Nadia_Parietti_università_Urbino

Nadia Parietti, vincitrice premio L’Oréal-UNESCO. Foto d’archivio L’Oréal

Nadia Pieretti, assegnista di Ricerca del Dipartimento di Scienze di Base e Fondamenti dell’Università di Urbino ha vinto il premio L’Oréal-UNESCO For Women in Science 2015. Siamo andati a trovarla e ci ha raccontato della borsa di studio, di ricerche e di analisi multi-frequenziali dei paesaggi sonori.

Dottoressa Pieretti, come nasce la sua partecipazione al premio L’Oréal-UNESCO?

Nasce dall’urgenza di trovare i finanziamenti necessari al proseguimento delle mie ricerche. Facevo il mio solito giro in rete selezionando bandi ai quali partecipare e mi sono imbattuta in quello pubblicato da L’Oréal-UNESCO. Ho inviato la documentazione necessaria e ho vinto una delle cinque borse di studio assegnate a ricercatrici d’età inferiore ai 35 anni, residenti in Italia e laureate in discipline afferenti all’area delle Scienze della Vita e della Materia. Per chi fa ricerca, i fondi e le convenzioni sono indispensabili. Il mio gruppo e io, ad esempio, al momento collaboriamo con il CoNISMa (Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare), con il CNR siciliano di Capo Granitola e dal 2012 con l’Universidade Federal de Minas Gerais (UFMG), in Brasile.

Quali sono gli argomenti di studio del suo gruppo di ricerca?

Il mio gruppo, coordinato dal professore Almo Farina Ordinario di Ecologia del Dipartimento di Scienze di Base e Fondamenti, studia i suoni della natura attraverso la Soundscape Ecology o Ecologia del paesaggio sonoro. La Sounscape Ecology non è altro che l’indagine delle biofonie ovvero i suoni emessi dagli animali, delle geofonie ossia i suoni della natura (pioggia, vento, onde del mare ecc.) e delle antropofonie cioè i suoni che introduce l’uomo, suoni che possono essere naturali come la voce, ad esempio, o le tecnofonie: suoni di tipo industriale (treni, macchine, aerei, ecc.). Nella pratica del nostro lavoro, collochiamo in determinate aree naturali speciali registratori automatici che non creano disturbo all’ambiente e agli animali che le abitano. Successivamente, effettuate le registrazioni, analizziamo in laboratorio i file acustici tramite software e indici che abbiamo progettato ad hoc e otteniamo la quantificazione e la caratterizzazione dei suoni che ci interessano. In sostanza, da una parte facciamo monitoraggio ambientale, soprattutto delle comunità animali, dall’altra facciamo analisi etologiche e cerchiamo di capire come cambia il comportamento di queste comunità quando sono soggette a rumore.

Il progetto finanziato da L’Oréal-UNESCO si colloca nel filone della Soundscape Ecology?

Sì. Il progetto vuole valutare, in un arco temporale di dieci mesi, l’impatto del rumore stradale su comunità di uccelli di bosco in aree protette. In particolare, vuole esaminare gli effetti che l’inquinamento acustico produce sui processi canori e, più in generale, vitali delle comunità di uccelli che abitano in prossimità di tratti stradali. Finora gli studi si sono concentrati in maniera pressoché esclusiva sulle singole specie, per lo più indagate in laboratorio, la mia ricerca considererà invece intere comunità e all’interno di queste individuerà le specie di uccelli più vulnerabili, quelle che tollerano con più difficoltà l’inquinamento acustico del traffico stradale.

Quali sono gli obiettivi della ricerca?

L’obiettivo è quantificare le caratteristiche fisiche e acustiche del paesaggio sonoro e capire quali specie scelgono di abbandonare zone caratterizzate da rumore molto alto, e quali quelle che decidono di vivere vicino all’autostrada occupando le nicchie territoriali lasciate libere dalle altre che se ne sono allontanate. Esistono uccelli, infatti, capaci di adattarsi a rumori elevati. Alcune specie si svegliano in anticipo per cantare prima dell’ora del traffico, altre dotate di un organo vocale (la siringe) più sviluppato cantano con maggiore forza o modificano le proprie frequenze di canto, altre ancora ripetono le strofe più volte perché siano sentite, ecc. Sarà interessante studiare le diverse strategie di adattamento, così come le variazioni di intensità o di modulazione del canto. Non dimentichiamo che per gli animali i suoni sono parametri vitali fondamentali dai quali dipende la comunicazione, la ricerca del cibo, la tutela di se stessi dai predatori, la riproduzione e molto altro, questo significa che se i suoni non riescono ad arrivare al giusto ricevente o a trasmettere il segnale voluto una serie di funzioni ecologiche non possono essere assolte.

