Silvia Tiboni-Craft è nata a Urbino, si è laureata in Lettere moderne alla Carlo Bo e oggi insegna Lingua e letteratura italiana alla Wake Forest University di Winston-Salem, nella Carolina del Nord. In una lunga chiacchierata via skype le abbiamo chiesto del Kulynych Family Omicron Delta Kappa Award che l’Ateneo americano le ha conferito qualche mese fa, e le abbiamo chiesto anche della sua prima vita nella città ducale e della seconda negli States.

 

Cara Silvia, è stato davvero emozionante trovarti nelle foto condivise sul web, in toga, sorridente, accanto al Rettore della Wake Forest University. Ci racconti tutto del premio?

Grazie… anche per me ricevere il premio in occasione del Founders’ Day è stata un’emozione grandissima! La cerimonia di consegna si è svolta all’interno della Wait Chapel, il luogo spirituale del campus universitario – considera che il campus ha le dimensioni del centro storico di Urbino – in cui si tengono gli eventi istituzionali.
Il Kulynych Family Omicron Delta Kappa Award è un premio attribuito annualmente a un docente della Wake Forest University che sia riuscito a creare un rapporto virtuoso con gli studenti in aula e fuori dall’aula, e che li abbia coinvolti creando connessioni forti tra il lavoro di ricerca in classe e le attività culturali e i progetti specifici sviluppati al di fuori del corso di studi.

 

A proporre le nominations sono studenti junior o senior, dell’ultimo o penultimo anno di corso, che rappresentano l’eccellenza dell’Ateneo e dei suoi vari Dipartimenti. Quindi, sono stata contenta di riceverlo soprattutto perché questo premio mi è stato assegnato dagli studenti. Insieme lavoriamo molto, e questo riconoscimento dimostra quanto loro sentano di essere cresciuti grazie ai progetti di cui ci occupiamo in aula e anche fuori dal campus.

La motivazione dell’assegnazione segnala che, negli ultimi cinque anni, hai formato studenti vincitori di una borsa di studio Richter Research, una borsa di ricerca ACC-IAC e di due premi della National Italian-American Foundation.

Sì, ho coordinato diversi progetti interessanti grazie ai quali due mie studentesse, Maddie Arnel e Mary Taormina, hanno ottenuto importanti riconoscimenti dalla NIAF; Maddie ha anche ricevuto la ACC-IAC per una ricerca sulle donne italo-americane. Ho vinto, tuttavia, questo premio soprattutto grazie a un progetto sui rifugiati politici afgani che ho coordinato e che, di fatto, ha sviluppato una studentessa: Rose O’Brien, della facoltà di Scienze politiche, specializzata in studi di Italianistica, che ha seguito diversi miei corsi di lingua e cultura italiana.
Con Rose abbiamo presentato la domanda per una borsa di studio, che lei ha vinto e che le ha permesso di raggiungere Trieste dove, per cinque settimane, ha lavorato presso il Consorzio Italiano di Solidarietà – Ufficio Rifugiati Onlus (ICS ). Qui ha sviluppato la sua ricerca studiando i processi di integrazione e indagando a fondo il concetto di “spazio” e le conseguenti dinamiche per le quali il rifugiato politico, costretto ad abbandonare la patria, prova a ricreare in un nuovo contesto sociale linguistico e culturale lo spazio fondamentale della propria vita, mantenendo un’identità stabile e definita.

 

L’altro fatto interessante è che durante la permanenza a Trieste, la studentessa ha dato il proprio supporto anche come volontaria e ha tenuto corsi di italiano per i rifugiati stessi. Terminato il periodo di studio in Italia, proprio sulla scorta di questa esperienza di ricerca e di vita, Rose ha pensato di creare un grande evento con il coinvolgimento della comunità di Winston-Salem, inaugurando il Wake Refugee Day: Unity in Diversity per sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto al tema.
In seguito, Rose ha anche vinto un premio importante: il Building the Dream, assegnato a membri o studenti della Wake Forest e della Winston-Salem State University impegnati in attività di promozione e valorizzazione della diversità all’interno della nostra comunità.

E tu come hai costruito il tuo sogno americano?

