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Marco Sanchioni ed Enrico Cinti stanno concludendo il dottorato di ricerca, internazionale e interdisciplinare, in Research Methods in Science and Technology di Uniurb. Un PhD innovativo nell’ambito del quale, coordinati dal Professor Vincenzo Fano, studiano la gravità quantistica con strumenti propri della filosofia della fisica.

Di recente, per mettere in fila e condividere teorie, congetture, cause, effetti, visioni che potrebbero ridisegnare l’architettura dell’universo hanno presentato un progetto alla Fondazione Blaumann e fatto bingo. Attenta alle “idee originali e coraggiose di giovani fisici” che si dedicano alla ricerca teorica concettuale di base, l’istituzione ha premiato con un finanziamento l’organizzazione, nelle aule dell’Ateneo di Urbino, del convegno internazionale Quantum Gravity With(out) Experiments? Epistemology at the Edge of Physics.

 

Professor Fano, quale peso riconosce all’assegnazione di questo finanziamento?

Siamo molto orgogliosi di questa assegnazione soprattutto perché i fondamenti della fisica e lo studio di questioni di carattere così astratto, generale e molto lontano dagli esperimenti non sono tra le priorità di enti finanziatori nazionali e internazionali. Fa eccezione la Fondazione Blaumann che mette a disposizione dei microfinanziamenti per attività di ricerca e studio proprio nei fondamenti della fisica. A questa istituzione i nostri dottorandi Marco Sanchioni ed Enrico Cinti, che a Urbino stanno concludendo il loro PhD portando avanti un discorso innovativo sui fondamenti della fisica e sul grande problema aperto della “quantum gravity”, hanno fatto domanda per avere un finanziamento che poi è stato assegnato.

Perché la fisica teorica si allontana progressivamente dagli esperimenti e, quindi, dai finanziamenti?

Perché la presunta unificazione di relatività generale e meccanica quantistica si gioca sul piano di energie molto grandi che sono difficili da raggiungere con gli esperimenti e le tecnologie di cui disponiamo. Banalmente, in passato proprio l’esperimento ci consentiva di distinguere tra teorie giuste e sbagliate. Oggi questa possibilità manca e dobbiamo procedere attraverso domande di metodo per valutare un programma di ricerca rispetto a un altro. Si tratta di un notevole problema epistemologico intorno al quale abbiamo discusso in questi giorni a Urbino con studiosi provenienti da tutto il mondo, nel corso di un convegno che Marco ed Enrico hanno organizzato grazie al finanziamento della Fondazione Blaumann.

Marco, ti sei occupato di quantum gravity nel corso del tuo PhD e del convegno che hai organizzato. Proviamo a spiegare che cos’è la gravità quantistica?

Sì, nello specifico la mia ricerca riguarda i buchi neri: eventi estremi in cui si pensa che si possano trovare evidenze per le teorie della gravità quantistica. Nella fisica moderna abbiamo due grandi teorie sperimentalmente controllate: meccanica quantistica e relatività generale. La prima spiega l’estremamente piccolo, quindi come sono fatte le particelle, gli atomi ecc.; la seconda spiega l’estremamente grande: pianeti, galassie, buchi neri ecc.

 

Meccanica quantistica e relatività generale insieme danno luogo a un’area della scienza che si chiama gravità quantistica e che dovrebbe spiegare fenomeni che poggiano su entrambe le teorie. Fenomeni come il big bang, quindi l’origine dell’universo, e i buchi neri. Negli anni si è osservato, però, che problemi sia tecnici, sia concettuali impediscono la coesistenza delle due teorie, per cui lo sforzo della comunità scientifica è di superare le criticità riformulando una teoria che le contenga e possa esprimerle entrambe nei rispettivi ambiti di applicazione.

Il tuo PhD in Uniurb si sta concludendo, che idea ti sei fatto dell’esperienza nel suo complesso?

