Le persone che attraversano i giorni incidendo un segno sulla linea dell’esistenza corrono con una promessa nel cuore. Quella che Federica Sileoni sembra aver fatto a sé stessa è di vivere una vita piena, senza limiti, una vita che si sposti sfrenatamente in avanti facendo leva sul superpotere della passione, dell’impegno, della determinazione.
Per questa via, lo scorso agosto, la giovane amazzone di Uniurb ha raggiunto il traguardo della partecipazione ai Giochi Paralimpici di Tokyo 2020 e, agli inizi del 2021, quello della laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche!
Federica, com’è nata la tua passione per l’equitazione?
È successo tutto un po’ per caso nove anni fa, circa, quando con mia sorella e un amico sono capitata in un maneggio. Sono salita in sella quasi per gioco e da lì non sono più scesa.
Sono nata priva dell’avambraccio sinistro, e nella vita di tutti i giorni non uso mai la protesi per cui ho iniziato a montare senza il sostegno artificiale fino a quando, per partecipare alle gare, è stato necessario che lo indossassi e da lì in poi mi sono dovuta abituare.
Quali sono state le tappe successive?
A un anno dall’inizio dell’esperienza ho iniziato a gareggiare con atleti normodotati nel salto ad ostacoli e poi nel concorso completo. Dopodiché, si è aperta la strada paralimpica e ho cominciato a fare le gare di para-dressage, e negli ultimi due anni – che sono stati i più impegnativi in vista della preparazione per Tokyo – mi sono trasferita da Urbino a Pisa, dove ho iniziato ad allenarmi con il team specializzato della WorldSoul Onlus.
Hai percorso la strada per Tokyo alla velocità della luce!
Sì, è stato un percorso piuttosto veloce, ma molto intenso. Mi alleno sei giorni su sette. Arrivo in scuderia alle otto del mattino e torno a casa nel tardo pomeriggio, perché oltre all’allenamento in sella devo seguire tutta la parte del lavoro a terra che riguarda, in particolare, la costruzione del rapporto con il cavallo.
C’è stato un momento in cui hai sentito con piena consapolezza la tua partecipazione ai Giochi Paralimpici 2020?
Sì, ed è successo quando sono arrivata a Tokyo. Sono entrata in campo, mi sono guardata intorno, ho visto i miei avversari allenarsi e mi sono detta: “accidenti, sto rappresentando l’Italia!”.
Ho provato una gioia indescrivibile e ho sentito gli occhi gonfiarsi di lacrime.
In generale, sono contenta di come sia andata tutta l’esperienza perché, se mi guardo indietro, mai avrei immaginato di arrivare a competere a questi livelli.
Con quali risultati si è chiuso il tuo debutto?
Durante il primo giorno di gara, nell’individuale, ho ottenuto uno dei punteggi migliori della mia carriera posizionandomi al nono posto.
Con la squadra abbiamo raggiunto l’ottavo posto. Quindi nel complesso un buon risultato, anche se la soddisfazione più grande è stata entrare in quel campo e vivere quelle emozioni, che porterò sempre con me.
Un’impresa considerevole per te e per il tuo cavallo!
L’equitazione è uno sport di squadra: io faccio squadra con il mio cavallo, per cui è fondamentale che tra me e l’animale si crei una sinergia forte. A Tokyo ha gareggiato con me Burberry, una cavalla della WorldSoul Onlus che monto da poco con cui, inizialmente, è stato difficile creare un legame ma che, col tempo e con tanto impegno, sono riuscita a conquistare. Al punto che quando sono entrata in gara, il primo giorno, ho sentito una grande sintonia tra noi: era come se lei mi dicesse “vai, ti aiuto io”.
Come hai vissuto le giornate di Tokyo?
Ho vissuto quei giorni come fossi in un mondo parallelo. Purtroppo, a causa del Covid-19 non ho potuto visitare la città, però anche soltanto vivere nel villaggio – che è una cittadella a sé – e conoscere non solo le ragazze della squadra di equitazione ma anche altri atleti di diverse discipline, incontrarli e frequentarli a mensa, nelle palestre o nel tempo libero, insomma, fare gruppo e condividere questa esperienza di vita è stato fantastico.
Un altro traguardo importante l’hai raggiunto il giorno in cui ti sei laureata in Scienze e Tecniche Psicologiche…
Sì, mi sono laureata a febbraio 2021. Il percorso di studi a Urbino è stato bellissimo: tre anni indimenticabili, sia per la formazione che mi ha dato, sia per le persone che mi ha permesso di conoscere. Avrei voluto iscrivermi anche alla magistrale, poi però mi è stata offerta l’opportunità di prepararmi per le paralimpiadi e ho dovuto mettere da parte questo desiderio. Ma… mai dire mai, ovviamente!
Della vita a Urbino cosa non dimenticherai?
Spero di ricordare ogni cosa, di non perdere un solo istante di quei giorni. Ho vissuto nel centro storico per tre anni, nella stessa casa: “la casa di Urbino”. Quando, qualche mese fa, sono tornata in città, sono passata nella via in cui si trova: volevo vedere se fosse stata affittata, o forse solo ritrovarla perché, ecco… ci ho lasciato un pezzo di cuore.
Tutto quello che ho studiato e tutte le persone che ho incontrato e le amicizie che ho stretto a Urbino mi hanno arricchito come persona. Mi auguro di ricordare ogni momento, per sempre.
Raccontami il tuo prossimo sogno.
Il mio prossimo sogno riguarda la psicologia, che mi ha sempre appassionato. Devo dire che la scelta del corso di laurea è stata quella giusta perché tutte le materie che ho studiato, non le ho sentite come un peso o un obbligo, ma mi hanno appassionato.
L’idea, quindi, è di conciliare la mia vita sportiva con la mia vita professionale, per cui tra qualche anno immagino di lavorare nell’ambito della psicologia dello sport. Se riuscissi a raggiungere l’obiettivo sarebbe davvero un grande successo!