Il processo di innovazione della Scuola italiana sarà una lenta e complessa progressione verso un iter formativo da reinventare, non inquadrabile al momento tra un principio e una fine e solo definibile per indizi immaginativi. Quale potrebbe essere il segno valoriale di un’idea nuova di educazione e di una nuova attitudine all’apprendimento? E, più nello specifico, come si dovrebbe insegnare la filosofia nella Scuola secondaria di secondo grado del nostro Paese? Ne hanno parlato ai microfoni di Uniamo Giovanni Bonacina, docente di Storia della Filosofia dell’Università di Urbino, e Massimo Mugnai, professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa, dove ha insegnato Filosofia e Storia della logica.
L’intervista si è svolta al termine del dibattito Come insegnare la filosofia, organizzato e condotto dal Professor Vincenzo Fano nell’ambito del corso di laurea magistrale in Filosofia dell’Informazione. Teoria e Gestione della Conoscenza.

 

Che cos’è la filosofia?

Giovanni Bonacina ― Una vecchia risposta che dava Giulio Preti a questa domanda era: “in fondo filosofia è tutto quello che sotto tale nome si incontra in un buon manuale di filosofia”. Era una risposta molto empirica, molto elementare da un certo punto di vista però aveva una sua efficacia, nel senso che restituiva la nozione del fatto che filosofia è un termine che si applica a tante forme di pensiero molto diverse all’interno delle quali trovare un denominatore comune è obiettivamente difficile.

 

Tutti i filosofi quanto più sono convinti della bontà del loro approccio e dei loro argomenti reputano che la filosofia sia quella da loro praticata, e tendono a guardare con una certa diffidenza tutto quanto troppo si discosti da quel che loro intendono per filosofia. Il termine è oggi ampiamente abusato, si parla di filosofia delle cose più diverse e questo complica ancora la cornice. Credo, quindi, che l’esistenza di una tradizione che va sotto il nome di filosofia e che malamente trova spazio nei manuali sia ciò che ai miei occhi identifica la filosofia.

 

Massimo Mugnai ― Filosofia è un termine che copre molti modi di concepire la stessa disciplina, sono d’accordo, però a me sembra che proprio guardando al manuale ci sia una nozione generale di filosofia e una nozione più ristretta che individua un corpus di discipline – come l’etica, l’epistemologia, la filosofia della scienza, la logica, la filosofia della politica – le quali proprio guardando alla storia della filosofia, costituiscono l’ossatura, la base del fare filosofia.

 

Direi che in questa prospettiva è caratteristica una distinzione sostanziale: mentre le scienze si occupano di aspetti della realtà, la filosofia si occupa di come noi guardiamo a questi aspetti della realtà. Faccio un esempio: gli scienziati delle aree più diverse, dall’economia alla fisica, e anche tutti noi continuamente nella vita quotidiana ci occupiamo di quelli che si chiamano “controfattuali”, proponiamo, cioè, delle ipotesi che sono contrarie ai fatti: se non avessi lasciato a casa l’ombrello adesso non mi bagnerei. Ecco, questi controfattuali che sono usati in maniera molto più raffinata dagli scienziati sono poi studiati dai filosofi.

 

Così pure, tutti noi seguiamo delle norme etiche e il filosofo si chiede cosa sono queste norme, perché le sentiamo vincolanti. Ovviamente su temi del genere non c’è un consenso unanime e le visioni al riguardo evolvono col tempo e, in questo senso, la conoscenza della storia è importante perché ci fa vedere che la nostra nozione di norma si è evoluta sia per quel che riguarda la forma, sia soprattutto per quel che riguarda i contenuti. Però poi rimane compito del filosofo studiare in maniera pura e indipendente, anche dalla storia, gli aspetti dei problemi filosofici.
Quindi la filosofia non si occupa direttamente degli oggetti, ma è una riflessione su come noi ci occupiamo degli oggetti e dei problemi della vita quotidiana.

È necessario rinnovare la struttura del manuale di filosofia in uso oggi nella Scuola?

Giovanni Bonacina ― Penso che i manuali andrebbero certamente alleggeriti rispetto alle dimensioni attuali che sono spaventose. Il manuale è un prontuario nel quale lo studente sa di poter trovare e verificare una serie di elementi che gli vengono trasmessi, attraverso la lezione, dal suo docente. La mia impressione è che, nella grande difficoltà di fronteggiare i cambiamenti che la Scuola e l’insegnamento hanno sperimentato e sperimentano, il manuale sia venuto sempre più crescendo nel tentativo di fornire aiuto al professore più che allo studente e questa, secondo me, è una stortura grandissima. Il manuale deve aiutare lo studente non il professore.