Questo dottorato è un’esperienza importante. Premetto che vengo da un PhD in Fisica conseguito all’Università di Copenaghen, che ho fatto ricerca all’Università di Stoccolma e ho studiato in vari Atenei d’Italia. A Urbino si è creata subito una familiarità nei rapporti con tutto il gruppo di ricerca che, insieme alle tante attività formative in programma, ha rappresentato una grande possibilità di crescita. A Copenaghen, ad esempio, avevo solo il ruolo di esercitatore, a Urbino ho avuto la possibilità di insegnare e dedicarmi, quindi, anche alla didattica più complessa.

 

Con Enrico, su stimolo del Professor Fano, abbiamo scritto un libro accessibile al grande pubblico sui paradossi dei buchi neri: una sfida nuova che ci ha permesso di esplorare anche l’ambito dell’alta divulgazione scientifica. In generale, quello che mi ha colpito e che poi ha fatto la differenza è, lo ripeto, quel senso di familiarità creato da rapporti quotidiani e costanti con le persone dell’Ateneo – docenti, ricercatori e studenti – che mi ha permesso di sperimentare e progredire molto come studioso e insegnante.

Enrico, immagino che anche il tuo progetto di ricerca si leghi alla gravità quantistica.

Esatto. Lavoro a un progetto di ricerca sulla filosofia della gravità quantistica, in particolare sui fondamenti delle conseguenze filosofiche di una certa classe di teorie: quelle sulla gravità olografica. Teorie che, come ha già detto Marco, puntano a descrivere fenomeni quali il big bang o l’interno dei buchi neri, e che, in ultima istanza, provano a spiegare la struttura fondamentale del nostro universo.

 

Le teorie olografiche di gravità sono teorie per le quali un sistema quantum-gravitazionale in n dimensioni è, in un certo senso, equivalente a un sistema quantistico privo di gravità e definito in n-1 dimensioni. La versione meglio articolata di questo approccio è la congettura AdS/CFT, che postula l’equivalenza tra la gravità quantistica in n dimensioni – in uno spaziotempo particolare detto di Anti De Sitter – e una teoria quantistica di campo in n-1 dimensioni, detta teoria di campo conforme, dove la forza di gravità è assente.

 

Va notato che il nostro universo è però di tipo De Sitter – per certi aspetti l’opposto di AdS – e di conseguenza non è descritto da AdS/CFT. La principale sfida, dunque, che le teorie olografiche devono affrontare è costruire una descrizione olografica del nostro universo.
Allo stesso tempo, un punto fondamentale di interesse filosofico in queste teorie sta nelle conseguenze apparentemente rivoluzionarie che hanno per la nostra visione della realtà, e nella necessità di strutturare al meglio la riflessione su di esse. Questo è, in sostanza, l’argomento della mia ricerca.

Anche a te chiedo di mettere sulla bilancia l’esperienza del dottorato di ricerca a Urbino. Quale obiettivo ti ha permesso di raggiungere?

Ho iniziato il mio percorso formativo a Urbino quando ho vinto una borsa di dottorato di ricerca in cotutela con l’Università di Ginevra; prima ho frequentato il corso di laurea triennale e magistrale in Filosofia a Milano. Urbino è splendida e poter vivere e lavorare in un posto del genere è un privilegio. In Ateneo mi sono trovato molto bene. Il gruppo di ricerca è interdisciplinare e ho avuto la possibilità di organizzare molte attività che hanno coinvolto anche i fisici, i matematici e gli informatici del nostro Dipartimento e questo confronto costante con saperi diversi è stato molto importante per la mia crescita.

 

Al di là delle ambizioni professionali, quello che a me interessava maggiormente era concludere il dottorato avendo capito più di quello che sapevo e stavo studiando quando sono entrato. Questo è successo ed è stata una grande vittoria, perché oltre a capire meglio quello che già studiavo ho espanso il campo dei miei interessi cominciando ad approfondire cose alle quali prima neanche immaginavo di potermi avvicinare. Direi quindi che questo dottorato è stato un successo su tutta la linea.

 

 

 

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