Il nostro Ateneo partecipa a un’altra fondamentale ricerca che inaugura l’astrofisica gravitazionale nello spazio. Ce ne parla la Professoressa Catia Grimani, membro della collaborazione internazionale per le missioni spaziali LISA Pathfinder ed eLISA.

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Le masse di test della sonda LISA Pathfinder – Copyright: ESA/ATG medialab


Professoressa Grimani, possiamo finalmente comunicare l’esito di un esperimento fondamentale per l’astrofisica osservazionale mondiale. A lei l’annuncio ufficiale.

Nei giorni scorsi si è ottenuto il primo esempio di masse in caduta libera nello spazio, in totale assenza di gravità. Questo è avvenuto nell’ambito della missione LISA Pathfinder: il test tecnologico propedeutico alla futura missione dell’Agenzia Spaziale Europea eLISA per l’osservazione di onde gravitazionali nello spazio.

LISA Pathfinder ed eLISA: due missioni che inaugurano l’astrofisica gravitazionale nello spazio?

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La Professoressa Catia Grimani

Ebbene sì. Sembra incredibile che la scoperta delle onde gravitazionali e il primo esempio di masse in caduta libera nello spazio siano arrivati esattamente a cento anni dalla pubblicazione della relatività generale di Einstein. Eppure è accaduto. E da adesso in poi potremo studiare l’Universo attraverso un canale del tutto nuovo che fino a ieri era pura teoria.
Le due missioni di cui parliamo, e che procedono proprio in questa direzione, sono progetti dell’Agenzia Spaziale Europea. LISA Pathfinder è realizzata anche con il contributo dell’Agenzia Spaziale Italiana e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). A guidarla sono il principal investigator Professor Stefano Vitale, ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Trento e il co-principal investigator Karsten Danzmann, direttore del Max Planck Institute for Gravitational Physics (Albert Einstein Institute).

Dal 2003 l’Università di Urbino partecipa alla missione attraverso la mia attività di ricerca sulla fisica dei raggi cosmici e delle particelle di alta energia di origine solare. Dal 2011 ad oggi sono l’unico fisico italiano dell’INFN membro della collaborazione internazionale, oltre al gruppo di studio dell’Università di Trento, anche in ragione della mia partecipazione alla richiesta di finanziamenti al governo spagnolo con l’Università di Barcellona. Sono, inoltre, responsabile locale dell’attività di ricerca di questa missione per la sezione INFN di Firenze, nell’ambito della quale collaboro con i colleghi Ruggero Stanga, Noemi Finetti, Daniele Telloni e Monica Laurenza.

Quali sono gli obiettivi scientifici di LISA Pathfinder?

L’obiettivo è effettuare il test della tecnologia altamente innovativa sviluppata ad hoc per la rivelazione delle onde gravitazionali di bassa frequenza nello spazio, non rilevabili attraverso gli interferometri terrestri. Il lancio di una doppia missione si è reso necessario a causa dei costi di eLISA, superiori al miliardo di euro. Questa futura missione studierà i sistemi binari di buchi neri massivi in coalescenza fin dall’alba dell’universo, nonché la fase di fusione dopo quella di coalescenza, e potrà svelare nuove sorgenti come gli EMRIs, ad esempio, ossia il lento spiraleggiare e la fase di fusione di buchi neri stellari in grandi buchi neri massivi al centro delle galassie, e altri eventi cosmici adesso solo ipotizzabili.

Abbiamo letto di una sonda spaziale e del suo viaggio tra le stelle a bordo di un razzo Vega. Vuole raccontarci i dettagli dell’esperimento?

Certamente. LISA Pathfinder è una sonda che oggi abita tra le stelle a circa 1.5 milioni di km dalla Terra e in questa regione del cosmo, dove orbita intorno al primo punto di Lagrange perpendicolarmente rispetto alla direzione Terra-Sole, è arrivata lo scorso 22 gennaio viaggiando su un razzo Vega, lanciato il 3 dicembre da Kourou nella Guyana Francese.
Al suo interno ospita due cubi gemelli di oro e platino che sono le masse di test dell’esperimento. Tra il 3 e il 16 febbraio, questi corpi delle dimensioni di 4.6 cm per lato, dopo aver viaggiato in sicurezza bloccati da punzoni che ne hanno evitato il danneggiamento durante il lancio, sono stati liberati con successo e nel cuore di LISA PF sono rimasti sospesi mentre un sistema laser e un sistema capacitivo ne determinano la condizione di caduta libera e gli spostamenti dell’uno rispetto all’altro.

