Dal 24 novembre 2022 al 28 aprile 2023 le stanze di Palazzo Passionei ospiteranno Linea Proust. Carlo Bo alla ricerca di un Proust niente affatto perduto, l’esposizione che la Fondazione Carlo e Marise Bo dedica a Marcel Proust nel centenario della sua morte. Testimonianze video e tracce musicali d’autore guideranno il visitatore alla scoperta degli oltre settecento volumi che hanno consentito a Bo di studiare l’opera del grande scrittore francese per oltre settant’anni.
Curata da Roberto Danese, docente di Filologia Classica e vicedirettore scientifico della Fondazione Carlo e Marise Bo, e da Tiziana Mattioli, docente di Letteratura italiana e membro del comitato scientifico della medesima Fondazione, la mostra sarà presentata giovedì 24 novembre, alle 16.00, nell’Aula Magna del Rettorato in via Saffi 2.
L’evento gratuito e aperto a tutto il pubblico interessato sarà fruibile in presenza e online attraverso il canale www.youtube.com/@uniurb-live
Abbiamo approfondito la notizia dell’esposizione nell’intervista alla Professoressa Tiziana Mattioli.

 

Professoressa Mattioli, in quale età della vita Carlo Bo ha aperto la sua riflessione all’opera di Proust?

Si potrebbe dire che per Carlo Bo l’incontro con Proust, con la vastità della sua opera, sia stato un incontro della giovinezza, proprio nel tempo dei suoi anni universitari. Ci sono lettere, scambiate con gli amici e datate al 1932-’33 (Bo era dell’’11), che testimoniano questa immersione precoce e totale nel mondo proustiano e la consuetudine profonda che ne era derivata, assieme ad un inevitabile, necessario riassetto della mappatura della tradizione francese del romanzo, sconvolto, con la Recherche, nelle strutture cardinali del tempo e dello spazio, nelle regole scadute di una stretta imitazione della realtà. Una narrazione in tutto nuova e come esplosa in una miriade di atomi senza una geografia, se non interiore. Anzi, psichica.

 

Il silenzio della scrittura di Bo, in quel tempo che già era di collaborazione a riviste importanti e specialmente al “Frontespizio”, dice in modo eloquente di una straordinaria e quasi istintiva misura critica inclinata prima a sedimentare, raffermare il proprio sottosuolo, meglio si potrebbe dire intimamente confermare le prime pur importanti impressioni di lettura. Un’attesa che Bo sentiva necessaria, ed era poi capace di far germogliare d’improvviso in una splendida fioritura di scritti che, per Lo scrittore P. (il primo titolo, stampato in “Prospettive”) a partire dal 1941 sino al ’94, lungo il corso dei decenni e di tutta la vita, si sono segnalati per straordinaria continuità, e anche per intima metamorfosi, perché nessun romanzo come la Recherche, secondo Bo, è capace di pronunciare parole così diverse nei diversi tempi dell’uomo. Scrive infatti, sulla soglia degli ottant’anni, che: “ci sono diversi modi di leggere Proust; oltre quello naturale della lettura unica e continua, c’è quello di consultarlo, di sottoporlo a nuove verifiche secondo il corso delle varie età” perché lo scrittore francese “ha fissato il suo occhio sull’uomo eterno, che le trasformazioni della società non potranno mai alterare. È a questo uomo infatti che la Ricerca è dedicata”.

Perché Linea Proust?

Linea Proust significa appunto una linea di forza che si incide nella profondità dell’anima, e nella coscienza della verità, in un patto inalienabile fra scrittore e lettore – ed è, questo della lettura, uno dei temi identitari tanto in Proust quanto in Bo – ma significa, nondimeno, una linea del tempo che, a promuovere dalla prima elaborazione della Recherche, tutta la scrittura proustiana giunge alla tradizione urbinate tramite Bo (sin da subito, quasi al suo arrivo nella città ducale) e da lui idealmente e liberalmente si dirama a Giovanni Bogliolo, a Piero Toffano, a Daniela De Agostini, alla tradizione semiotica, sino ad arrivare, anche attraverso altri più giovani critici, proprio dentro i nostri giorni.

