Alessandra Cattaneo, docente di Teoria e Tecnica del Restauro 1 e 2, e Adriana Valicenti, studentessa Uniurb, raccontano il corso quinquennale in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali. Una magistrale a ciclo unico che abilita alla professione di restauratore, ai sensi del D.Lgs. n.42/2004, e garantisce l’apprendimento più propriamente tecnico attraverso una serie di attività pratico-laboratoriali che consentono ad allieve e allievi di intervenire non solo su modelli, ma anche su opere d’arte della tradizione italiana e straniera.

Ricordiamo ai lettori interessati che: i posti disponibili sono 10; le iscrizioni online al concorso si chiuderanno l’11 settembre 2023 e il prossimo Open Day dedicato al corso si svolgerà a Urbino il 06 settembre 2023. Per conoscere i dettagli dell’evento e prenotare il posto in aula cliccare qui.

 

 

La Professoressa Alessandra Cattaneo

Professoressa Cattaneo, “rispieghiamo” i punti di forza del corso di laurea in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali?

Sicuramente uno dei punti di forza di questo corso è il rapporto che la maggior parte dei docenti instaura con ciascun allievo. Una relazione d’ascolto imparziale che crea dei punti di riferimento e dei legami fondamentali per la crescita culturale dei nostri giovani. Un rapporto che li stimola a responsabilizzarsi rispetto ai loro impegni di studio.

Un altro punto di forza è rappresentato dall’utilizzo di nuovi modelli didattici per impartire un approccio innovativo alla documentazione, nel tentativo di migliorare – nei diversi processi di conservazione – l’alfabetizzazione digitale degli studenti. Infatti, all’interno dei laboratori viene fornito un approccio teorico e pratico che si concentra su archivi digitali o banche dati e su metodi di documentazione digitale e di elaborazione di dati 3D funzionali alla conservazione.

La Scuola di Conservazione e Restauro quali esperienze curriculari organizza in collaborazione con enti pubblici e privati in Italia e all’estero?

La Scuola di Conservazione e Restauro può vantare proficue collaborazioni – con enti pubblici, comuni, diocesi, gallerie nazionali, ma anche con collezionisti privati – che danno l’opportunità alla ricerca di testare e validare nuove metodologie di indagine scientifica, e agli studenti di intervenire su opere d’arte e non su modelli e di comprendere quanto sia importante l’apertura verso un approccio innovativo e sperimentale.

 

Diverse sono state le occasioni di incontro e di attività conservative presso il Museo di Nori De’ Nobili a Ripe di Trecastelli, vicino ad Ancona, attività presentate anche al Senato visto l’interesse per questa artista e per il Centro Studi sulla Donna nelle Arti Visive Contemporanee. Nel 2020, in collaborazione con il Comune di Abano Terme, a Villa Bassi Rathgeb, gli studenti hanno potuto seguire tutte le operazioni preliminari per l’allestimento della mostra Seicento-Novecento. Da Magnasco a Fontana. Dialogo tra due collezioni, grazie al rapporto con il collezionista privato Giuseppe Merlini.

 

Altra esperienza è stata quella del 2021 presso il Museo Mario Rimoldi di Cortina d’Ampezzo su opere di De Pisis, Capogrossi, Morandi, Campigli per un lavoro di conservazione programmata per opere d’arte moderna. Infine, la Scuola ha importanti rapporti con alcune realtà internazionali, come la Tunisia e il Libano, per la definizione di un percorso di conservazione e restauro euro-mediterraneo che sta coinvolgendo studenti e docenti sia in un ambito formativo, sia di ricerca.

 

Tutte queste iniziative rappresentano anche un mezzo per salvaguardare la competenza scientifica e professionale, per incrementare processi di valutazione della qualità della ricerca e della didattica e per promuovere e incentivare formule innovative per la conservazione e la gestione del patrimonio culturale.

Cosa significa essere restauratore e restauratrice di beni culturali oggi?

Negli ultimi decenni l’interesse per la conservazione, il restauro e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale si è ancor più rafforzato. Decidere di diventare un restauratore di beni culturali significa avere la consapevolezza che la tutela dell’eredità del passato è un problema di responsabilità collettiva e, di conseguenza, anche di natura sociale e politica. Ed è proprio questa presa di coscienza che consente al futuro restauratore di intraprendere con entusiasmo un percorso di studi che lo porterà a dover fare sicuramente un lavoro lungo e faticoso, ma anche di continua ricerca e arricchimento culturale.

