Nel 1965 la casa di produzione cinematografica Unitelefilm confeziona il documentario Una città che non deve morire, con regia di Diego Fiumani, consulenza di Giancarlo De Carlo e voce di Nando Gazzolo. Nel filmato, le immagini di Urbino abbandonata all’incuria scorrono sulle parole dell’omonimo scritto, in cui il discorso di Bo rompe gli schemi della prosa e si affida a un’articolazione di denuncia, di protesta, di invocazione.
Edito in Carlo Bo, Discorsi rettorali, Urbino, Argalia 1973, e più avanti in Carlo Bo, Parole sulla città dell’anima, curato di G. Santini, Urbino, Assessorato alla Cultura 1997, il brano Una città che non deve morire è oggi interpretato da Michele Pagliaroni, attore, drammaturgo, regista teatrale e Direttore Artistico del “Centro Teatrale Universitario Cesare Questa”.
Partner del progetto internazionale Urbinate per sempre. Architetture della luce e dello spirito – ideato e coordinato da Tiziana Mattioli, docente di Letteratura italiana dell’Ateneo urbinate, e promosso nell’ambito del Prorettorato allo Sviluppo di Partenariati Strategici Nazionali e Internazionali – Michele Pagliaroni approda, nell’intervista che segue, a considerazioni sulla visione di Bo e su quanto forma e regola il senso più profondo della “rinascita”. Anche attraverso il gioco teatrale.
Per ascoltare e leggere i testi è possibile accedere al sito dedicato al progetto cliccando su eventi.uniurb.it/urbinate-per-sempre
Michele, da oggi anche tu Urbinate per sempre!
Oggi più che mai! L’invito – gentilissimo – della Professoressa Tiziana Mattioli e la partecipazione al progetto sono stati un grande onore per me. Non è una frase di circostanza, ti prego di crederlo: interpretare questo testo, che non conoscevo, è stato un privilegio enorme proprio in virtù di tutto ciò che Carlo Bo rappresenta. Di recente, ho avuto modo di avvicinarmi alla figura e all’opera del Magnifico perché una serie di iniziative del Centro Teatrale Universitario ha fatto ampio riferimento alla sua figura.
In particolare lo scorso anno, durante la terza edizione del festival Urbino Teatro Urbano, il CTU ha prodotto Urbino primo cittadino, uno spettacolo itinerante (scritto da Aureliano Delisi) basato su un gioco ironico intorno agli urbinati più eminenti, che nel finale portava in scena Carlo Bo (interpretato da Giacomo Lilliù). E proprio quel monologo conclusivo, che raccontava la sua visione su Urbino e portava una lucida morale rispetto agli obiettivi raggiunti durante gli anni di rettorato e a quelli mancati, ha acceso la mia curiosità e il desiderio di riscoprire Bo.
Una città che non deve morire: lette o ascoltate queste pagine sciolgono i fatti urbinati degli anni ’50 in una progressione drammatica di bellezza, non credi?
Hai usato un’espressione molto adatta: “progressione drammatica”. Perché, in una dimensione tutta teatrale, la parola “dramma” non di rado coincide con la parola “storia” e contiene in sé il senso di un movimento, di una crescita e di una costruzione condivisa. E in questa pagina di Carlo Bo l’idea della costruzione (e della ricostruzione) emerge fortemente.
Non dimentichiamo che lo scritto si inquadra negli anni che precedono l’arrivo di Giancarlo De Carlo a Urbino, e già contiene in fase embrionale quella che sarà poi la volontà di ricostruzione che il Rettore condividerà con l’Architetto. Infatti, nel testo che ho interpretato, Bo usa il termine “rinascita” e mai “Rinascimento”; trovo questo molto interessante. Oggi quando si parla di Rinascimento – fuori dal contesto storico e artistico – si tratta spesso il termine in forma di slogan, svuotandolo di ogni complessità.
Preferisco sentire la parola “rinascita” perché contiene in sé il concetto di gestazione, nel senso di una lenta e costante preparazione, tesa a una nuova vitalità e non ad una riproposizione di schemi – ormai – inattuali. Va detto, inoltre, che questa stessa volontà “ri-creatrice” accomuna tanti personaggi che hanno attraversato Urbino nel periodo del rettorato di Bo. Faccio solo l’esempio di Gino Girolomoni perché sulla vocazione alla rinascita, che ne ha orientato la vita e l’impresa, il CTU sta producendo uno spettacolo proprio in questi giorni.
