Ieri, a Milano, tra i protagonisti dei Grant 2016 c’era anche Stefano Amatori, giovane ricercatore della Carlo Bo. Laurea in Biologia Cellulare e Molecolare e PhD in Metodologie Biochimiche e Farmacologiche, Stefano ha vinto una delle borse Post-Doctoral Grant Fondazione Umberto Veronesi istituite allo scopo di favorire progetti scientifici per le nuove cure delle malattie oncologiche. “Festeggio il decimo anno di ricerca post-laurea rigorosamente da precario – dice sorridendo – ma continuo a fare il mio lavoro con grande passione, nonostante la difficile situazione in cui versa la ricerca italiana”. E spera, ne siamo sicuri, che qualcosa cambi. Presto.

“Il pensiero, in questo momento, va a mia madre e all’orgoglio che avrebbe provato per suo figlio se un tumore, molto aggressivo, non glielo avesse impedito”.

Si apre così l’intervista di Uniamo a Stefano Amatori.


 

Stefano Amatori con il Professor Umberto Veronesi

Stefano Amatori con il Professor Umberto Veronesi

Dottor Amatori, il suo progetto di ricerca ha vinto il Post-Doctoral Grant Fondazione Umberto Veronesi. Ci racconta la genesi di questa importante esperienza?

L’idea di partecipare al bando nasce dalla collaborazione con il gruppo di ricerca diretto dal Professor Pier Giuseppe Pelicci, presso l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano. Quello del rapporto tra alimentazione e oncologia è un aspetto al quale sia l’Istituto milanese, sia il Laboratorio di Patologia ‘Paola’ dell’Università di Urbino, nel cui ambito svolgo la mia attività di ricerca, hanno rivolto grande attenzione nel corso degli ultimi anni.

 

Il Laboratorio ‘Paola’, diretto dal Professor Mirco Fanelli a cui devo le basi (e non solo) della mia formazione scientifica, è stato il primo a sviluppare una tecnica di studio, che non esito a definire, rivoluzionaria e che lo IEO ha ora interesse ad applicare per indagare il collegamento che esiste, appunto, tra apporto calorico e sviluppo dei tumori. I dati preliminari che avevamo raccolto erano molto promettenti, da qui l’idea di partecipare al bando per Fellowship della Fondazione Veronesi, uno dei più prestigiosi in Italia in campo oncologico.

Ogni laboratorio di ricerca ha una storia e un indirizzo scientifico che ne definiscono l’essenza, quello di Patologia Molecolare del nostro Ateneo ha anche un nome “proprio”. Ci piacerebbe saperne di più.

Il Laboratorio di Patologia Molecolare ‘Paola’ nasce nel 2002 a Fano, su iniziativa del Professor Mirco Fanelli presso l’allora Sezione di Biotecnologie dell’Ateneo di Urbino. ‘Paola’ è l’acronimo di PAthology and Oncology LAboratory, cioè Laboratorio di Patologia e Oncologia. Le neoplasie sono, infatti, da sempre argomento di studio del laboratorio. Ma ‘Paola’ è anche il nome di una persona cara che contro il cancro ha lottato per anni per poi lasciarci e che, in un certo senso, ha rappresentato e rappresenta tuttora la fonte di ispirazione del laboratorio stesso. Nel corso degli anni il Laboratorio ha prodotto lavori scientifici di alto livello, pubblicati su prestigiose riviste internazionali, nonché brevetti nazionali e internazionali.

 

Gli aspetti indagati sono quelli legati a un campo di ricerca in forte espansione negli ultimi decenni: quello dell’epigenetica. Il termine indica quella serie di meccanismi in grado di regolare e influenzare la lettura del codice scritto nel nostro DNA, da parte della cellula. Possiamo immaginare, infatti, il DNA come un manuale, un libretto delle istruzioni, e l’epigenetica come ciò che è in grado di stabilire quali parti del manuale la cellula debba leggere e quali no, quali informazioni utilizzare e quali mantenere “nascoste”. L’epigenetica è, ad esempio, ciò che consente alle cellule del nostro organismo di conservare la propria specificità e le proprie differenze rispetto alle altre, nonostante il comune manuale, lo stesso, identico DNA.

 

Nel corso degli ultimi anni è emerso, con sempre maggiore evidenza, come le modificazioni epigenetiche giochino un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella progressione del cancro. Affiancandosi alle meglio conosciute alterazioni genetiche che la cellula tumorale subisce, queste contribuiscono a modificare il funzionamento di geni che giocano ruoli chiave nel regolare la vita della cellula. È in questo modo, infatti, che una cellula del nostro organismo può “perdere il controllo”, non essendo più in grado di regolare la propria proliferazione, perdendo la propria funzionalità e sfuggendo ai meccanismi di protezione presenti nel nostro organismo.

 

Una parte consistente dell’attività del laboratorio è stata dedicata allo sviluppo di una nuova tecnica sperimentale che ha permesso per la prima volta di studiare l’epigenetica di campioni prelevati dai pazienti oncologici, in seguito a biopsie o interventi chirurgici, e conservati negli archivi degli ospedali di tutto il mondo.

 

Sono in atto collaborazioni scientifiche di rilievo?

Lo sviluppo di questa tecnica innovativa, il cui utilizzo si sta mano a mano diffondendo in Europa e oltreoceano, ha aperto la strada a numerose collaborazioni scientifiche sia a livello nazionale che internazionale (LUMC di Leida, in Olanda; Swansea University nel Galles). Sono poi in atto alcune collaborazioni con l’Università Politecnica delle Marche, di cui una ci ha portato a studiare l’effetto antitumorale di un estratto di fragole della varietà ‘Alba’.

