Unified Geologic Map of the Moon è la prima mappatura completa che riporta in scala 1:5.000.000 la conformazione geologica della Luna. Ed è l’ultimo identikit che l’USGS Astrogeology Science Center, in collaborazione con la NASA e il Lunar Planetary Institute, ci restituisce di un satellite che ha 4,5 miliardi di anni. Luca Lanci, professore associato di Geological modeling dell’Università di Urbino, che ha lavorato in passato allo studio di Marte, ci ha aiutato a capire come si realizza un modello e che cosa sia la geologia planetaria.

Primo aspetto da chiarire: da dove si traggono le informazioni utili alla ricerca e alla ricostruzione di un carta geologica?

Nel caso della Luna ci sono state 6 missioni Apollo e 3 missioni sovietiche che hanno riportato campioni geologici sulla Terra. Ma rimane un satellite che l’uomo ha battuto soltanto per qualche chilometro. Per fare un paragone, sarebbe come studiare la terra sulla base del giardino di casa propria. È evidente dunque che la maggior parte delle informazioni che abbiamo provengono dal remote sensing, dai satelliti, che a partire dagli anni ‘60 del Novecento hanno fatto misurazioni e fotografie. Soltanto così possiamo conoscere il far side of the moon. Recentemente le missioni sulla Luna sono state diverse: è del 1998 la sonda interplanetaria statunitense Lunar Prospector, ma abbiamo avuto, nel 2007, anche la missione giapponese SELENE; nel 2009 la NASA ha lanciato il Lunar Reconnaissance Orbiter e il Lunar Crater Observation and Sensing Satellite, che ha anche confermato la presenza di acqua nelle regioni polari.

Quali sono gli strumenti di rilevazione in orbita?

Sono stati usati diversi strumenti, principalmente per studiare il campo magnetico, le anomalie gravimetriche, la topografia e la composizione chimica della superficie. Nel caso specifico, per conoscere la chimica delle rocce, sono stati utilizzati spettrometri a raggi gamma. Gli spettrometri a neutroni sono impiegati invece per rilevare la presenza d’acqua.

Come funziona uno spettrometro a raggi gamma?

La spettrometria a raggi gamma rileva sia la radiazione naturale delle rocce, emessa da elementi radioattivi, sia i raggi gamma indotti in elementi come il ferro, il silicio e l’ossigeno dal bombardamento dei raggi cosmici. La lunghezza d’onda dei raggi gamma emessi ha a che fare con la loro composizione chimica.

Questo non è tuttavia l’unico modo di ricavare informazioni.

Nell’esplorazione planetaria sono molto importanti anche le sonde spaziali. Si tratta di piccole navicelle senza equipaggio che atterrando su un altro pianeta riescono ad analizzarne il suolo e l’atmosfera e trasmettere i dati sulla Terra.

Riescono mai a rientrare con campioni di materia?

In alcuni casi (Lunik 16, Lunik 20 e Lunik 24, dell’Agenzia Spaziale Russa) le sonde automatiche hanno anche riportato campioni lunari sulla Terra, ma solitamente questo non è possibile. Ci inviano però molte altre informazioni utili.

Il professor Luca Lanci, docente di Geological modeling

I geologi, poi, come rielaborano i dati?

Sulla base delle spettrometrie, della topografia e, soprattutto, grazie al materiale fotografico ottenuto dalle missioni si riescono a distinguere le varie formazioni geologiche, ricavando anche una stima delle età relative delle rocce. Come si vede bene anche dalla mappatura della Luna, ad ogni formazione geologica viene assegnato un colore diverso che corrisponde a diverse ere. Per esempio, il lilla della zona lunare centrale indica i maria che sono dell’era Imbriana (3.2/3.8 miliardi di anni). Ossia le parti scure che vediamo dalla Terra: la loro composizione chimica, indicata dalla spettrometria a raggi gamma, ha dimostrato che sono formate da rocce basaltiche di origine vulcanica. La legenda descrive ognuna di queste tipologie.

L’età dei pianeti da quali indizi si ricava?

Innanzitutto va detto che i periodi geologici sulla terra e sullo spazio hanno ordini di misura diversi. Per la Terra, risalendo fino all’età dei primi fossili, parliamo di circa 540.000.000 di anni, divisi in 4 ere principali. Nel caso della Luna, per fare un esempio, l’era geologica più recente, chiamata Copernicano, ha una durata di circa 1,1 miliardi di anni. Spesso ad orientarci nella datazione è la densità della craterizzazione (il numero di crateri indica il numero di meteoriti che sono entrati in collisione con un pianeta). Questo dato e la sovrapposizione delle diverse strutture ci suggerisce l’età relativa. Nel caso della Luna abbiamo anche la datazione radiometrica di alcuni campioni.

Soltanto qualche anno fa lei si è occupato di Marte. Qual era lo scopo del suo lavoro di ricerca?

Ho partecipato ad un PRIN del Ministero, una collaborazione scientifica tra l’Università degli Studi di Chieti e Pescara e l’Università di Urbino durata tre anni e i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Geophysical Research e su Planetary and Space Science. Personalmente ho curato lo studio di strutture tettoniche distensive di Marte, anche grazie all’uso di rendering morfologici 3d. Attraverso l’altimetro laser MOLA (Mars Orbiter Laser Altimeter) abbiamo ricostruito la forma delle strutture tettoniche cercando di valutarne la profondità, quindi i meccanismi di estensione. Su Marte gran parte dei rilievi sono di origine vulcanica. Troviamo vulcani altissimi rispetto agli omologhi terrestri. L’assenza di gravità e l’atmosfera estremamente rarefatta, che mitiga l’erosione, ne consentono l’elevazione.

Come si ottiene l’accesso ai dati delle missioni aerospaziali?

Nel caso specifico, grazie al progetto scientifico che stavamo portando avanti, abbiamo potuto utilizzare i dati della missione Mars Global Surveyor della NASA . Effettivamente questo è uno dei motivi che rende la geologia planetaria un filone di ricerca esclusivo. L’accesso alle informazioni raccolte dai satelliti delle agenzie spaziali è limitato, in compenso offre argomenti di studio molto interessanti.

Qual è la formazione di un geologo planetario?

La laurea in geologia. Alcuni geologi hanno anche partecipato direttamente a missioni spaziali, per esempio Harrison Schmitt, che ha fatto parte dell’equipaggio sbarcato sulla Luna con la missione Apollo 17.

Che cosa le è rimasto della sua esperienza di studio e ricerca nell’ambito della geologia planetaria?

Ho esplorato qualcosa di completamente nuovo per me. Oltre a conoscere la geologia planetaria ho imparato a incrociare dati di origine diversa ed elaborarli in un formato coerente, proprio come è successo per la recente mappatura lunare. Nella geologia planetaria il geologo acquisisce informazioni talvolta imprecise per la difficoltà di rilevazione. È necessario quindi confrontare le diverse fonti per giungere a valutazioni più precise.

 

Animazione video: NASA/GSFC/USGS

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