Io l’ho cercata l’America, l’ho sempre voluta fin da bambina per una mia fissazione nata non so da cosa.
E ho realizzato il sogno anche grazie a Fabrizio Maci, Responsabile dell’Ufficio Relazioni internazionali dell’Università di Urbino.
L’obiettivo successivo alla laurea era un’esperienza di studio-lavoro negli Stati Uniti, ho contattato l’Ufficio e mi è stato segnalato un bando attraverso il quale l’Università del Tennessee offriva al nostro Ateneo la possibilità di selezionare un giovane laureato per un’esperienza di studio e di insegnamento della lingua italiana della durata di un anno.

 

Sono partita e da lì è nato tutto. Ho fatto un breve colloquio con il Professor Sal Di Maria e ho cominciato ad insegnare. Dopodiché, ho fatto domanda per il dottorato di ricerca e sono entrata alla Rutgers University del New Jersey, dove mi sono specializzata nello studio della produzione letteraria di scrittrici italiane dell’Otto e Novecento con il Professor Andrea Baldi. Poi ho cercato lavoro in North Carolina per essere vicina a mio marito che già lavorava qui.

Urbino prima, Winston-Salem dopo, Urbino-Winston-Salem sempre?

Urbino-Winston-Salem sempre, direi. Amo il lavoro che faccio e la Wake Forest University, ma ho anche la fortuna di tornare a Urbino per diversi mesi durante l’estate, con mio marito Jessie e le mie figlie Julia e Vittoria.
Sono molto legata all’Università di Urbino perché ancora oggi porto in aula e utilizzo durante le mie lezioni tutto ciò che i corsi della facoltà di Lettere mi hanno insegnato, in particolare quelli della Professoressa Marta Bruscia, che oggi purtroppo non è più con noi, e della Professoressa Katia Migliori che è stata la mia relatrice di tesi; e sono molto legata alla città perché è il luogo in cui sono nata e in cui vivono la mia famiglia e i miei amici.
Negli anni del dottorato alla Rutgers University mi piaceva, ad esempio, accompagnare gli studenti americani a Urbino in occasione dei corsi estivi.
Per me era una forma di orgoglio, volevo che conoscessero a fondo la città e, devo dire, che i ragazzi se ne innamoravano immediatamente, si legavano alle persone e le ricordavano con affetto nei racconti che facevano al loro ritorno in New Jersey.

 

La città è piccola e mai frenetica e per loro era facile ambientarsi in fretta e imparare veramente la lingua. Se facevano colazione al bar, ad esempio, il cameriere aveva la pazienza e il tempo di ascoltare la frase in italiano pronunciata lentamente, e a loro questo piaceva molto.
Ricordo che col mio caro amico Luigi Bravi, che tutti ben conoscete, li accompagnavamo alla scoperta dell’Urbino segreta, di quei luoghi della città ai margini dei percorsi tradizionali come la sede della Confraternita della Morte: un’occasione per spiegare loro l’origine medievale delle associazioni studentesche – le fraternities e sororities – confraternite maschili e femminili di lunga tradizione nei campus americani, di cui potevano finalmente conoscere l’origine e l’evoluzione storica.

“Studenti” è parola che esplode con gioia in ogni tua risposta. Tornando al premio, proprio gli studenti hanno proposto la tua candidatura e i colleghi?

Gli studenti mi hanno nominata, i colleghi mi hanno fortemente sostenuta. I colleghi coetanei, ma soprattutto i senior che sono i miei mentori.
A loro ho sempre chiesto e chiedo consiglio, sono tutti molto generosi. Qualche tempo fa, una mia collega medievalista, Roberta Morosini, Professore ordinario di Letteratura qui alla Wake Forest, ha trovato in un negozio di antiquariato un libro che riguardava l’argomento di una ricerca alla quale sto iniziando a lavorare e me l’ha regalato dicendo: “forse questo ti può servire”. Le sono molto grata per tutto l’aiuto e lo spazio che mi ha dato sin dal primo giorno in cui sono arrivata al Dipartimento.

 

Così come sono grata a Judy Kem, Professore ordinario di Letteratura francese; a Remi Lanzoni, Professore Associato di Cinema italiano; al Capo del Dipartimento, Anne Hardcastle; al Vicerettore Rogan Kersh e alla Dean del college, Michelle Gillespie, per il continuo sostegno e riconoscimento. Insomma, tutti vogliono che io cresca professionalmente non solo come persona, perché più cresciamo noi docenti più facciamo grande la nostra Università, di cui siamo orgogliosi.

 

Immagini di Ken Bennett, WFU University Photographer

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