Nel 2009 ha ricevuto il premio Nobel per la Chimica. Le sono serviti 20 anni ma alla fine è riuscita a determinare la struttura dei ribosomi. Prima ancora che i suoi meriti scientifici è la sua vita tuttavia ad essere contrassegnata dall’inusuale, dall’eccezionalità. Israeliana, nata in una famiglia sionista di immigrati, si può dire che abbia vissuto gli anni controvento trovando nei libri il filo di Arianna di una vita complicata. E’ Ada Yonath, ribattezzata “la signora della scienza”, ad Urbino per inaugurare il 58° Congresso Nazionale della Società Italiana di Biochimica e Biologia Molecolare e ricevere il Sigillo di Ateneo. Non convenzionale è la sua storia, non convenzionale è il suo pensiero. Non convenzionali le sue risposte, che si interrompono solo quando le domande sono in odore di politica. Qui lei non entra, svicolando con puntualità ormai proverbiale.

Per quale ragione ha deciso di occuparsi di scienza?

Perché è stato interessante e ancora è interessante farlo. Questa è l’unica motivazione, la verità. Tutto il resto sono storie.

Lo sviluppo pratico delle teorie scientifiche in passato si è prestato a manipolazioni. Una buona scoperta talvolta può divenire una cattiva invenzione. E’ possibile per la comunità scientifica tutelarsi da questo rischio?

Come in ogni attività in cui è coinvolto l’essere umano ci sono cose buone e cattive e ci sono buoni essere umani e cattivi, risultati buoni e cattivi. Persino quando parliamo di filosofia si possono prendere decisioni sbagliate. Eppure non possiamo abbandonare ciò che facciamo perché qualcuno poi potrebbe utilizzare il risultato del nostro lavoro in maniera sbagliata. Non possiamo fermare la scienza perché potrebbe trasformarsi in qualcosa di negativo. D’altronde i benefici sono di gran lunga maggiori dei rischi, incomparabilmente maggiori. Soltanto ora le persone iniziano a capire quanto le cose che facciamo siano conseguenza di scoperte scientifiche, anche risalenti a 400 anni fa. Basti pensare a Isaac Newton: la gravità ha a che fare con la ricerca spaziale. Anziché preoccuparci di fermare la scienza semmai dovremmo usare il buon senso nelle nostre decisioni, avendo la capacità di distinguere il lato negativo da quello positivo; penso tuttavia che gli scienziati già lo facciano. Senza dubbio esiste anche tra di essi l’erba cattiva, ma chi siamo noi per decidere chi lo è e chi no? Perlomeno gli scienziati cercano di crescere nella conoscenza, dubitano, si fanno domande… quella che ho appena fatto è una domanda.

La circolazione delle informazioni e dei risultati della ricerca oggi è estremamente capillare. Nonostante ciò sembra crescere nell’opinione pubblica la tendenza a ricercare soluzioni parascientifiche e spesso in contrasto con la “scienza ufficiale”. Perché secondo lei?

Non so cosa sia la scienza ufficiale e non penso che l’opinione pubblica sappia a cosa eventualmente si oppone. Il fatto che i media cerchino di spiegare quello che fanno gli scienziati, cosa tra l’altro che loro stessi non sempre hanno chiaro, non garantisce che la gente effettivamente poi comprenda, potendo così avanzare dei giudizi. Al momento la tendenza è quella di avvicinare la scienza alla vita delle persone, cercando di coinvolgerle. Eppure non è sempre possibile farlo, specie quando gli argomenti sono complessi. Dunque, nonostante questo sforzo, alla fine risulta molto più facile trovare consensi usando slogan e concetti semplici. E’ molto più facile che dover spiegare e far capire veramente le cose. Eppure, il nostro lavoro è proprio questo: cercare di capire. Se lo abbiamo scelto dobbiamo farlo bene.

Crede che i risultati che ha ottenuto servano a incoraggiare altre donne ad avvicinarsi alla scienza?

Prima di tutto la scienza è indipendente dal genere. Se una persona dimostra interesse nel comprendere il mondo, se è curiosa, non importa che sia uomo o donna. In questi anni ho avuto un gruppo di oltre 150 collaboratori. Solo due hanno abbandonato: una ragazza perché ha deciso di diventare ballerina, l’altra perché ha scoperto che le piaceva dedicarsi ad altro. E’ stata una questione di scelte. Non vedo il motivo per farne una questione di genere. Con me hanno lavorato moltissime donne e moltissimi uomini, persino alcuni a cui non piace ascoltare l’altro sesso. Eppure non ho mai avvertito un problema di genere. Molti mi chiedono: se fosse stata uomo avrebbe avuto minori difficoltà?

La sua risposta?

Non conosco la differenza. Forse le persone si sono sentite più libere di deridermi, di ridicolizzarmi, a me non interessa. Voglio solo poter svolgere il mio lavoro e lentamente fare progressi. Non ho mai usato il genere, per nessuna ragione, né buona né cattiva.

Cosa pensa quando sente o legge del fenomeno dell’immigrazione dal Sud al Nord del mondo?

Credo che il cosiddetto “mondo sviluppato” dovrebbe investire nel pensiero per trovare soluzioni capaci di aiutare le regioni del Sud. Accogliere coloro che fuggono è molto bello, è molto umano e deve essere fatto. Ma non è la risposta al problema. 100 mila, 200 mila rifugiati sono tantissimi. Ma sono niente rispetto ai milioni di persone che rimangono a soffrire nella loro terra. Dobbiamo fare molto di più per questi popoli, ciò che facciamo non è abbastanza.

La scienza può dare molto. In cambio che cosa chiede?

Occorre essere veramente interessati, amarla.

Spesso si ha lo stereotipo dello scienziato al chiuso di un laboratorio. Ma è veramente così?

Per la scienza vale lo stesso che per una squadra di calcio, per un corpo di ballo, per un gruppo di teatranti. Ci sono persone che lavorano insieme con un obiettivo. La scienza richiede certamente più studio. Visto però che lo studio serve a capire e a conoscere ciò che ci interessa di più, dovrebbe essere (ed è) anche puro divertimento. Quando qualcosa è interessante, il fatto che richieda molto lavoro non è motivo per non occuparsene. La chiave è saper manipolare il lavoro duro e godere dei risultati.


*Traduzione a cura di Simona Renga

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