Alice Magnoni, Habitus

 

Nella giornata internazionale della donna Uniurb riflette su un diritto umano fondamentale: l’uguaglianza di genere. Lo fa attraverso un contest fotografico che dice no agli stereotipi costitutivi delle categorie di maschile e femminile e mette in fila gli scatti in un doppio spazio espositivo. Reale e virtuale. L’abito non fa il genere è, infatti, il titolo del concorso ed è anche il titolo della mostra che esiste nel perimetro di un sito web e abita le stanze della Biblioteca di San Girolamo.
Organizzato dal CUG del nostro Ateneo – il Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni – l’evento, nella sua duplice declinazione, è stato il punto di avvio di una tavola rotonda sul tema Abito e genere: passato, presente e futuro che si è tenuta questa mattina nell’Aula Magna del Rettorato alla presenza del Magnifico Giorgio Calcagnini. Al termine dell’incontro sono state premiate le tre studentesse vincitrici del contest: Alice Magnoni, Elena Camerini e Gloria Musomeci.
Delle ragioni che hanno sostenuto l’iniziativa abbiamo parlato con la Professoressa Raffaella Sarti, docente di Storia dei generi e Presidente del CUG.

 

La Professoressa Raffaella Sarti

Professoressa Sarti, quale significato possiamo attribuire al contest L’abito non fa il genere e qual è l’ispirazione che ha orientato il progetto?

Il progetto è stato ispirato dal movimento spagnolo “la ropa no tiene genero”, “i vestiti non hanno genere”. Nel 2021 alcuni professori di scuola spagnoli sono andati a far lezione con la gonna in segno di solidarietà con un ragazzo che era stato espulso e mandato dallo psicologo per essere entrato in classe con la gonna. Ne è nato un movimento che ha coinvolto docenti in vari Paesi.

 

Questo caso ha stimolato il Comitato Unico di Garanzia (CUG) a organizzare il concorso fotografico L’abito non fa il genere per raccogliere fotografie che mettessero in discussione gli stereotipi di genere costruiti attraverso l’abbigliamento, al fine di allestire una mostra in merito. Una delle missioni del CUG è, infatti, quella di prevenire e contrastare la discriminazione e la violenza di genere.

 

Gli stereotipi di genere non implicano necessariamente, di per sé, discriminazione o violenza, tuttavia discriminazione e violenza si alimentano di tali stereotipi. Imparare a riconoscerli e a smascherarli, essere consapevoli della loro esistenza e del modo in cui ci possono condizionare è pertanto importante al fine di prevenire la discriminazione e la violenza.

Una selezione delle immagini in concorso ha dato vita a una mostra, in presenza e online, è esatto?

Sì, una commissione giudicatrice composta da membri del CUG – Stefania Galli, Tiziano Mancini, Alessia Ventani e io stessa, che l’ho presieduta – e dal Professor Giovanni Boccia Artieri, Prorettore alla Didattica e alla Comunicazione Interna ed Esterna, ha valutato le foto, ha selezionato quelle da includere nella graduatoria e ha scelto le tre immagini vincitrici, cui va un premio in denaro rispettivamente di 300, 200 e 100 euro.

 

Tutte le foto incluse in graduatoria sono state esposte in una mostra virtuale; le prime venticinque classificate sono esposte anche in una mostra in presenza allestita presso la Biblioteca di San Girolamo e aperta sino alla fine di aprile. Il concorso era aperto a studenti e personale. Hanno partecipato quasi solo studenti, soprattutto ragazze: in un Ateneo in cui più del 63,4% della popolazione studentesca è rappresentato da donne, in base ai dati del Bilancio di Genere, c’era da aspettarselo. Tra le persone che hanno partecipato al concorso, i nomi femminili sono quasi l’80%.

 

Questo dato conferma un fatto noto: l’interesse alla riflessione sugli stereotipi di genere è maggiore tra le donne, che sono quelle che più spesso subiscono le conseguenze negative di tale stereotipizzazione. Sarebbe però importante stimolare la riflessione anche tra i ragazzi, e ci auguriamo che le due mostre diano un contributo in tal senso.

