Giulio Regeni, Patrick Zaki, Ahmed Samir, Niloufar Bayani, Santawy Ahmadreza Djalali, Maryja Rabkova…
Esiste una geografia della libertà? A disegnarla, per contrasto, sono i nomi degli uomini e delle donne vessati, arrestati illegalmente, torturati e uccisi entro i confini di Stati e di governi ostili alla libera espressione e alla ricerca indipendente.
Le linee di questa mappa si rintracciano nelle molte attività che il network universitario internazionale, Scholars at Risk, porta in campo per promuovere e dare impulso alla tutela e alla protezione di studenti e studiosi che fanno ricerca in Paesi a rischio.
Dallo scorso febbraio anche l’Università di Urbino, su proposta del Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG), ha aderito alla rete SAR per sostenere l’autonomia della scienza e il riconoscimento inalienabile dei diritti fondamentali della persona.
Ne parliamo con la Professoressa Raffaella Sarti, Presidente del CUG, e con il Professor Stefano Visentin, membro del CUG e referente di Ateneo per i rapporti con Scholars at Risk.

 

 

Il Professor Stefano Visentin

Professor Visentin, presentiamo Scholars at Risk ai lettori di Uniamo?

Volentieri. Scholars at Risk, “studiosi a rischio”, è una rete internazionale di istituti di formazione superiore nata negli Stati Uniti – a Chicago per la precisione – nel 1999, con l’obiettivo di proteggere studiosi e studiose, ricercatori e ricercatrici di tutto il mondo dalle minacce e dai pericoli che incontrano nello svolgimento del proprio mestiere. Pensiamo al caso dell’omicidio di Giulio Regeni o all’incarcerazione di Patrick Zaki.

 

Dagli Stati Uniti SAR si è estesa ad ampio raggio, soprattutto in Europa e, in generale, in Occidente, attraverso una serie di sezioni nazionali che raccolgono più di 500 istituzioni di oltre 40 Paesi. Inoltre, sono stati istituiti contatti informali con diversi Atenei africani e asiatici.
Nel febbraio 2019 è stata inaugurata la sezione SAR Italia, coordinata per il biennio 2019-2021 dalle Università di Padova e Trento, che conta oltre 32 membri tra istituzioni universitarie, centri di ricerca e associazioni.

 

Il 21 febbraio 2021, su proposta del Comitato Unico di Garanzia (CUG), anche l’Università di Urbino è entrata a far parte del network internazionale Scholars at Risk, e dalla settimana successiva ha aderito a SAR Italia.

La Professoressa Raffaella Sarti

Professoressa Sarti, l’adesione di Uniurb a SAR ha preso forma nel perimetro del CUG – il Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni – è esatto?

Sì. L’idea di proporre l’adesione dell’Università di Urbino alla rete internazionale SAR è nata nell’ambito del CUG. La proposta è stata avanzata da Stefano Visentin, che fa parte del Comitato Unico di Garanzia in qualità di rappresentante del Personale Docente, e io da subito l’ho sostenuta perché conosco le attività della rete internazionale e conosco Ester Gallo – studiosa dell’Ateneo di Trento e referente, con altre colleghe, di SAR Italia – che, tra l’altro, ha lavorato in una Università turca in un momento di conflitto particolarmente acuto con le autorità e di grave limitazione della libertà d’insegnamento e di ricerca.

 

Anche le altre e gli altri membri del CUG hanno espresso posizioni simili: insomma, ci è parso che farci portatrici e portatori di questa proposta rientrasse pienamente in quelle che sono le finalità del Comitato Unico di Garanzia, che mira a garantire non solo la parità di genere e a valorizzare il benessere lavorativo, ma anche a lottare contro qualunque forma di discriminazione.
Pertanto, abbiamo avanzato la proposta agli organi di Ateneo. Ora che la proposta è stata approvata e che abbiamo aderito a SAR, organizzeremo degli eventi per far conoscere la rete in Ateneo e parteciperemo alle sue attività.

Professor Visentin, attraverso quali azioni si realizza concretamente il sostegno di SAR agli studiosi a rischio?

