Abbiamo voluto inaugurare la sezione Uniamo Ricerche intervistando il Professor Flavio Vetrano Ordinario presso il Dipartimento di Scienze di Base e Fondamenti nonché Prorettore alla Ricerca e scienziato. L’esperienza di ascolto è stata un viaggio in otto volante tra neutrini ed elettroni passando per Leopardi e Le Corbusier.
Professor Vetrano, come si è sviluppato negli anni il suo percorso di ricerca ?
Sono arrivato a Urbino nel 1972 e ho cominciato a lavorare sulla meccanica quantistica, sui problemi fondamentali della struttura della materia, sulla termodinamica di non equilibrio collaborando con il gruppo di Ilia Prigogine, recente premio nobel per la Chimica. Poi mi sono dedicato alla fisica terrestre realizzando una stazione sismica in zona Cesane. Negli anni ‘80 mi sono occupato dell’informatizzazione dell’Ateneo, più precisamente nell’84 ho concepito il progetto di base, vincendo il concorso che ha portato il ministero a finanziarlo completamente. Più avanti mi sono dedicato alla fisica del neutrino, con ricerche presso i laboratori nazionali del Gran Sasso. Negli anni ’90 l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare mi ha chiesto di organizzare la sezione di Firenze per favorire il decollo del progetto internazionale “Virgo”, da realizzarsi in Italia. Sono entrato nel vivo dell’esperimento e poco tempo dopo me ne è stato affidato il coordinamento fino al 2010, anno in cui ho cominciato a lavorare al nuovo progetto “Interferometro Atomico”.
Attualmente quali argomenti interessano i suoi studi?
Faccio parte del gruppo di scienziati che coordina il progetto “ACES” dell’European Space Agency. In sostanza, si tratta di un piano di sincronizzazione di tempi e di orologi attraverso una rete di satelliti circumterrestri. Partecipo soprattutto ad esperimenti sulle onde gravitazionali nell’ambito dei progetti “Virgo”, “Lisa” (Large Interferometry Space Antenna) e di quello in costruzione dell’Interferometro atomico. “Virgo” è uno degli esperimenti terrestri più dispendiosi e impegnativi finanziati a livello internazionale: la nostra soddisfazione può sintetizzarsi dicendo semplicemente che Urbino ne è stata a capo.
Il Miur ha concesso allo studio triennale sull’interferometria atomica di cui lei è il Project Leader 1,5 milioni di euro per il primo anno. Al progetto il blogazine dedicherà uno spazio informativo maggiore più avanti, intanto può dirci di cosa si tratta?
Di un’indagine sulle onde gravitazionali. Onde che non ha mai visto nessuno perché sono molto deboli, talmente piccole rispetto alle dimensioni umane che è quasi impossibile vederle. Quasi. Noi le abbiamo cercate e allo scopo, alla fine degli anni ’80, abbiamo costruito Virgo: un rivelatore interferometrico di onde gravitazionali. È composto da due bracci di 3 km ciascuno cui sono appesi, con una geometria complicata, specchi specialissimi. Un raggio laser viaggia avanti e indietro e se arriva l’onda gravitazionale gli specchi oscillano producendo effetti sulla luce inviata dal laser e fornendo la misura dell’oscillazione. Questo in soldoni poi, certo, lo strumento sottende una tecnologia formidabile che ha consentito una ricaduta di moltissimi brevetti.
“Virgo” è un progetto importantissimo costato complessivamente più di 200 milioni di euro del quale, con il sottoscritto, l’Università di Urbino è stata a capo. Iniziato alla fine degli anni ’80, nel 2005 dopo quasi vent’anni ha cominciato a raccogliere dati. Tuttavia non è ancora sufficiente e da qui la mia idea di sostituire i fotoni di luce con atomi volanti nella struttura di un interferometro atomico che stiamo costruendo a Firenze con il contributo del Miur di cui ha detto nella domanda.
Dichiaro preventivamente la provocazione. Ricerca di base o ricerca produttiva?
“Virgo” e l’interferometro atomico che ne è il seguito sono ricerche di base. Ricerche per cui la scienza risponde alla domanda: come è fatto l’universo? Quando si cerca la risposta a questa domanda e dal nulla si crea qualcosa che permette di raggiungere vette di partecipazione alla conoscenza che prima non si avevano, la ricaduta è prima di tutto il benessere intellettuale dell’uomo e poi un benessere più pratico perché ciascuna scoperta di base si trascina dietro una serie di brevetti con impatto sulla vita quotidiana. Noi, tanto per fare il primo esempio che viene in mente, attraverso gli strumenti di interferometria abbiamo costruito tecniche straordinarie di isolamento dal sisma.
Non ha molto senso richiedere una ricerca finalizzata a qualcosa che si vuole ottenere il giorno dopo. Gli studi devono guardare molto lontano perché l’uomo è abituato a guardare lontano. Sa cosa diceva Einstein? “Non esiste la ricerca applicata, esistono le geniali applicazioni della ricerca”. La ricerca dev’essere libera, nel rispetto certo di limiti etici e di convivenza sociale.
La ricerca dev’essere libera e interdisciplinare?
Certo, interdisciplinare. Secondo me i saperi devono comunicare tra loro. Una delle domande che uno scienziato puro può porsi è “come mai io posso vivere nell’universo”?
Si è portati a pensare che l’universo sia una cosa meravigliosa a misura umana e invece l’universo è un luogo decisamente inospitale per l’umanità. Da qui la necessità per scienziati come Stephen Hawking, ad esempio, di cercare di comprendere il ruolo dell’uomo all’interno di quest’universo e di scrivere sull’argomento, certo in maniera quantitativa. Il fatto interessante è che anche i poeti si sono posti gli stessi interrogativi. Penso a Langston Hughes che si chiedeva “ma che ruolo ho io nell’universo?” Un giorno potrò capire qual è la distanza a cui può arrivare la mia intelligenza” e declinava il tutto in versi. Una sua poesia recita: “là dove il nulla è tutto”. Oggi in termini scientifici ci si pone il problema di cosa sia l’energia dell’universo, e appunto “là dove il nulla è tutto” può essere la risposta, perché anche là dove l’universo è vuoto c’è l’energia del vuoto. Per la scienza il nulla può essere tutto e in essa il problema di come nasce l’energia del vuoto apre orizzonti speculativi immensi. Quindi questa è la bellezza della cultura che i nostri tempi attraversano, questo allargarsi del “problema” a una ricerca congiunta e interdisciplinare della soluzione al problema sempre uguale e sempre diverso.
E la ricaduta?
Se mi chiede questa ricerca intorno al ruolo dell’uomo nel mondo quanti brevetti potrebbe produrre, le rispondo oggi nessuno, ma tra vent’anni può darsi che trovando la soluzione al problema scopriremo il modo, ad esempio, di compattare i rifiuti in un piccolo angolino multidimensionale dell’universo nel quale c’è il nulla e per qualche miliardo di anni quei rifiuti magari produrranno energia senza dare fastidio a nessuno!