 

Inoltre, che il manuale abbia un taglio storico dal mio punto di vista non è negativo, ma io osservo che lo studente quando faccio notare che Comte, Hegel e Bentham erano contemporanei rimane stupito perché, per come il manuale è strutturato, fa fatica a pensare che mentre Hegel faceva lezione a Berlino nel 1824, Comte incominciava la sua carriera in Francia e in Inghilterra Bentham ragionava sull’utilitarismo. Per cui anche il manuale storico è uno strumento difettoso, ausiliario, che dovrebbe integrare i classici che sono invece troppo sacrificati per due motivi fondamentali: perché espongono in prima persona il professore come lettore e interprete del classico, e per l’enormità dei programmi ministeriali che porta il docente a dire “se mi soffermo a spiegare il discorso sul metodo di Cartesio non arrivo a Kant”.

 

Massimo Mugnai ― Sono d’accordo con Bonacina, i manuali di filosofia attuali sono assolutamente ipertrofici: hanno 800/900 pagine per singolo volume e la vecchia struttura del manuale di tipo storico o storicistico di quando io ero studente, cinquant’anni fa. Inoltre, il testo filosofico degli autori è scomparso, lo studente non ne ha più conoscenza, ha solo contatto con estratti di opere in forma antologizzata che, tra l’altro, si riducono sempre più.

 

In linea di principio, per un approccio di tipo liceale preferirei il modello manualistico di tipo anglosassone, ma mi andrebbe bene anche quello di tipo storico purché desse rilievo prima di tutto all’argomentazione razionale e limitasse la presenza di una serie di autori minori che lo studente potrà studiare, se avrà interesse, dopo il liceo.

Potendo intervenire nei processi di programmazione nazionale, come immaginereste la trasformazione dell’insegnamento della filosofia in Italia nei prossimi trent’anni?

Giovanni Bonacina ― Vista la complessità crescente del pubblico al quale la materia sarà destinata, per insegnare la filosofia dobbiamo, e dovremo sempre più, sviluppare qualcosa che assomigli a un canone. È evidente che di fronte alla pluralità di culture e di tradizioni che confluisce e confluirà nelle nostre aule scolastiche se vogliamo che quel che più tradizionalmente abbiamo inteso per filosofia si conservi, con tutti gli sviluppi del caso, e si trasmetta dobbiamo avere – così come abbiamo un canone dei classici della letteratura – un canone dei classici della filosofia.

 

Francamente, l’idea che uno studente liceale che studia filosofia esca dalla scuola senza sapere cosa pensasse Platone, al di là dell’applicabilità dei suoi argomenti a certe questioni, un po’ mi inquieta. Per cui, io credo che arrivare alla definizione di un canone, certamente rivedibile, di autori fondamentali al quale fare riferimento sia necessario. Platone, Omero, Virgilio fanno parte del bagaglio culturale di una civiltà – e lo dico con tutte le cautele del caso – che è la nostra e alla quale sarà sempre più una sfida continuare a richiamarsi in maniera attendibile e, possibilmente, anche inclusiva.

 

Massimo Mugnai ― Credo che le indicazioni nazionali andrebbero riviste completamente, ma non ho idee chiare su come dovrebbe essere fatto un manuale di filosofia. Sono d’accordo con Giovanni che si dovrebbe arrivare perlomeno a un canone. La mia idea è la stessa di Claudio Giunta: “poche cose ma fatte bene”.
Per cui se si decidesse un canone di autori del passato importanti che hanno fatto la storia della filosofia per me, intanto, andrebbe bene.

 

Poi guarderei a un manuale di tipo sistematico – come dicevo sul modello anglosassone – che contenga il riferimento ai classici. Per esempio sul problema mente-corpo un manuale molto diffuso in Inghilterra parte da Descartes. In generale, sono convinto che i classici siano un’occasione per poter parlare di storia della filosofia. Preferirei senz’altro privilegiare un manuale di tipo sistematico perché secondo me abitua a vedere la filosofia come una disciplina autonoma e con un proprio statuto.

 

 

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