I principali ambiti di intervento di SAR sono tre: protection, advocacy, learning. In primo luogo la rete ha l’obiettivo di dare rifugio e assistenza a docenti e ricercatori costretti a fuggire dai Paesi di appartenenza. Ogni anno garantisce, infatti, protezione e sostegno a più di 300 studiosi e studiose che si trovano ad affrontare gravi minacce a qualunque latitudine.

 

Inoltre, SAR si impegna a monitorare e a contrastare gli attacchi alle istituzioni universitarie e ai singoli docenti e ricercatori, attraverso petizioni o interventi specifici presso i governi nazionali.
Infine, interviene anche all’interno delle Università, attraverso la promozione di indagini e studi, di campagne di divulgazione e incontri per sensibilizzare docenti e studenti sul tema della difesa della libertà di ricerca.

Il nostro Ateneo ha programmato eventi di sensibilizzazione e sostegno alla difesa della libertà di ricerca?

Stefano Visentin ─ Entro l’estate ci piacerebbe organizzare un incontro con i membri del comitato direttivo di SAR Italia e SAR International richiamando l’attenzione dei docenti, del personale tecnico-amministrativo e, soprattutto, degli studenti del nostro Ateneo rispetto a questa realtà drammatica. Tutti conoscono i casi Regeni e Zaki, che ho citato precedentemente, ma probabilmente molti ignorano quanto esteso sia il fenomeno e ignorano anche le iniziative messe in atto per arginarlo e contrastarlo.

 

L’incontro sarebbe, inoltre, funzionale ad organizzare un vero e proprio team di lavoro coinvolgendo anche gli studenti in una collaborazione con SAR Italia, così da avvicinarli progressivamente al tema attraverso l’impegno comune declinato in eventuali percorsi di internship.
Intanto, stiamo pianificando una collaborazione intra-universitaria con i colleghi del nostro Ateneo che si occupano di relazioni internazionali e della difesa dei diritti umani e della cooperazione, e una collaborazione con le realtà locali e regionali – prima tra tutte l’Università di Macerata che fa parte di SAR Italia – per raggiungere e sensibilizzare un bacino più ampio di persone e riuscire a portare un aiuto sul campo ospitando, ad esempio, colleghi stranieri perseguitati nei Paesi di origine.

Raffaella Sarti ─ Come dicevo poc’anzi, metteremo anche in cantiere una serie di azioni che speriamo sollecitino la partecipazione della nostra comunità accademica alle attività di questo team ancora aperto.

Aspettando il primo evento SAR-Uniurb, qual è il messaggio che possiamo condividere da subito con la nostra comunità universitaria?

Stefano Visentin ─ Mi piacerebbe che tutti ci rendessimo conto che queste violazioni delle libertà di chi fa ricerca scientifica, di chi studia e lavora nell’Università che percepiamo come distanti e rare in realtà accadono anche a un passo da noi. Un esempio recente riguarda l’Ungheria, dove una legge ha posto le Università sotto la guida di fondazioni private per assoggettarle al controllo capillare delle forze governative. Capiamo bene, quindi, che anche in un Paese europeo la libera ricerca è fortemente messa in discussione.

Raffaella Sarti ─ Vorrei che l’adesione di Uniurb a SAR ci stimolasse a riflettere sul valore della nostra libertà individuale e della libertà di ricerca e di insegnamento e ad agire per difenderle e ampliarle. Come diceva Stefano, non dobbiamo darle per scontate perché di fatto sono a rischio in contesti anche molto vicini.

 

Tra l’altro, spesso si pensa che ad essere minacciati siano soprattutto donne e uomini le cui ricerche hanno a che fare con tematiche legate a segreti militari, agli armamenti, al nucleare, o a temi del genere. In realtà il ventaglio di tematiche che possono risultare “sgradite” è potenzialmente sconfinato. Ad esempio, gli studi di genere sono oggi particolarmente sotto attacco in Paesi come Ungheria e Polonia; più in generale, argomenti e studi legati ai diritti delle persone possono esporre chi li porta avanti a forme di ostracismo e persecuzione anche molto gravi.

 

 

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