Dal 18 al 20 ottobre 2024, la quarta edizione del festival Parole di Giustizia ha acceso e orientato la nostra attenzione sulla necessità di portare, ogni singolo giorno, il principio di giustizia al centro della vita pubblica. La manifestazione – organizzata dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Urbino e dall’Associazione di Studi Giuridici Giuseppe Borrè – Carlo Maria Verardi, con il patrocinio dell’Associazione Nazionale Magistrati – si è svolta tra Urbino e Pesaro con il contributo fondamentale dei molti relatori presenti, tra i quali Luciano Canfora, Rosi Bindi, Marco Revelli, Benedetta Tobagi, Nadia Urbinati, Giuseppe Santalucia, Rita Sanlorenzo, Glauco Giostra.
Venerdì 18 ottobre, a margine dell’incontro urbinate: Giacomo Matteotti, al crocevia tra democrazia e fascismo, dedicato al deputato socialista vittima della dittatura fascista, abbiamo intervistato Giuseppe Battarino, giurista e scrittore, già magistrato, autore del testo scenico L’ultimo discorso. Giacomo Matteotti 30 maggio 1924.
L’atto unico è stato letto e interpretato, nell’Aula Blu di Palazzo Battiferri, da Alice Pagliaro e Michele Pagliaroni del Centro Teatrale Cesare Questa dell’Università di Urbino.

 

Giuseppe Battarino

Dottor Battarino, nel tempo di una guerra mondiale frammentata, quali parole di ingiustizia la colpiscono per la ferocia che veicolano?

Le parole inutilmente semplificatrici. Non c’è un lessico dell’ingiustizia, un lessico della guerra, un lessico della prevaricazione, ma è l’uso forzatamente semplificato delle parole che produce ingiustizia attraverso la mancata comprensione della realtà e, quindi, di ciò che può essere giusto.

La democrazia si regge anche sulla giustizia, quali sono le sfide principali che i sistemi giudiziari in Italia e fuori dal Paese affrontano nel tentativo di difendere i principi democratici contro le sempre più diffuse derive autoritarie?

Anche in questo caso la sfida della giustizia è una sfida di comprensione. È la necessità di comprendere la complessità della realtà a cui i sistemi democratici rispondono con il ragionamento, la razionalità, il confronto. Quindi la sfida è quella di comprendere e far comprendere che a un mondo complesso servono risposte complesse necessariamente, e che l’articolazione della democrazia è una di queste risposte positive.

Negli ultimi tempi la fiducia degli italiani nella giustizia ha subito un forte calo: è percepita come lenta e inefficace. Il sistema giudiziario italiano dovrebbe essere riformato secondo quali priorità?

Io credo che quello a cui tutti abbiamo diritto sia una tregua dalle riforme. Basta con proclami di riforme ogni giorno, c’è bisogno di comprendere che un sistema giudiziario si muove e può funzionare se ha la sua indipendenza, e se questa indipendenza viene esercitata attraverso l’uso intelligente del diritto, dell’interpretazione del diritto e di tutto quello che il lavoro dei giuristi porta con sé. È inutile pensare a continui spunti riformatori che poi provocano semplicemente uno stato di confusione tra gli operatori del diritto e, soprattutto, tra i cittadini a cui l’amministrazione della giustizia viene rappresentata falsamente.

Quali sono i segnali che la giustizia e le società dovrebbero riconoscere come avvisaglie di minacce alla democrazia?

Sono molteplici. Io uso l’espressione: “legalità quotidiana” perché è nella quotidianità che si colgono questi segnali che una buona amministrazione della giustizia può contrastare.

Negli anno abbiamo fatto abbastanza per ricordare Giacomo Matteotti come modello di integrità e coraggio civile?

Probabilmente no, eppure il centenario è l’occasione per ripensare non soltanto al delitto Matteotti, ma alla grande ricchezza del personaggio. Dico, da giurista, che Matteotti è stato autore di importantissimi saggi in materia di diritto penale e processuale penale che sono stati recuperati in occasione di questa ricorrenza. Ha fatto un lavoro parlamentare enorme, ed è portatore di idee così avanzate da essere esemplari per i giorni nostri. Per cui bisognerà senz’altro continuare a far emergere il patrimonio spirituale e culturale del personaggio Giacomo Matteotti.

Com’è nata la suggestione di pubblicare, in forma di atto unico per la scena, l’ultimo discorso parlamentare del deputato antifascista?

L’idea è nata dalla scommessa di pensare che l’ultimo discorso parlamentare di Matteotti abbia un valore non soltanto politico, simbolico, storico, ma anche letterario. Matteotti, cioè, riusciva a parlare in una maniera tanto efficace da trasformare la parola detta in un canovaccio letterario, così come ho provato a fare con questo testo teatrale, nel quale compaiono anche altre voci che sono quelle di Filippo Turati e Velia Titta, moglie di Matteotti.

Dell’ultimo discorso di Matteotti quali parole dobbiamo ricordare per sempre?

Dobbiamo ricordare le parole di denuncia delle violenze fasciste, dei brogli elettorali che consentirono a Matteotti di inquadrare il fascismo per quello che era, cioè una manifestazione brutale di prevaricazione. Quello che allora molti non capirono, e che tutt’oggi alcuni non comprendono, è che il fascismo non è mai stato cose diverse nel corso della storia, ma è sempre stato manifestazione di violenza e prevaricazione: questo disse Matteotti e questo dobbiamo tenere a mente anche oggi.

 

*L’immagine di copertina è di Paolo Monti e proviene dal Fondo Paolo Monti, di proprietà BEIC, collocato presso il Civico Archivio Fotografico di Milano.

 

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