Il pane, la birra, il vino, lo yogurt. Questi quattro prodotti, così semplici, in realtà hanno bisogno sia della biologia che della tecnologia per esistere. Appartengono in senso stretto alle biotecnologie che, contrariamente a quanto si possa pensare, non sono prerogativa dell’epoca moderna. Gli antichi le conoscevano e le usavano. La fermentazione, per esempio, un processo biotecnologico, era in uso presso gli egizi oltre 4.000 anni fa. Oggi, in particolare in questi giorni nei quali si è da poco conclusa l’European Biotech Week, questa branca della scienza appare ed è certamente più sofisticata. Eppure in comune con le sue stesse origini mantiene il carattere di scienza applicata. La Commissione europea non a caso ha identificato le biotecnologie tra le Key Enabling Technologies, fondamentali per la crescita e l’occupazione.

La Scuola di Urbino

Il professor Mauro Magnani

Il professor Mauro Magnani

L’Università di Urbino ha attivato da circa un decennio la Scuola in Scienze Biotecnologiche e in particolare il corso di laurea triennale in Biotecnologie, che a settembre ha ospitato il Congresso Nazionale della Società Italiana di Biochimica e Biologia Molecolare e il premio Nobel per la Chimica Ada Yonath. “Questa disciplina – spiega il coordinatore, il professor Mauro Magnani – studia il funzionamento degli organismi viventi cercando di trarne vantaggio nei diversi campi della ricerca. Per questo motivo i nostri studenti non sentono solo parlare di biotecnologie ma si formano in laboratorio, continuamente affiancati da docenti. Una delle caratteristiche di questa attività è inoltre la frequenza obbligatoria ad almeno un laboratorio l’anno. Nell’insegnamento si parte dalla ricerca di base (su cellule e organismi viventi), per poi giungere a un’applicazione pratica che può contare su tutta la strumentazione che occorre: ultra centrifughe, sequenziatori di DNA e oltre”.

Opportunità

Le innumerevoli applicazioni pratiche delle biotecnologie, basti citare la medicina (l’Università di Urbino è prevalentemente a indirizzo biomedico), l’agricoltura, la farmacologia, già di per sé sono garanzia delle opportunità lavorative che questo percorso formativo ha davanti. Di opportunità si può e si deve parlare anche in relazione alla tipologia del corso: “Una delle nostre caratteristiche – dice Magnani – è l’intensa attività svolta sia nelle strutture universitarie sia all’esterno. Poter preparare la tesi presso un laboratorio pubblico o privato, poter svolgere stages nelle aziende (tante, italiane e straniere) che sono in collegamento con l’Ateneo, offre maggiori possibilità di impego”. C’è infine un dato fornito dal coordinatore per sottolineare l’interesse del mercato per il lavoro del biotecnologo: “L’anticorpo monoclonale brevettato da Diatheva è stato recentemente acquistato da un’azienda americana per 44 milioni di dollari”. Sempre sulla scorta delle ricadute economiche e l’impatto sul Pil: “Nel I semestre 2015 l’area biotecnologica è cresciuta più di tutte le altre, registrando un notevole incremento degli investimenti”.

Ricerca

Questo è il vero motore della didattica. “Le biotecnologie – dice Mauro Magnani – sono in costante aggiornamento; le soluzioni che abbiamo a disposizione oggi grazie a questa scienza, rispetto soltanto a qualche anno fa, hanno subito profondi cambiamenti. In un ambito come questo, che è innovativo per definizione, il lavoro di ricerca scientifica è oltretutto la base per una didattica di qualità”. A Urbino, nella fattispecie, l’insegnamento acquisisce spunti dalla ricerca nell’area della diagnostica molecolare e delle terapie innovative. Un termine dietro al quale secondo molti scienziati si cela il futuro della medicina. “Grazie alle nuove tecniche che si stanno perfezionando ci avvicineremo sempre di più all’appropriatezza diagnostica che valuterà a priori l’efficacia dei farmaci a partire dalla variabilità genetica individuale. In questo modo, restando in Italia, potremo migliorare il sistema sanitario nazionale. Anziché somministrare lo stesso farmaco a dieci pazienti, sapendo che le probabilità di ottenere effetti benefici non riguarda la totalità dei casi, saremo in grado di fare un discernimento affinché si arrivi ad una terapia personalizzata”. Conseguenza diretta della ricerca sono infine gli spin-off, pilastri di R&S. La Scuola di Scienze Biotecnologiche della Carlo Bo ne conta due: Diatheva SrL, già citata, ed EryDel SpA. “Insieme – commenta Magnani – rappresentano l’approdo dalla sperimentazione al prodotto, dal laboratorio all’impresa. Al loro interno riusciamo ad ‘ospitare’ anche alcuni laureandi per la preparazione della tesi, oppure per i lavori di gruppo su di uno specifico progetto di ricerca”.

Orientamento

Nonostante le aspettative riposte sulle biotecnologie, al di fuori degli addetti ai lavori il tasso di conoscenza è basso. L’Università di Urbino sta facendo allora lo sforzo di portare queste materie nelle scuole superiori. “Ogni anno – conclude il professor Magnani – selezioniamo alcuni studenti per stage estivi in laboratorio”. Un’occasione non solo per orientare i più giovani verso queste discipline, ma anche per diffondere una cultura scientifica troppo strategica per essere ancora così poco condivisa.

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