Lunedì 12 aprile, la Rai ha dedicato lo speciale del TG1 all’esplorazione spaziale. Tra i protagonisti della puntata Ad astra, curata da Elisabetta Mirarchi, anche il Premio Nobel per la Fisica 2019, Didier Queloz, gli astronauti Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano, la scienziata Amalia Ercoli Finzi, prima donna laureata in ingegneria aeronautica nel nostro Paese, il Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Giorgio Saccoccia, e l’astrofisica Francesca Faedi: scienziata da sempre impegnata nella ricerca di pianeti extrasolari, che di recente è entrata a far parte del Gruppo Virgo Urbino-Firenze di Uniurb.
Conosciamola insieme nell’intervista che segue.

 

Francesca Faedi

Dottoressa Faedi, di recente ha avviato un nuovo percorso di ricerca nel Dipartimento di Scienze Pure e Applicate di Uniurb occupandosi di astrofisica gravitazionale. Come ha trascorso questi primi mesi di lavoro a Urbino?

Ad Urbino mi trovo molto bene. Sono di Pesaro per cui mi fa piacere fare ricerca a due passi da casa, nella mia regione. Sono stata ben accolta dai colleghi e con Gianluca Guidi, che è a capo del Gruppo Virgo Urbino-Firenze, lavoro benissimo.

 

Certo, arrivo da un campo di ricerca parallelo a quello delle onde gravitazionali – perché mi sono sempre occupata di esopianeti – inoltre, ho cominciato questa nuova esperienza poco tempo fa, il 16 novembre 2020, per cui mi sento quasi una studentessa che deve prendere confidenza con le tante informazioni nuove, però affronto tutto con entusiasmo e cerco di colmare il gap più velocemente possibile e di produrre risultati in vista dei prossimi run che ci saranno con Virgo-LIGO.

Qual è il suo ruolo nel team di ricerca?

Faccio parte del gruppo di data analysis e, quindi, mi occupo della componente di rilevazione delle onde gravitazionali.
Attualmente tre diversi metodi rivelano le onde gravitazionali, uno di questi si chiama Multi Band Template Analysis (MBTA) ed è quello al quale lavoro.
In sostanza, creo attraverso software specifici, già a disposizione di tutta la coalizione Virgo-LIGO, delle banche di template, cioè delle potenziali onde gravitazionali che si prevede di rilevare e, attraverso un algoritmo, metto a confronto il segnale creato in laboratorio con quello che effettivamente si osserva nella rilevazione così da ottimizzare progressivamente le detection successive.

Il 12 aprile la Rai ha condiviso uno speciale sull’esplorazione spaziale di cui anche lei è stata protagonista, nelle stanze del Gabinetto di Fisica dell’Università di Urbino.

Sì. Il mese scorso sono stata contattata da una giornalista del Tg1 che mi ha invitato a partecipare ad uno speciale sullo spazio insieme al Premio Nobel per la Fisica, Didier Queloz. Ho sentito Didier, anche lui ha risposto positivamente all’iniziativa e in collegamento da remoto ha preso parte all’intervista.

 

Il mio intervento è stato invece registrato, su mia richiesta, all’interno del Gabinetto di Fisica, un posto eccezionale che avevo visitato due anni fa e che mi aveva molto colpito.
Un museo bellissimo che al suo interno raccoglie oltre 700 strumenti scientifici databili tra la seconda metà del XVIII e i primi anni del XX secolo, alcuni dei quali di valore inestimabile. Ho proposto il luogo anche per raccontare all’Italia e al mondo che esiste, e il Rettore ha fatto in modo che le telecamere potessero accedervi.

Con Didier Queloz, Premio Nobel per la Fisica 2019, ha firmato 28 pubblicazioni, è esatto?

Sì. Ho lavorato con lui in Inghilterra, per oltre 11 anni. È una persona molto gradevole, competente, cordiale, alla mano, con cui mi sono sempre trovata bene. Un uomo umile, con i piedi per terra, sempre molto disponibile.
Insieme abbiamo lavorato al progetto WASP (Wide Angle Search for Planets) che fa capo a un consorzio di diverse Università e centri di ricerca del Regno Unito e ha come obiettivo la ricerca di pianeti extrasolari. Non a caso, dal momento che Didier ha vinto il Nobel per la fisica proprio per aver scoperto, venticinque anni fa, il primo esopianeta: il 51 Pegasi b!

 

In sostanza, WASP cerca pianeti extrasolari e per farlo utilizza telescopi posizionati nell’emisfero Nord e nell’emisfero Sud che osservano simultaneamente ampie sezioni della volta celeste.
Ecco, nell’ambito di questo progetto io ho gestito la campagna osservativa occupandomi della selezione dei pianeti cosiddetti “candidati”, di quei pianeti, cioè, che per caratteristiche specifiche possono avere accesso all’osservazione vera e propria. Collaborando con molti scienziati a livello globale, lavoravo anche con Didier.

 

Oltre all’osservazione stessa e alla selezione curavo anche la scrittura di proposal, vale a dire di testi scientifici che giustificano e motivano la richiesta di un certo tempo di indagine del pianeta candidato a un determinato telescopio. Mi occupavo, quindi, di osservare e analizzare i dati e di curare la stesura degli articoli.