Elena Camerini, Ascoltami lo stesso

L’8 marzo il CUG fa il focus sulla parità di genere e premia le prime tre foto in classifica. Chi sono le persone che hanno vinto il concorso e per quali caratteristiche i loro scatti hanno conquistato il podio?

Le foto premiate sono Habitus, prima classificata, di Alice Magnoni, che frequenta il corso di laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche; Ascoltami lo stesso, seconda classificata, di Elena Camerini, che frequenta il corso di Lingue e Culture Moderne e Due riflessi dello stesso Universo, terza classificata, di Gloria Musomeci, che pure frequenta il corso di Scienze e Tecniche Psicologiche.

 

La commissione giudicatrice ha valutato le foto in base ai seguenti parametri: pertinenza della fotografia rispetto alle finalità del concorso (50/100), originalità della fotografia (25/100) e qualità tecnica della fotografia (25/100). Le tre foto premiate dimostrano una grande capacità di cogliere e smascherare il ruolo dell’abbigliamento nella costruzione degli stereotipi di genere con scatti originali e tecnicamente di alto livello.

 

Alla luce del ruolo che, storicamente, l’abbigliamento ha avuto nel costruire le identità di genere, aver fissato la cerimonia di premiazione del concorso e di inaugurazione delle due mostre l’8 marzo è un modo originale per celebrare la festa delle donne. Al fine di stimolare la riflessione nel corso dell’evento, abbiamo messo in programma una tavola rotonda sul tema Abito e genere: passato, presente e futuro, oltre a un mio intervento di carattere storico.

 

Hanno partecipato Valeria Palumbo, giornalista e storica, autrice di Svestite da uomo (Rizzoli, 2007), la Professoressa Fatima Farina, docente di Genere, Lavoro e Partecipazione Sociale presso Uniurb, il Dottor Andrea Coli con una linea di produzione di abbigliamento gender neutral e la Dottoressa Corinna Sperandini, imprenditrice che lavora nel campo della ricerca e dello sviluppo di tessili e abbigliamento per il settore aerospaziale: un percorso, davvero, dal passato al futuro.

La parità di genere è una questione aperta che presuppone un cambiamento in primo luogo culturale di difficile gestione anche nel nostro Ateneo, immagino…

Sì, la parità di genere è una questione aperta. Ci sono importanti studi che valutano il cosiddetto gender gap, la distanza dalla parità di genere, e il nostro Paese è piuttosto in basso nelle classifiche internazionali: in base al Global Gender Gap Report nel 2022 si collocava al 63° posto su 146 paesi valutati. La distanza dalla parità è minima nel settore dell’istruzione e in quello sanitario, mentre è molto ampia in ambito politico e soprattutto per quanto riguarda la partecipazione e le opportunità nel mondo del lavoro, in cui l’Italia è addirittura al 110° posto in graduatoria.

 

Qualcosa di simile caratterizza anche l’Università di Urbino, come emerge dal Bilancio di Genere. Nella popolazione studentesca, se c’è un lieve squilibrio è a vantaggio delle studentesse, più numerose e più “brave”, visto che ottengono in media risultati migliori dei ragazzi. All’ingresso nel mercato del lavoro però le donne incontrano maggiori difficoltà e minori opportunità, rispetto agli uomini.

 

In modo simile, tra il personale docente diminuisce la percentuale di donne mano a mano che si passa ai ruoli apicali. In base ai dati pubblicati nel Bilancio di Genere, al 31.12.2021 le donne erano il 49% dei ricercatori e delle ricercatrici a tempo determinato, il 47% dei ricercatori, delle ricercatrici a tempo indeterminato e dei professori associati e delle professoresse associate, solo il 29% dei professori ordinari e delle professoresse ordinarie.

 

Il personale tecnico amministrativo è ampiamente femminilizzato (le donne rappresentano quasi il 58%) e negli ultimi anni ha visto un raggiungimento della parità nella categoria EP, ma i vertici restano maschili. Sono però in atto nel Paese e a Uniurb importanti trasformazioni, e il Piano per l’Uguaglianza di Genere (GEP) approvato nel 2022 contribuirà senz’altro a ridurre le disparità.

Gloria Musomeci, Due riflessi dello stesso universo

 

 

 

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