Pubblicato sulla rivista “Domus” n. 3/marzo 1960, in tandem con l’articolo L’Università di Urbino di Giancarlo De Carlo, Dove vive Urbino accoglie alcune delle molte riflessioni e visioni del Rettore Bo, sul futuro della città e dell’Università, che trovarono concretezza nel piano di evoluzione urbanistica e di modernizzazione degli spazi didattici immaginato e realizzato con l’amico Architetto.

Il testo si offre in lettura sul web per voce di Roberto Danese, docente di Filologia Classica e vicedirettore scientifico della Fondazione Carlo e Marise Bo, e in visione nella copia originale della rivista esposta, insieme con le immagini del restauro di Palazzo Bonaventura, a Palazzo Passionei nelle sale che ospitano la nuova mostra di Uniurb Carlo Bo. Gli anni dal 1911 al 1951. La letteratura, le città, la vita, inaugurata lo scorso 14 ottobre.

Partner del progetto internazionale Urbinate per sempre. Architetture della luce e dello spirito – ideato e coordinato da Tiziana Mattioli, docente di Letteratura italiana dell’Ateneo urbinate, e promosso nell’ambito del Prorettorato allo Sviluppo di Partenariati Strategici Nazionali e Internazionali – Roberto Danese ha aggiunto, nell’intervista che segue, una nuova tessera al puzzle di testimonianze che da dieci mesi prova a raccontare Carlo Bo e il sogno di trasformare Urbino in una “capitale degli studi e della cultura”.

 

Professor Danese, come per Carlo Bo anche per lei Uniurb non è stata un’Università di transito: è arrivato un giorno e qui trascorre la vita.

Sono arrivato a Urbino che ero giovanissimo, nel 1987, e da allora un’assimilazione personale alla città e all’Università mi ha indotto a non lasciarle mai più. Venni qui per la prima volta perché studiavo Plauto e l’Ateneo, fin da allora, era il centro di riferimento internazionale per questo tipo di studi.

 

Arrivai in un bellissimo pomeriggio di primavera e fui ospitato in una stanza del Collegio del Colle da dove, il mattino dopo, appena sveglio, attraverso la finestra, vidi il sole illuminare il fianco della città e i mattoni colorarsi progressivamente di rosa. Ricordo che, guardando questo paesaggio e sentendo il profumo dei tigli fioriti tutt’intorno, pensai: voglio vivere qui.
Molti anni dopo, posso dire che la profezia si è avverata e che sono contento di aver trascorso ormai la maggior parte della mia vita a Urbino, che è diventata, come la mia terra d’origine, un “luogo dell’anima”.

Immagino lei abbia conosciuto Carlo Bo…

Sì, l’ho conosciuto. Quando presi servizio all’Università andai subito a presentarmi al Rettore e la scena fu più o meno questa. Mi ricevette nella sede del vecchio rettorato: era già un signore piuttosto anziano, sprofondato nella sua celeberrima poltrona con l’immancabile sigaro acceso. Io entrai timoroso e deferente, lo salutai – lui parlava molto poco e chi lo ha conosciuto sa che centellinava le parole e metteva pause molto lunghe tra una frase e l’altra – lui mi guardò e mi disse: “ciao! Di dove sei?” “Magnifico, sono di Spezia”, dissi, e lui rispose con un monosillabo: “ah!”.

 

Dopo un consistente spazio di silenzio condito da sbuffi di sigaro toscano, continuò: “ci vai a nuoto da Lerici a Portovenere?”. Risposi: “nuoto bene, sono nato sul mare, ma da Lerici a Portovenere la traversata è lunga e pericolosa”. E lui: “Byron lo faceva. Ciao”. Stop. Fine della conversazione.

 

Ecco questo fu il mio primo incontro con Bo, che racconta molto della sua personalità e dello stile che aveva nell’incontrare le persone. A suo modo, dopo avermi accolto ritualmente nella sua Università, mi aveva detto: ora levati dai piedi, mi hai salutato, come conveniva, ma vattene perché ho da fare.

Ha mai provato a rintracciare l’impronta del magistero politico del Magnifico?

Io ho conosciuto Bo come Rettore o – come diceva qualcuno dei suoi colleghi di allora – “reggitore”, se non Duca di Urbino, come qualcun altro azzardava. Carlo Bo si è inserito in una storia già prestigiosa e ha fatto sì che l’Università diventasse un altro pilastro della storia della città, un secondo Palazzo Ducale, ideale, culturale, che ha reso grande e importante il territorio in cui abita ed esiste. Perché per essere grande un’Università non deve essere solo “antica”, deve svilupparsi e crescere in termini di corsi di laurea, strutture e servizi, deve diventare – come Bo scrive nel testo che ho letto – il polmone di cui la città vive.