Questo risultato straordinario conferma che, in assenza di gravità, è possibile controllare e misurare con precisione infinitesimale il movimento impercettibile (pari a un centomilionesimo del diametro di un capello o di un centesimo delle dimensioni di un atomo) di due masse di prova in caduta libera. E significa anche che qualora si realizzasse la missione finale eLISA utilizzando la tecnologia adottata per LISA Pathfinder, si potrebbe misurare nella maniera più affidabile possibile l’increspatura dello spazio-tempo che il passaggio di un’onda gravitazionale provoca tra le due masse dell’interferometro spaziale. In soldoni, l’onda attraversa i cubi, produce lo spostamento di un cubo rispetto all’altro, il laser misura questo spostamento e rivela l’onda. Tanto più che queste tipologie di onda hanno una segnatura e caratteristiche ben determinate.

Qual è il suo ruolo all’interno della missione?

Quello che faccio è valutare l’effetto delle particelle dei raggi cosmici e quello delle particelle solari di alta energia che passano attraverso la sonda e vanno a caricare i cubi. Ora, questi cubi sono di metallo e se la loro superficie non è perfettamente piatta e levigata, lungo le imperfezioni che presentano si vanno ad accumulare delle cariche, le quali producono delle differenze di potenziale e tendono a spostare la massa, col rischio di invalidare l’esperimento.
Pertanto, io stimo la modalità di carica dei cubi (che, ricordiamolo, sono le masse di test) e sulla base dei risultati, i colleghi del team di ricerca preposto provvedono a scaricarli. Come? Puntando nell’intercapedine fra i cubi e il sistema capacitivo che li circonda un fascio di raggi ultravioletti che libera elettroni (di carica negativa) e, per effetto fotoelettrico, neutralizza la carica (positiva) indotta dai raggi cosmici e dalle le particelle solari.

Tredici lunghi anni di ricerca e finalmente lo spacecraft LISA Pathfinder è sulla rampa di lancio. Come ha vissuto l’esperienza irripetibile del countdown?

Ho seguito il lancio di LISA Pathfinder dalla base di controllo dell’ESOC (European Space Operations Centre) di Darmstadt, in Germania. Eravamo tutti col fiato sospeso ad aspettare il primo vagito del satellite dallo spazio. Poi la sonda si è separata dall’ultimo modulo del razzo Vega e, dopo un’ora e trenta minuti circa, ha stabilito il contatto con la base di controllo in cui mi trovavo. È stato un momento di immensa felicità.
Le grandi missioni sono in genere frutto di grandi collaborazioni. Nel nostro caso siamo meno di un centinaio. Ad Urbino, ad esempio, l’unico mio collaboratore è Michele Fabi che supporta quotidianamente la mia ricerca dal punto di vista tecnico, dal momento in cui questa attività è cominciata.
Più in generale, LISA Pathfinder è il frutto di una piccola comunità di fisici che ha richiesto un lunghissimo periodo di progettazione, una rilevante partecipazione delle industrie per la realizzazione e la spazializzazione e ha costituito una grande emozione, tutta vissuta e gelosamente conservata nei ricordi degli ultimi dieci secondi prima del lancio.

L’Università di Urbino partecipa con due diverse ricerche, LISA Pathfinder e VIRGO, al progresso dell’interferometria spaziale e terrestre. Due orientamenti di studio che si rincorrono o dialogano tra loro?

Reputo la scoperta delle onde gravitazionali una grande fortuna per le nostre missioni nello spazio. Di fatto, se gli esperimenti da terra avessero continuato a non dare risultati la realizzazione di eLISA avrebbe incontrato ostacoli considerevoli.
I due studi non competono tra loro. Tanto più che l’ingresso in LISA (Laser Interferometer Space Antenna) mi fu proposto proprio dal Professor Vetrano, Responsabile Nazionale per lungo tempo del progetto VIRGO. Quindi, l’interferometria terrestre e spaziale procedono parallelamente perché studiano sorgenti diverse e portano contributi che si completano. Del resto, in astrofisica occorre studiare corpi celesti diversi o stessi corpi con caratteristiche differenti.
Mi sento di dire che gli esperimenti dei due distinti e indipendenti filoni di ricerca urbinati, che avvengono nell’ambito di collaborazioni internazionali diverse, convergono verso un unico fine che è capire l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo del nostro Universo e spostare lo sguardo fino alle origini del mondo conosciuto e conoscibile.

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