di rilevare parametri abiotici che possono indicare la contaminazione fecale nelle acque.

È stata individuata la causa delle concentrazioni anomale?

Le forti piogge, per intensità e durata, basti ricordare le cosiddette bombe d’acqua, ingrossano il corso dei fiumi e questi dilavano le città portando, da monte a mare, i reflui fognari . In questo modo si ha carica batterica e, dunque, contaminazione microbiologica in mare.

L’Università di Urbino quale attività svolge e come avviene il monitoraggio?

Il nostro team ha il coordinamento del WP3, nome in codice del monitoraggio dei parametri ambientali chimico-fisici e microbici e il coordinamento delle attività di networking delle infrastrutture di sensoristica nel sito pilota di Fano, in prossimità della foce del torrente Arzilla. Si occupa inoltre di coordinare tutte le attività collegate al rilevamento idro-meteorologico e al modello previsionale di circolazione per il sistema di allerta e controllo della balneazione sviluppato dal CNR IRBIM.

Le rilevazioni fatte nel sito pilota che cosa ci dicono?

Le dispersioni microbiche nell’acqua sono episodiche, circoscritte a fenomeni meteorologici rilevanti, ma hanno una forte incidenza sulla balneazione estiva e sulle attività economiche del turismo. Più in generale nella costa adriatica questi problemi si manifestano in maniera puntiforme, non hanno cioè continuità territoriale.

Cosa comporta l’innalzamento dei livelli dei contaminanti?

Un danno a tutto l’ecosistema marino,con ricadute negative nei comparti della pesca, dell’acquacoltura e delle attività turistiche, che sono strategiche per la nostra economia costiera.

La costruzione di una vasca di decantazione come può implementare la raccolta dati e garantire la qualità delle acque?

Antonella Penna, docente Uniurb

Si tratta di un serbatoio di detenzione per la gestione degli scarichi a mare delle reti fognarie. Un modello operativo che si integra con il modello predittivo del progettoWatercare. Avendo a disposizione informazioni in tempo reale sui livelli di contaminazione del fiume all’altezza della foce, siamo in grado di trasferire ai decisori delle amministrazioni pubbliche uno strumento per sapere quando è opportuno imbrigliare le acque, prima che avvengano sversamenti di cariche microbiche in mare. Ciò significherà che in corrispondenza di abbondanti precipitazioni non occorrerà più vietare preventivamente la balneazione ma i divieti saranno commisurati al rischio di contaminazione, che peraltro in questo modo verrà ridotto.

Una sorta di grande filtro a valle del fiume.

Sì esatto, può essere definito così.

Un’area pilota e un progetto come questo hanno alle spalle normative europee e nazionali oppure possiamo parlare di iniziative prese in ordine sparso?

I testi base di riferimento sono le direttive 2000/60/CE e 2006/7/CE del Parlamento e del Consiglio europeo, che stabiliscono una cornice comunitaria per le azioni di protezione e di uso sostenibile delle acque nei Paesi membri.

L’Italia sta facendo bene?

Il nostro Paese ha risolto il 50% dei problemi da concentrazione di cariche microbiche.

15 Bandiere blu nelle Marche sembrano accordarsi ad una valutazione positiva.

Le Marche sono abbastanza virtuose. Va precisato tuttavia che il riconoscimento internazionale Bandiera Blu è un eco-label che valuta l’impatto ambientale ma anche la qualità dei servizi offerti.

Il vostro lavoro, perlomeno indirettamente, è anche un termometro dello stato di salute dei fiumi. È così?

Attualmente ci occupiamo delle aree in prossimità della foce, ma in futuro vorremmo passare anche alla componente chimica dei fiumi. Da anni stiamo facendo ricerca sulle microplastiche e nanoplastiche introdotte nell’ecosistema marino costiero e collaboriamo con diverse Regioni e con l’Università di Siena. Sarebbe interessante estendere il lavoro sulle aste fluviali. Altro ambito a cui vorremmo allargare gli studi è quello dei farmaci pesticidi e di altri contaminanti emergenti.

Quante persone fanno parte del suo team di ricerca?

Siamo in 5: io, due tecnici, Fabio Ricci e Samuela Capellacci, Silvia Casabianca, postdoc, e Davide Ippoliti, collaboratore.

Esistono attività di prevenzione ancor più a monte, vale a dire educative, sulla tutela delle acque?

Sì, oltre ai meeting semestrali sul progetto, con i partners, usciamo all’esterno organizzando molte conferenze nelle scuole.

Quando ha iniziato ad occuparsi di mare e perché?

L’Università di Urbino da oltre 30 anni, dunque ben prima di Watercare, si occupa di monitoraggio delle acque e rilascia  bollettini mensili scaricabili dal portale di Ateneo sulla qualità delle acque costiere della provincia di Pesaro e Urbino. Monitoriamo i principali parametri chimico-fisici e biologici. Tali informazioni sono importanti per conoscere lo stato di salute del mare e di acque produttive per il comparto pesca/acquacoltura o per quello turistico in relazione a fenomeni di inquinamento antropico o a fenomeni anomali legati ai cambiamenti climatici. Conoscere la salute del mare significa conoscere lo stato di salute di un ecosistema, quello costiero, che ci offre beni e servizi. Occorre dunque che l’uomo lo rispetti con attività sostenibili.

 

Immagine in evidenza: Sachleno

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