 

Del resto, in lui l’identificazione tra colui che guidava l’Università e colui che guidava moralmente e idealmente anche Urbino apparve evidente in occasione della visita del Principe Carlo d’Inghilterra. Ricordo, infatti, che ad accogliere il Principe sulla soglia di Palazzo Ducale c’era Carlo Bo, come fosse il legittimo erede del primo inquilino di quella prestigiosa sede. E non dimentichiamo che anche iconograficamente, da Bo in poi, tutti i Rettori nelle cerimonie ufficiali indossano il copricapo che riproduce esattamente quello indossato da Federico da Montefeltro nel famoso ritratto di Piero della Francesca conservato agli Uffizi.

Bo aveva intuito la necessità di adattare la cultura “alla misura degli studenti, a chi chiedeva una forma di dialogo più umile e più concreto”. Un compito educativo che ad Urbino continua a realizzarsi?

A Urbino si invera la missione primaria dell’Università, la sua ancestrale funzione, cioè la sinergia totale, dal punto di vista della crescita intellettuale e umana, tra docente e studente, grazie a quello scambio e a quel dialogo diretto e continuo, che Bo ha fortemente voluto e favorito nel corso della sua lunga esperienza rettorale.

 

Dal primo giorno di lezione dico ai miei studenti: voi non siete contenitori vuoti da riempire di nozioni, siete qui per diventare protagonisti di un processo che deve produrre cultura, scienza, progresso. Nel momento stesso in cui uno studente, a lezione, fa una domanda per un chiarimento inserisce sé stesso in questo meccanismo, fa muovere un piccolo ingranaggio e diventa protagonista della virtuosa intersezione fra didattica e ricerca. Perché a Urbino, dove città e Università si fondono e si confondono, è più facile discutere, incontrarsi e lavorare con la comunità studentesca alla creazione di qualcosa che vada anche oltre i confini delle aule e degli spazi dell’Accademia.

 

Questo accade, per esempio, con il Coro 1506 dell’Università di Urbino o con il Centro Teatrale Universitario Cesare Questa che in pochi anni ha acquisito un ruolo importante in Italia e all’estero, coinvolgendo, ad ogni livello, i nostri studenti, che possono così investire nel concreto ciò che apprendono attraverso i loro percorsi formativi.
Esiste tutto questo in altri Atenei italiani? Forse in realtà più grandi e meglio finanziate, che però non credo possano garantire, come dice Bo nelle sue riflessioni, lo stesso dialogo continuo fra docenti e studenti, che è invece naturale in una città campus storicamente e strutturalmente votata all’umanesimo e al progresso culturale e scientifico.

Dove vive Urbino, oggi?

Oggi, come nel tempo di Bo, Urbino vive dove sono i docenti e gli studenti, i reali i protagonisti della vita civile, economica e sociale della città. E vive nel solco tracciato dal lascito spirituale, intellettuale e materiale del suo più longevo Rettore, un lascito che non dobbiamo solo onorare e ricordare, ma anche perseguire e perfezionare. Nel testo che ho letto, il Magnifico parlava anche del rinnovamento di Palazzo Bonaventura, ma certamente il rimando era alla necessaria evoluzione urbanistica della città – con la creazione, in particolare, dei collegi universitari che sono un unicum almeno a livello nazionale – e devo dire che stiamo tuttora procedendo in questa direzione.

 

Abbiamo inaugurato di recente la struttura di San Girolamo trasferendovi quasi tutta la biblioteca umanistica, e creando anche un magnifico spazio di incontro per gli studenti e per i docenti. Quello che nel ‘700 era un convento e che poi è stato carcere, oggi è un luogo di studio aperto alla nostra comunità universitaria e anche ai cittadini di Urbino, perché la cultura è un bene comune inestimabile, di cui noi siamo i custodi e i promotori, ma di cui tutti devono poter giovare. Certo, alcune parti dell’immenso complesso architettonico devono essere ancora riqualificate, e io spero che, sulla scia di quanto diceva Bo, si possa procedere al più presto su questa strada – non dimentichiamo la contemporanea ristrutturazione del complesso della Sogesta per l’area scientifica – affinché Urbino diventi sempre più un polo di riferimento culturale anche grazie all’incredibile patrimonio librario e di strumenti per la ricerca che possiede.

 

Pensiamo, per esempio, a Palazzo Passionei, sede della Fondazione Carlo e Marise Bo, il secondo palazzo più bello di Urbino dopo Palazzo Ducale, che custodisce una delle più grandi biblioteche personali d’Europa, quella che è stata proprio di Carlo Bo: un tesoro librario, documentale e di storia della cultura europea, che identifica in modo speciale l’Ateneo e la città di Urbino.
Ecco, mi auguro si possa continuare a percorrere la strada tracciata da Bo in questo scritto del 1960, nella consapevolezza che per farlo c’è bisogno di lavorare tutti insieme, c’è bisogno di quell’armonia, che il Magnifico nelle sue pagine invocava, tra città e Università.

 

Roberto Danese: immagine di Alessandro Brugnettini.

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