51 Pegasi b. Credit: ESO/M. Kornmesser/Nick Risinger (skysurvey.org)

L’altra sua grande passione è la divulgazione scientifica, per la quale il 27 dicembre 2019, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella le ha conferito l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana.

Da quando ho cominciato a lavorare nell’ambito della ricerca, ho sempre fatto divulgazione scientifica dedicando a questa attività il mio tempo libero.
Devo dire che in Inghilterra la divulgazione è un’esperienza molto comune. I bambini già alle elementari sono molto coinvolti dalle Università attraverso programmi che ne sollecitano la curiosità. E poi le scuole di ogni ordine e grado visitano gli Atenei sistematicamente e partecipano ad attività di outreach di cui si fanno carico, su base volontaria, i docenti e i ricercatori: dai professori di livello più alto ai dottorandi.

 

Nel nostro Paese, purtroppo, ancora siamo indietro e di scienza si continua a parlare molto poco. Per cui quando sono rientrata in Italia ho scelto di collaborare con le scuole gratuitamente. Ho preparato il mio bel set di palloni colorati e ho cominciato a raccontare la scienza attraverso il gioco, provando così a trasmettere la mia passione per l’astronomia soprattutto alle ragazze, e a far capire loro che questa è una strada percorribile alla quale possono accedere, testardamente e al di là di qualsiasi pregiudizio.

Più capillare sarà la divulgazione scientifica, maggiore sarà la presenza femminile nei percorsi universitari tecnico-scientifici?

Sì, certo. Purtroppo le ragazze oggi non hanno modelli femminili di riferimento da seguire; di rado vedono e sentono parlare in tv o sui social le scienziate, e devono fare i conti con discriminazioni e pregiudizi culturali – per i quali, ad esempio, i percorsi tecnico-scientifici sono più adatti ai maschi – che si alimentano nella famiglia, nella scuola stessa e nella società.

 

Quando parlo con loro della possibilità di scegliere lauree non umanistiche, le vedo prima incuriosite e subito dopo titubanti e spaventate; mi dicono “è difficile, non penso di farcela”. Ed è allora che sento proprio di volerle accompagnare, quasi come role model di prossimità, raccontando la mia esperienza e dando la mia disponibilità a essere contattata, a rispondere alle loro domande, a parlare con loro.

 

Ma il punto è che bisogna cominciare a spiegare la bellezza della scienzache non ha genere – non quando i giovani hanno diciotto anni, ma quando frequentano la scuola dell’infanzia.
Io con i miei figli maschi, di uno e tre anni, lo faccio perché solo accompagnando in questo percorso bambini e bambine riusciremo a creare una società aperta ed egualitaria.

Oggi studia le onde gravitazionali, ma la sua ricerca ha sempre ruotato intorno agli esopianeti. Che cosa sono e perché è importante indagarli?

Gli esopianeti sono pianeti che orbitano intorno ad altre stelle che non sono il nostro Sole. Nel nostro sistema solare esistono otto pianeti, mentre fuori dal sistema solare, in orbita intorno ad altre stelle, ne abbiamo scoperti più di 4300.
Il campo di ricerca degli esopianeti è importante perché è trainato dalle osservazioni, da dati oggettivi che scardinano le nostre conoscenze e ci forzano a rivedere la teoria intera e a ricostruirla da zero per cercare di spiegare quello che osserviamo.

 

Abbiamo capito, ad esempio, che l’80% dei pianeti scoperti non ha un equivalente nel nostro sistema solare.
Nel nostro sistema solare ci sono quattro pianeti rocciosi, interni, piccoli e quattro pianeti gassosi, esterni, grandi, ma mancano pianeti con dimensioni intermedie che invece osserviamo comunemente fuori dal sistema solare.
Si tratta, quindi, di una sorta di seconda rivoluzione copernicana che ci porta a collocare il sistema solare in un contesto di planetologia comparativa molto più ampio, in cui è solo uno dei tanti.

L’ideale per Uniurb sarebbe intercettare esopianeti attraverso le onde gravitazionali!

È un’idea futuristica, nel senso che non è realizzabile attualmente perché mancano le potenzialità tecniche, ma uno studio del 2019 teorizza la possibilità di utilizzare il rilevatore LISA (Laser Interferometer Space Antenna), che sarà in orbita nel 2034/2036, e le onde gravitazionali per intercettare, in particolare, gli esopianeti che orbitano intorno a sistemi binari di stelle cosiddette nane bianche.

 

Ma a Urbino si potrebbero studiare anche gli esopianeti coinvolgendo i colleghi di altre aree disciplinari: ad esempio, l’indagine geofisica, biologica e atmosferica è fondamentale nello studio della planetologia extrasolare.
Insomma, in questo Ateneo ci sono tante competenze diverse con le quali poter dialogare in un’ottica di interdisciplinarità, che è fondamentale perché se non sono interdisciplinari le domande che ci poniamo non potranno essere aperte la risposte che cerchiamo.

 

Immagine di copertina. Credit LIGO/Caltech/MIT/R. Hurt (IPAC).

 

 

Pin It on Pinterest

Share This