 

Il restauratore di oggi – in merito alla prevenzione, conservazione, restauro e valorizzazione dei beni culturali – possiede specifiche e approfondite competenze scientifiche dei metodi e delle tecniche sia del passato, sia di quelle più all’avanguardia; conosce i materiali costitutivi e i loro processi di degrado; progetta e realizza gli interventi; ha competenze digitali che gli consentono di sviluppare metodi di documentazione innovativi. Il “fare restauro” non è quindi un’attività professionale tout court delegabile a chiunque, ma è ricerca scientifica, filologica e storico-critica sempre più aperta a scenari di inclusione e di identità culturale.

Adriana Valicenti

Adriana, mi racconti perché hai lasciato la provincia di Bari per studiare Conservazione e Restauro dei Beni Culturali a Urbino?

Ho scelto di iscrivermi al corso in Conservazione e Restauro di Urbino perché ha un certo numero di anni e, quindi, di esperienza al suo attivo rispetto a corsi di altre università italiane. Avevo fatto un po’ di ricerca comparativa sul web e mi aveva attratto molto l’idea di un percorso multidisciplinare che formasse il restauratore a trecentosessanta gradi grazie a materie molto diverse tra loro come Chimica, Biochimica, Microbiologia o Fisica, ma anche Storia dell’Arte italiana ed europea, Estetica o Legislazione dei beni culturali e grazie a tutta la parte più pratica dei laboratori in cui ci si confronta direttamente con i materiali e i manufatti.

 

In particolare, la Scuola di Urbino si focalizza su opere d’arte contemporanea, dipinti su supporto tessile e manufatti lignei, un settore di studio che allora mi interessava di più rispetto a quelli proposti dall’Università di Bari, ad esempio, più indirizzati alle opere lapidee e a manufatti archeologici. E poi nella scelta ha avuto un peso un impulso assolutamente irrazionale: ho visitato Urbino, me ne sono innamorata e non ho più avuto dubbi.

Quando hai visitato Urbino e l’Università hai anche incontrato e parlato con i docenti del corso?

Sì, sono stata a Urbino in occasione di un open day e ho parlato a lungo con alcuni professori molto gentili che hanno risposto alle mie domande e che, mesi dopo, ho ritrovato in cattedra. Con i docenti si crea un rapporto molto particolare perché a lezione siamo in pochi e i professori ci seguono da vicino, anche singolarmente, con grande attenzione. Poi, durante le ore di laboratorio – che sono parecchie – questo confronto continuo con loro diventa ancora più intenso perché mentre svolgiamo le attività pratiche i professori correggono gli eventuali errori, danno a ciascuno di noi dei suggerimenti e una spiegazione personalizzata che rappresenta un grande arricchimento sia a livello formativo, sia a livello umano.

 

Pur mantenendo la giusta distanza, imparano a conoscerci e a consigliarci sulla base delle nostre inclinazioni. Ad esempio, a ottobre farò un’esperienza di studio in Spagna, attraverso il programma Erasmus. Svilupperò lì la mia tesi di laurea e per farlo al meglio, la mia docente tutor ha individuato, insieme a una sua collega dell’Universidad de La Laguna di Tenerife, l’opera sulla quale potrò lavorare per rafforzare le mie competenze sul campo e assecondare anche alcune attitudini e interessi. Non sarà facile, ma è un’occasione di confronto importante con esperti del settore di un’altra cultura da cui potrò imparare molto.

Immagino abbiate la possibilità di agire concretamente e intervenire anche su manufatti del patrimonio d’arte italiano.

Sì, come dicevo, per imparare davvero il mestiere il corso ci dà la possibilità di esercitarci in attività pratiche e ci dà anche il privilegio di stabilire uno stretto contatto diretto con le opere d’arte della nostra tradizione e non solo su modelli. Ad esempio, durante l’esperienza di tirocinio che ho frequentato a Bari, in un’impresa di restauro esterna convenzionata con l’Ateneo, ho avuto la possibilità di seguire il recupero e la conservazione di opere provenienti dalla cattedrale della città, che sono state presentate al pubblico di recente.

 

Per ottenere l’abilitazione alla professione sto lavorando con una compagna di corso al progetto di restauro di un’opera molto particolare e complessa in deposito presso il laboratorio dell’Università. Si tratta di una grande tela di cui non si conosce la storia conservativa e non si distingue il soggetto. Per anni è stata considerata una Deposizione, invece grazie a uno studio iconografico e al supporto di una storica dell’arte abbiamo ipotizzato che rappresenti Cristo nell’Orto degli Ulivi e che possa risalire al ‘600 o al ‘700.

 

Insomma è un’opera da molti considerata esteticamente brutta, ma che a me piace davvero tanto per il suo mistero, per la sfida che propone, per il fatto di metterci di fronte a una scoperta continua: caratteristiche che corrispondono esattamente a tutto ciò mi piace di questo mestiere.

 

 

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