È stato pubblicato di recente su Scientific Reports del gruppo Nature lo studio multidisciplinare, coordinato dall’Università di Urbino, che rintraccia per la prima volta le caratteristiche costitutive del microbiota “normale” negli italiani sani. L’indagine sull’insieme dei microrganismi che popola l’apparato digerente e influenza il nostro stato di salute rappresenta la prima fase di una ricerca in progress condotta in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche, l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, l’Università Sapienza di Roma, l’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo e i medici del “Progetto Microbioma Italiano”.
Hanno firmato lo studio: Davide Sisti, Valerio Pazienza, Fabio Piccini, Barbara Citterio, Wally Baffone, Sabrina Donati Zeppa, Francesca Biavasco, Emilia Prospero, Antonio De Luca, Marco Artico, Samanta Taurone, Andrea Minelli, Francesco Perri, Elena Binda, Riccardo Pracella, Riccardo Santolini, Stefano Amatori, Piero Sestili, Marco Rocchi e Pietro Gobbi.
Ne parliamo con Pietro Gobbi, docente di Anatomia Umana, e Davide Sisti, docente di Statistica Medica.

 

 

Prima di entrare nel merito della ricerca, spieghiamo cos’è il microbiota?

Pietro Gobbi ― Certamente. Il microbiota è l’insieme dei batteri che colonizza, con un compito di reciproca convenienza, il nostro tubo digerente. In realtà il microbiota colonizza anche la cavità orale e tutte le cavità mucose del nostro organismo, contribuendo a costituire dei microambienti a noi favorevoli ed evitando che qui vi si possano insediare microrganismi patogeni e causare, quindi, delle malattie.

Davide Sisti ― È noto da decenni che determinate specie di batteri giocano un ruolo importante nel nostro organismo influenzando lo stato di salute di ognuno di noi. Alcune specie ci aiutano, hanno una funzione mutualistica e positiva, di altre – la maggior parte – non sappiamo quale sia chiaramente il ruolo, altre ancora sono responsabili dell’insorgenza di varie patologie.

Può essere utile chiarire anche la differenza tra microbiota e microbioma.

Pietro Gobbi ― Il microbiota è l’insieme della popolazione batterica riconoscibile per caratteristiche proprie del DNA batterico. Il microbioma è, invece, l’intero patrimonio genetico che possiamo trovare nel lume intestinale batterico e che, quindi, comprende sia i geni del microbiota, sia il genoma umano, ma anche materiale genetico di natura virale o, addirittura, alimentare.

Il Professor Pietro Gobbi

Quali sono i risultati dello studio?

Pietro Gobbi ― L’esistenza del microbiota è acclarata ormai da decenni, tant’è che, dopo la pubblicazione dell’articolo, un mio carissimo amico medico mi ferma per strada e simpaticamente mi redarguisce dicendo: “credo abbiate scoperto l’acqua calda”, poi ride e aggiunge: “ne avete però definito la giusta temperatura”. Sono convinto che questa sia un po’ la sintesi di ciò che abbiamo fatto. Innanzi tutto abbiamo voluto considerare il microbiota un organo a tutti gli effetti. Bisogna pensare che ognuno di noi ospita nel proprio apparato digerente una quantità di batteri la cui misura, in termini di peso, è pari a quella del proprio sistema nervoso centrale. Quindi abbiamo il 2%, circa, del peso corporeo costituito da encefalo e midollo spinale e sempre il 2%, circa, del peso corporeo di batteri che ci aiutano – si spera – nel tubo digerente.

 

E se il microbiota è stato fino ad oggi considerato come una misteriosa entità ospite, lo scatto culturale che con questo studio abbiamo compiuto è stato quello di considerarlo come un organo “costitutivo” del nostro organismo. Per cui, così come abbiamo studiato il fegato per decenni, rintracciandone un volume, una forma, un’innervazione, una patologia, una correlazione fra patologia dell’organo e patologia dell’individuo ecc., oggi studiamo come è fatto il microbiota. E quale sia il microbiota normale di italiani sani, provenienti da diverse regioni del nostro Paese, lo dice, per la prima volta, questo studio.