Anche il tuo amore per Urbino si risolve nella concretezza creativa del festival Urbino Teatro Urbano e, più in generale, dell’impegno al servizio della comunità.
Con tutti i miei colleghi del Centro Teatrale Universitario condivido un amore profondo verso questa città. Non è un’infatuazione – ormai ci sembra chiaro – ma un sentimento complesso, dal quale emerge una cura costante per il luogo in cui abbiamo deciso di vivere. E il festival Urbino Teatro Urbano – che il CTU organizza dal 2018 con il sostegno del Comune di Urbino e di numerosi partner – può essere senz’altro considerato come un intervento di tipo strutturale che procede nella direzione di questa attenzione e premura per la città, e che vuole contribuire alla rinascita – auspicata dallo stesso Bo – della sua comunità.
Per caratteristiche che le sono proprie, la comunità di Urbino è formata dai cittadini residenti e dagli studenti: due anime che tramite il teatro – soprattutto durante il festival – si stringono in comunione come non mai, non solo per assistere all’atto rituale collettivo della scena, ma anche per partecipare attivamente alla costruzione del festival stesso.
Per Carlo Bo la “collaborazione spontanea fra una città monumentale e una popolazione di giovani lascia intendere in che modo si deve pensare alla cultura”.
Un modo che il Centro Teatrale Universitario interpreta e trasforma insieme agli studenti di Uniurb in esperienza d’arte?
Assolutamente sì! Mi ha fatto felice leggere e scoprire queste righe perché con il CTU stiamo giungendo a conclusioni molto simili. Bo parlava di una città monumentale in dialogo con una popolazione di giovani e anche noi, oggi, parliamo di una particolare corrispondenza tra il centro storico e il centro atomico della città, cioè la comunità atomizzata dagli studenti che lo abitano, come ho avuto modo di raccontarti in una nostra precedente chiacchierata.
È chiaro che Urbino garantisce ai giovani in formazione, animati da una forte “passione intellettuale”, una serie di opportunità che i ragazzi possono restituire alla città. I tanti studenti che collaborano con il CTU costruiscono con entusiasmo e creatività tutte le nostre numerose attività che interessano non solo la città, ma anche tutto il territorio circostante. Questo scambio, a nostro parere, deve guidare tutte le future attività culturali orientate alla rinascita di Urbino, perché la città diventi non solo luogo di transito per gli studenti ma sempre più luogo di costruzione condivisa.
Possiamo immaginare nuovi spazi di educazione alla lettura dell’opera di Bo?
In passato il CTU ha collaborato con la Fondazione Carlo e Marise Bo per numerosi cicli di letture ad alta voce che speriamo di poter riprendere presto. Inoltre, per lo spettacolo Urbino primo cittadino abbiamo drammatizzato alcuni scritti e interviste di Bo coinvolgendo gli studenti e anche i cittadini di Urbino che hanno personalmente conosciuto il Rettore.
Occupandoci principalmente di formazione e produzione teatrale associamo sempre l’attività performativa al lavoro sul testo, che a teatro è sempre un pretesto per trovare espressività vocali e fisiche. Del resto, è molto naturale mettere in scena gli scritti di Bo perché sono pervasi da una vitalità e da una passione che li rendono particolarmente adatti al palcoscenico.
Per cui, dopo questa esperienza di Urbinate per sempre che ha integrato il privilegio della lettura con quello dell’ascolto diffuso, ci auguriamo che, in collaborazione con la Fondazione, l’Università e il Comune di Urbino, si possa continuare a raccontare il Magnifico anche attraverso il gioco teatrale.
In una conversazione immaginaria e stringatissima con l’indimenticato Rettore, quale sarebbe la tua unica domanda possibile?
Su questo non ho dubbi. La mia domanda sarebbe: “Rettore, posso offrirle un caffè?”
Michele Pagliaroni. Immagine: Giovanni Lani.