Accogliere in dono la raccolta libraria e documentale di Beatrice Lentati, la donna che ha istituito il fundraising professionale in Italia, per il nostro Ateneo è stato un grande privilegio. Il Fondo Lentati-Sanfelice di Monteforte, acquisito di recente dalla Biblioteca di Economia e Sociologia dell’Università di Urbino, si compone di oltre 1.000 titoli tra libri, magazine, case study e demo, in italiano e non solo, che approfondiscono la storia, le teorie e le tecniche del fundraising mondiale degli ultimi quarant’anni. Una risorsa notevole per le studentesse e i futuri studenti della summer school in Tecniche di fundraising per il Terzo settore e la Pubblica Amministrazione di Uniurb. LaPolis Political Academy ha, infatti, attivato un corso dedicato che prevede lezioni prevalentemente online, 30 posti disponibili e la possibilità di iscriversi entro il 28 marzo 2025. Per saperne di più sulle attività di raccolta fondi non profit abbiamo intervistato la prima fundraiser italiana: Beatrice Lentati.
Dottoressa Lentati, che cos’è il fundraising?
Il fundraising è il marketing applicato a una buona causa. Chi se ne occupa non vende un prodotto commerciale, ma “vende” una missione, un valore.
Negli anni ‘70 ha portato il fundraising professionale in Italia. Aveva solo vent’anni, com’è riuscita nell’impresa?
Durante l’ultimo anno di Università ho avuto la fortuna di lavorare in Inghilterra, come stagista, nella più importante agenzia del mondo di direct marketing, la Wunderman International, fondata dall’americano Lester Wunderman, uomo geniale e innovativo guidato sempre da profondi valori umani ed etici. Tornata a Milano mi sono messa in contatto con Umberto Veronesi che, mentre l’AIRC lentamente si costituiva, insieme al Consiglio Direttivo e a Guido Venosta, poi Presidente storico dell’Associazione, ha creduto nel progetto di raccolta fondi che proponevo e da lì siamo riusciti a partire.
L’AIRC è stata la mia prima creatura. In principio a lavorarci eravamo in tre, io mi occupavo di co-marketing. Abbiamo cominciato facendo dei test che coinvolgevano aziende, banche e includevano l’organizzazione di eventi e siamo cresciuti molto rapidamente. Con Mara Maionchi, che all’epoca era segretaria del direttore della Dischi Ricordi, abbiamo realizzato un disco grazie a cantautori che rinunciavano ai diritti a favore dell’AIRC. Più tardi, abbiamo fatto un primo evento a Forte dei Marmi con un giovanissimo Renato Zero agli inizi del suo successo. Insomma, fino al 1981, anno in cui ho lasciato l’Associazione, abbiamo conseguito grandi risultati e ci siamo anche molto divertiti.
E dopo l’AIRC?
Negli anni avevo creato una rete internazionale di persone con le quali ero in contatto, per cui ho informato tutti che lavoravo come consulente e finalmente sono arrivati i primi clienti, tutti stranieri. Solo nell’84, dopo l’AIRC, è arrivata la Lega del Filo d’Oro che è stata la mia seconda creatura per la quale ho lavorato splendidamente per quarant’anni, e da lì, piano piano, si sono aggiunti altri clienti italiani. In quel periodo la cosa più importante è stata la formazione. Io stessa dovevo migliorare la mia e, al contempo, fornire formazione ai miei clienti che, diversamente, non sarebbero riusciti a capire cosa fare e come farlo.
Immagino abbia anche fondato un modello organizzativo.
Ho insegnato alle associazioni a organizzarsi, a fare marketing, a costruire buone relazioni con i donatori: persone come noi che hanno bisogno di essere ascoltate e facilitate nel processo di donazione, e che devono anche ricevere una richiesta perché, ragionevolmente, se non chiedi non ti viene dato. Quindi, le associazioni che prima erano composte da un consiglio di amministrazione, un presidente e una segretaria hanno dovuto strutturarsi. Accanto all’attività istituzionale legata alla causa, alla mission, e alla vision – che spesso era ben chiara e strutturata rispetto ai fondatori e ai fruitori – è diventato necessario organizzare tutta l’area destinata alla raccolta fondi, partendo dalla “gestione donatori”: che rappresentavano le prime colonne portanti su cui poter contare a sostegno dei progetti istituzionali.
Come si diventa fundraiser, oggi?
Per fare questo mestiere innanzitutto occorre formarsi su temi che devono essere necessariamente studiati. Mi fa molto piacere che proprio a Urbino sia stata attivata questa summer school in Tecniche di fundraising per il Terzo settore e la Pubblica Amministrazione: un’opportunità per chi volesse avvicinarsi alla professione.
In linea di principio, per questo tipo di carriera è necessaria una cultura generale di base, oltre alla fondamentale capacità di capire e approfondire quelle che sono la causa e la mission di cui ci si occupa, di comprendere quali sono i valori etici alla base di questo lavoro e di condividerne la vision dell’organizzazione. Io selezionavo soprattutto collaboratori laureati, ad esempio, perché ritenevo e ritengo che chi fa la fatica di laurearsi dimostra volontà e amor proprio e guarda il mondo diversamente. E poi è essenziale saper capire gli altri, saper parlare con gli altri: in sostanza bisogna avere empatia, pazienza, gentilezza e capacità di ascolto.
A proposito di donazioni, di recente ha donato la sua biblioteca all’Università di Urbino che ha istituito il Fondo Beatrice Lentati e Pietro Sanfelice di Monteforte. Contenta della scelta?
Sono contenta di aver portato la mia biblioteca a Urbino, nel cuore dell’Italia. In questo fondo c’è tutto quello che occorre sapere sul fundraising. Ci sono libri su ogni tematica fondamentale: dal marketing alla psicologia, dalla scrittura di una lettera all’organizzazione di attività di direct mailing. In questi volumi sono contenuti tutti i principi, le tecniche e gli strumenti principali utili agli aspiranti fundraiser. Bisogna avere voglia di cercare e tanta curiosità. Credo che anche nei libri più vecchi, degli anni ‘40 o ‘50, si trovino già le radici da cui poi si sono sviluppati nel tempo professionalità e know-how di tantissimi bravi fundraiser di tutto il mondo. Molti miei maestri, altri miei allievi che hanno anche superato il maestro.