Il Professor Davide Sisti

Davide Sisti ― Molti lavori pubblicati sul microbiota avevano l’obiettivo di verificare quale fosse il microbiota associato a una patologia o a un trattamento sperimentale. Nel caso del nostro studio, l’intuizione importante che si deve al Professor Gobbi – il cambio di paradigma – è quello di partire dal punto zero e “quantificare” la struttura complessa del microbiota in un campione rappresentativo di persone in buona salute. In sostanza, abbiamo individuato lo “scheletro” che costituisce il nostro microbiota “normale”.

Attraverso quali metodologie è stato possibile “quantificare” il microbiota?

Davide Sisti ― Abbiamo lavorato utilizzando un approccio metodologico basato su una serie di tools biostatistici avanzati e su una tecnologia che ha consentito l’amplificazione massiva del DNA batterico, ad esempio, e la conseguente amplificazione degli strain, ovvero di tutti i ceppi batterici individuati nei singoli volontari, e ha permesso la catalogazione tassonomica degli stessi attraverso l’uso di banche dati mondiali. È stato e continuerà ad essere un grande lavoro di squadra. Vorrei qui ringraziare il Dottor Stefano Amatori, per il fondamentale apporto dato alla pubblicazione.

Come si compone il gruppo di ricerca?

Pietro Gobbi ― Il gruppo di ricerca comprende medici, gastroenterologi, anatomisti, microbiologi, fisiologi, epidemiologi, ambientalisti, farmacologi e biostatistici, dell’Università di Urbino – che ha coordinato lo studio – dell’Università Politecnica delle Marche, dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, dell’Università Sapienza di Roma, i ricercatori dell’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo e i medici del “Progetto Microbioma Italiano” di Padova. Una delle grandi novità del lavoro che abbiamo pubblicato, e di quello che stiamo scrivendo, è di aver messo attorno a un tavolo professionalità che anziché combattersi nel segno della famosa politica degli “orticelli”, sanno mettere in dialogo le proprie diverse competenze per raggiungere obiettivi scientifici comuni e condivisi.

Quando è stata avviata l’indagine?

Pietro Gobbi ― Abbiamo dato inizio ai lavori nel 2017, con l’avvio dei prelievi, i primi dati utili li abbiamo ottenuti due anni fa. È importante precisare che i moltissimi volontari che hanno partecipato alla prima fase dello studio hanno sostenuto le spese delle analisi che determinano il microbiota: analisi che non sono banali né costano poco. Per cui questo primo step è stato un esempio ammirevole di quella che gli anglosassoni definiscono citizen science, di quella ricerca, cioè, derivata dalla spinta di un interesse reale della gente comune. Ecco, le centinaia di persone che spontaneamente hanno aderito a questa prima fase di studio hanno affidato a noi una fotografia precisa della propria vita, e ci hanno consegnato una enorme quantità di informazioni sulle proprie condizioni di benessere o malessere, abitudini, provenienza geografica, gusti, ecc., consentendoci di creare un database piuttosto complesso. Anche a loro va il merito di questa ricerca.

Quali ricadute prevede la ricerca nel lungo periodo?

Pietro Gobbi ― L’esito attuale dello studio è interessante, ma è parziale: è l’inizio di un lavoro in cui crediamo molto. Ogni step della ricerca ha l’obiettivo di aiutare le persone e chi produce nutraceutici ad avere un approccio corretto nei confronti del microbiota.
I soggetti che hanno problemi di intolleranze o allergie alimentari potranno capire se il disturbo è imputabile a un determinato deficit enzimatico (ad esempio di lattasi nel caso di intolleranze al latte o derivati) – come avviene prevalentemente oggi – o a un’alterazione anche del microbiota intestinale.
Per una società che produce probiotici, il nostro lavoro potrebbe essere una guida utile per proporre terapie probiotiche mirate alla più corretta ripopolazione batterica.

Davide Sisti ― Nella prossima fase della ricerca ragioneremo in termini di specificità e sensibilità di ciò che abbiamo trovato. Svilupperemo allo scopo un software che, caricato il microbiota della persona, permetterà di capire di quanto si distanzia dalla normalità, dove e per quali ceppi di batteri, se si è eventualmente spostato dalla norma a causa di una malattia o la se la malattia deriva dall’assetto del microbiota stesso. Entreremo, quindi, in un campo forse più tecnico e a partire dallo stato di “normalità” che abbiamo individuato, e che è la base necessaria per le indagini successive, verificheremo se il microbiota è coinvolto, di quanto e come, in un ampio spettro di specifiche patologie.

 

 

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