Jacqueline Corso, studentessa di Uniurb, e Mirco Fanelli, docente di Scienze Tecniche di Medicina di Laboratorio, descrivono il corso di laurea magistrale in Biotecnologie mediche per la diagnostica e la terapia.
Una proposta didattica innovativa, “al passo coi tempi”, che consegna ai giovani del nostro Ateneo il background professionale richiesto da un settore produttivo in forte espansione, quello del biotech-salute.
Ricordiamo ai lettori di Uniamo interessati al corso che fino al 21 dicembre 2022 sarà possibile immatricolarsi pagando un’indennità di mora di soli € 40,00!

 

Il Professor Mirco Fanelli

Professor Fanelli, con quali strumenti il corso in Biotecnologie mediche per la diagnostica e la terapia risponde alla domanda sempre crescente di lavoro e di nuovi profili nel comparto biotech?

Il corso di laurea in Biotecnologie mediche per la diagnostica e la terapia è stato progettato per rispondere soprattutto alle necessità e alle sfide che stiamo sperimentando nel mondo in tempo reale, ma che detteranno, inevitabilmente, le regole anche del prossimo futuro.

 

Stiamo infatti osservando l’impatto sulla salute umana sia di nuovi patogeni, sia di una serie di patologie associate all’età avanzata. Tutto ciò potrà essere gestito, in termini medici, da una serie di approcci biotecnologici che possano sfruttare i nuovi biomarcatori per il setting di procedure diagnostiche sempre più sensibili e specifiche e, inoltre, per la messa a punto di nuove strategie terapeutico-preventive.

 

Su questi presupposti si basa la nostra convinzione di una domanda crescente di professionalità nel campo biotecnologico nei prossimi anni e il corso di laurea è, appunto, caratterizzato da uno specifico orientamento in uscita che prevede tirocini formativi presso le realtà sanitarie, aziende biotech, nonché una specifica attività finalizzata all’inserimento nel mondo del lavoro.

Quali sono gli aspetti caratterizzanti del corso?

Il corso di laurea magistrale è caratterizzato da due curricula che focalizzano la preparazione sui due filoni già menzionati, la diagnostica e la terapia, al fine di proporre un’offerta formativa al “passo con i tempi” e sempre più mirata all’approfondimento delle procedure sperimentali alla base delle biotecnologie più moderne.
Il nostro Ateneo ha allestito un attrezzato laboratorio sperimentale dove i docenti organizzano esercitazioni pratiche al fine di tradurre “in laboratorio” gli argomenti affrontati da un punto di vista teorico. Questa, secondo noi, è la proposta vincente nella formazione di giovani professionisti che fa da contraltare alle offerte formative telematiche: “si insegna meglio dove si fa ricerca” perché il docente/scienziato, in presenza, trasferisce la sua esperienza direttamente agli studenti.

Qual è il termine che definisce meglio l’interazione tra i docenti e gli studenti del corso?

Il termine che più rappresenta il nostro modo di vedere la formazione universitaria è “sharing” e cioè “condivisione”. L’attività di formazione non deve più essere considerata a senso unico ma, appunto, una condivisione tra docente, che contribuisce con la sua esperienza di scienziato al trasferimento sia delle conoscenze sia della passione nei confronti delle tematiche affrontate, e i discenti, che con la loro inesauribile motivazione e le loro menti “inquiete”, sono da stimolo per elaborare nuove idee e percorsi futuri, come solo i giovani sanno fare.

Jacqueline Corso

Jacqueline, quali ragioni ti hanno incoraggiato a scegliere il corso di laurea in Biotecnologie mediche per la diagnostica e la terapia?

Ho scelto questo corso perché ho le idee chiare rispetto al mio futuro lavorativo. Il mio sogno è sempre stato quello di lavorare nell’ambito della ricerca, quindi ho frequentato prima la triennale in Biotecnologie di Uniurb e dopo la magistrale in Biotecnologie mediche per la diagnostica e la terapia. Uno dei grandi vantaggi di questo percorso è la possibilità di scegliere, dopo un primo anno di insegnamenti comuni, tra due curricula diversi e settoriali: quello in Biotecnologie per la diagnostica molecolare e l’altro in Biotecnologie per le terapie innovative. Questo significa che terminata una fase propedeutica di studio ognuno di noi può individuare le proprie inclinazioni e gli obiettivi che lavorativamente vuole raggiungere e scegliere, di conseguenza, l’indirizzo più adatto.

 

Io ho scelto Biotecnologie per le terapie innovative perché mi piacerebbe portare il mio contributo scientifico in questa innovazione e aiutare chi adesso non ha speranza di potersi curare.
Non è un mistero che il campo delle biotecnologie sia in netta crescita soprattutto dopo l’enorme contributo che ha portato durante la pandemia, e questa magistrale, istituita di recente, ha a mio avviso il grande punto di forza di essere “attuale” e costruita sui bisogni del nostro tempo. Infatti, nel piano di studi prevede, ad esempio, insegnamenti che puntano a individuare nuovi target terapeutici e a sperimentare nuovi vaccini, nuovi farmaci biologici e tanto altro.

A questo settore in forte espansione i laureati in Biotecnologie e Biotecnologie mediche per la diagnostica e la terapia accedono con gli strumenti giusti?

Secondo me sì. Anche se in Italia le Università hanno un approccio più teorico che operativo, direi che questa magistrale consente ai propri laureati di confrontarsi da subito con il mondo del lavoro, soprattutto grazie alle attività di laboratorio che prevede. Ne ho avuto la prova poco tempo fa quando, grazie a Uniurb e al programma Erasmus+ Traineeship, ho potuto fare un tirocinio in Irlanda in un laboratorio di ricerca della University of Galway. Qui, il docente mi ha assegnato un progetto da portare a termine e ho dovuto cavarmela sostanzialmente da sola, mettendo in pratica ciò che avevo imparato a Urbino.

 

In generale, sono convinta che tutta l’esperienza in questo Ateneo, se vissuta con consapevolezza e impegno, possa aiutarci ad arrivare pronti a qualunque professione. Come rappresentante degli studenti ho fatto parte della “Commissione Paritetica Docenti Studenti” e per me è stata un’opportunità che mi ha insegnato a interagire, ad avanzare delle richieste, a portare delle idee e ad allenare la capacità di risolvere problemi, una skill che, tra l’altro, è qualità intrinseca di ogni ricercatore.

Qual è il valore aggiunto che i docenti portano in aula e nei laboratori?

In aula e nei laboratori si formano classi che mettono insieme piccoli gruppi di persone, quindi il dialogo col docente si instaura molto facilmente. Quello che ho notato è che i professori sono veramente interessati a creare un rapporto con noi. Il vero valore aggiunto è che memorizzano i nostri nomi, ci chiedono di proporre spunti per poter migliorare la qualità delle lezioni e ascoltano tutto ciò che abbiamo da dire. Ad esempio, se abbiamo dubbi o curiosità nella lezione successiva si concentrano solo sulla questione che abbiamo sollevato.

 

E se abbiamo esigenze particolari, nei limiti del possibile, si attivano subito per rispondere e darci una mano.
Inoltre, insegnando portano a lezione molto delle loro stesse ricerche. Per fare un altro esempio, quando descrivono le tecniche che hanno utilizzato per raggiungere un determinato risultato si percepisce chiaramente che padroneggiano l’argomento e amano veramente quello che fanno. L’entusiasmo con cui parlano, la luce particolare che si accende nei loro occhi in quei momenti e tutta la passione e l’amore incondizionato per la scienza che ci trasmettono sono sicuramente il più grande valore di cui noi proviamo a fare tesoro.

 

 

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