Altro filone è quello che riguarda lo sviluppo di nuove molecole a potenziale attività antitumorale. Questi studi, tutelati da brevetto nazionale e internazionale, sono condotti in collaborazione con il Laboratorio di Chimica Supramolecolare, diretto dal Professor Vieri Fusi dell’Università di Urbino, e hanno portato all’individuazione di una nuova classe di composti derivati dal maltolo, una molecola naturale contenuta in birra, caffè, cicoria e altri alimenti.

 

In quale ambito di studi il progetto si inserisce e quali sono i suoi step progressivi?

Il progetto finanziato dalla Fondazione Veronesi mira a studiare come l’alimentazione, e in particolare un regime di restrizione calorica (senza malnutrizione), sia in grado di proteggere il nostro organismo dallo sviluppo di tumori. È noto, infatti, che una dieta a basso contenuto calorico determina un effetto protettivo nei confronti delle patologie neoplastiche. Ciò che ancora non si conosce è quali siano i meccanismi responsabili di tale effetto. Una possibile spiegazione sembra riguardare l’epigenetica. Sappiamo, infatti, che i tumori originano da un errato funzionamento di alcuni geni regolatori presenti nel nostro DNA. Ecco quindi che un’alimentazione non corretta, la scarsa attività fisica, l’ambiente in cui viviamo, interagendo con l’epigenetica delle nostre cellule, possono modificare il funzionamento di questi geni, creando l’ambiente favorevole allo sviluppo di malattie, comprese quelle neoplastiche, o esserne potenzialmente alla base.

 

Il progetto quindi sarà finalizzato, in un primo momento, a valutare gli effetti di diverse diete (standard, restrizione calorica, iperlipidica) sull’epigenetica delle cellule del fegato. Lo studio prevede l’applicazione della tecnica sviluppata dal Laboratorio ‘Paola’ chiamata PAT-ChIP, nonché l’utilizzo di tecnologie di ultima generazione che consentono lo studio delle diverse modificazioni epigenetiche lungo l’intero DNA delle cellule (il cosiddetto sequenziamento ad alta resa: high-throughput sequencing).

 

In una seconda fase verrà valutato se, tornando a una dieta standard, le alterazioni epigenetiche causate dalla dieta studiata siano reversibili o se, al contrario, una traccia del nostro stile di vita pregresso rimanga incisa nelle cellule del nostro organismo.

 

Quali sono gli obiettivi scientifici dello studio e quale la durata prevista?

Il finanziamento ha la durata di un anno, eventualmente rinnovabile di un ulteriore anno, e prevede la copertura della borsa di studio. La speranza è che ovviamente gli studi non si interrompano con la fine di questo finanziamento, ma che si possano in futuro trovare nuove risorse per proseguire. Questo perché studi come il nostro non si esauriscono nel corso di un periodo così breve, ma richiedono spesso diversi anni di lavoro.

 

L’obiettivo è quello di arrivare a definire un pannello di geni la cui epigenetica cambi in funzione delle diverse diete, e di associare questi geni alla predisposizione a condizioni patologiche o protettive.

È possibile prevedere le ricadute della ricerca nel medio o lungo periodo?

La comprensione dei meccanismi epigenetici che legano regime calorico e condizioni patologiche potrà condurre in futuro all’individuazione di nuovi potenziali marcatori in grado di predire lo sviluppo di patologie, tra cui quelle neoplastiche. Quello dei marcatori epigenetici è infatti un campo nuovo, ma in continua espansione che promette di portare presto all’introduzione in clinica di nuovi strumenti utili alla gestione del paziente oncologico.

 

Gli effetti finora ipotizzati sono, quindi, esclusivamente preventivi rispetto all’insorgenza delle principali malattie croniche (malattie cardiovascolari, diabete, tumori e quant’altro) in soggetti sani?

Sì, l’ipotesi è per ora solo di tipo preventivo. Esistono già evidenze in letteratura che associano il regime di restrizione calorica a una diminuita insorgenza di tumori. Ciò che manca è, appunto, capire quale sia il nesso tra questi due fattori.

 

Un regime di restrizione calorica può davvero salvarci la vita, e come possiamo correggere la nostra dieta quotidiana?

Il mondo scientifico è ormai concorde nell’affermare che una dieta a basso contenuto di calorie protegga contro lo sviluppo di patologie neoplastiche, ma c’è di più. A tale proposito suggerisco di leggere La dieta Smartfood, un libro estremamente interessante, esito dell’omonimo progetto dell’Istituto Europeo di Oncologia che vanta la collaborazione del Professor Pier Giuseppe Pelicci. Il volume mette insieme le risultanze delle attività di ricerca, in riferimento al binomio alimentazione-cancro, prodotte dagli scienziati a livello globale. Ciò che emerge è, nella sua massima semplificazione, un elenco di cibi ‘smart’, cioè intelligenti, nel senso che sono in grado di difenderci da malattie e invecchiamento.

 

In particolare gli Smartfood individuati sono 30, e non dovrebbero mancare a tavola perché alleati anche della linea oltre che della salute. In molti casi si tratta di alimenti comuni: dalla lattuga ai cereali integrali, dalle fragole ai pistacchi passando per arance, cipolla, aglio e la tanto decantata curcuma. Alcuni di questi sono addirittura in grado di mimare l’azione della restrizione calorica, facendo credere al nostro organismo che digiuniamo quando in realtà mangiamo, preservandoci così dall’invecchiamento.

 

Quindi tornando alla domanda, la risposta è sì, non eccedere nelle calorie e soprattutto assumerle attraverso i cibi giusti può realmente allungare la vita, senza troppe rinunce!

 

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