 

 

Quali sollecitazioni hanno guidato l’allestimento della mostra?

L’allestimento della mostra, che occupa tutte le stanze adiacenti allo studio ricostruito di Carlo Bo, e quindi l’intero ultimo piano di Palazzo Passionei-Paciotti, ha richiesto un impegno veramente grande, di ideazione, di scelta, di esposizione di un patrimonio librario e documentario di vera eccellenza e vastità.

 

Abbiamo sognato. E, per dirla con Proust, proprio considerando che “se un po’ di sogno è pericoloso, quel che ce ne guarisce non è il sognar meno, ma di più”.

 

Forse è questo il pensiero che ci ha attraversato quando, col nostro Direttore Scientifico Carlo Maria Ossola, abbiamo condiviso l’ipotesi e via via il consistere di questo progetto. Sì, abbiamo sognato, e pensato in grande, nonostante i mezzi economici siano per noi sempre misuratissimi. Ma smisurato è il patrimonio archivistico e librario che Carlo Bo ha donato ad Urbino, e smisurate sono le sollecitazioni critiche della sua più che mai attuale interrogazione. Poi, gli spazi di Palazzo Passionei fanno a loro volta il loro affascinante racconto. E così tanto federiciani quali sono, offrono al pubblico una speciale occasione di visita, nel segno dell’alta divulgazione che Bo amava e a cui si dedicava da sempre. Nell’’89 per esempio scriveva su “Gente” che il grande scrittore francese straordinariamente “sentì che la vita aveva come suo primo nemico il tempo”, e che per il lettore, quella “impressione di muoversi in un labirinto o di essere guidato da un pilota cieco” altro non fosse che una strategia per trattenerlo, come invischiato, “in questo sistema di corrispondenza e di riflessi, che lo avvia a un atto di coscienza che peserà sul resto della sua esistenza”. Sino dunque a quella soglia che è la vecchiaia, ed è, scriveva ancora Proust, quel tempo “che ci rende incapaci di intraprendere, ma non di desiderare”.

L’idea espositiva immagino abbia un punto d’origine ben identificabile.

“La vita vera, la vita finalmente scoperta e tratta alla luce, la sola vita quindi realmente vissuta è la letteratura”. Forse questa dichiarazione di Proust è stata all’origine dell’idea espositiva, per ragioni anche evidenti di specularità col pensiero di Bo. Per questo abbiamo cercato di costruire ambienti, stanze, in verità, nelle quali il visitatore avvertisse come un senso di permanenza dell’autore e del critico, come appunto se fossero state appena lasciate, e calde ancora della loro vita. Insomma, un poco quello che a un lettore resta, di immateriale e di totale, dopo attraversamenti importanti. Una vera presenza.

 

Ma di questa prima parte della nostra “avventura” rimane poi la splendida cordata di intellettuali e di amici che, diciamo così, si sono prestati al gioco, e sono tanti. Per primi, e ad inaugurare con le loro preziose relazioni, il Professor Carlo Maria Ossola, Massimo Raffaeli e Simone Dubrovic. Poi gli amici “creativi” come Paolo Semprucci e Walter Raffaelli, e quelli di solidità istituzionale, come Roberto Danese, che ora mi accompagna nella cocuratela, come Marcella Peruzzi e Ursula Vogt, ovvero anche di interpretazione attoriale, come Michele Pagliaroni. Ma un grazie del tutto speciale lo devo ad Elena Baldoni, presente in ogni attimo, con competenza e con grazia, e con coraggio, e a Roberta Dini, Francesca Gori, Fabrizio Sisti, Antonio Livi. E ai numi tutelari della comunicazione: Barbara Forlucci, Donatello Trisolino, Emanuela Braico, Nadia Bocconcelli. Può sembrare un elenco, ma è per contro un racconto di particolare verità.

 

 

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