Quali sono le ricadute previste?

Io faccio ricerca di base: individuo un possibile problema, lo studio e pubblico i risultati che dovranno poi servire come base per la ricerca applicata. Gli esiti della ricerca in questione potranno suggerire, ad esempio, ai colleghi ricercatori delle sezioni ingegneristiche dati utili alla costruzione di sistemi di schermatura dal rumore in eccesso e quindi di protezione delle specie di uccelli studiate. Inoltre, formulo nuove metodologie di analisi dei dati, urgentemente richieste dalla comunità scientifica internazionale in questo nuovo campo di ricerca, al fine di facilitare la lettura dei parametri ricercati. Quando mi chiedono “ma questo studio a cosa serve concretamente” rispondo che monitorare i suoni significa valutare lo stato di salute dell’ambiente e dell’ecosistema. Dico che noi siamo responsabili dell’ambiente in cui viviamo e che quindi dobbiamo adoperarci per preservarlo al meglio. Inoltre, se l’ecosistema funziona bene anche gli esseri umani ne traggono beneficio, se invece funziona male vuol dire che l’abbiamo inquinato così tanto che se dentro non riescono a vivere bene gli animali perché dovremmo viverci bene noi? Il benessere della natura è anche il nostro benessere.

Quali metriche e tecnologie consentono l’analisi del paesaggio sonoro?

Il professor Farina ed io abbiamo ideato un indice di complessità acustica (Acoustic Complexity Index, ACI) che da una parte filtra ed esegue una misurazione del rumore presente nell’ambiente considerato, dall’altra esalta i suoni emessi dagli animali. Prima del nostro ACI, nella valutazione delle biofonie (i suoni animali) inevitabilmente quote di rumore grezzo falsavano l’analisi, oggi cerchiamo di fornire una soluzione a questo problema. E per soddisfare la richiesta della comunità scientifica internazionale interessata all’indice abbiamo creato, con la collaborazione degli informatici del nostro dipartimento, un software (Soundscapemeter) che consente l’elaborazione automatica di registrazioni della durata di svariati mesi. Il link al software è nel sito del Dipartimento di Scienze di Base e Fondamenti e si può scaricare gratuitamente.

Il premio che ha vinto è un riconoscimento alle donne che si dedicano alla ricerca scientifica. Cosa rappresenta per lei?  

Questo premio è una grande soddisfazione sia in quanto giovane ricercatrice, sia in quanto donna. Significa molto perché ad un certo punto della vita anche noi donne che facciamo ricerca vorremmo concretizzare un progetto di maternità, ma non sempre riusciamo nell’impresa. Succede infatti che superata la fase del dottorato entriamo nel limbo molto precario dell’assegno di ricerca e siamo costrette a scegliere tra la sospensione della ricerca per fare un figlio e il differimento del desiderio di maternità per fare un figlio una volta ottenuto un contratto a tempo indeterminato. L’intento del premio L’Oréal-UNESCO è di promuovere, attraverso una borsa di studio, il nostro percorso accademico.

Le donne quanto hanno conquistato in fatto di parità di genere nella scienza?

Personalmente non sono mai stata oggetto di discriminazione quindi posso dire che l’uguaglianza con molta probabilità esiste. Si tratta però di percorsi altamente competitivi che in dirittura d’arrivo hanno pochissimi posti di impiego a disposizione. Per cui gli uomini tendenzialmente procedono spediti anche se con famiglia a carico, le donne se scelgono la famiglia inevitabilmente arrancano.

Ha mai pensato di fare ricerca all’estero?

Sia a me, sia a mio marito, assegnista presso un altro dipartimento, non mancano proposte di collaborazione e lavoro dall’estero, eppure continuiamo entrambi ad impegnarci quanto più possibile per rimanere in Italia, nella nostra Università.

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