Aspettando la quarta edizione del Festival del giornalismo culturale, in città si parla di città con Vincenzo Trione scrittore, professore ordinario di Arte e media allo IULM di Milano e curatore del Padiglione Italia alla 56esima Biennale d’Arte di Venezia. Nella Cancelleria del Duca del Palazzo Ducale di Urbino, i conduttori del Festival Lella Mazzoli Direttore dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino, Giorgio Zanchini Giornalista RAI e Stefano Bartezzaghi scrittore, giornalista e docente allo IULM di Milano introducono e muovono una conversazione a più voci che prende le mosse da Effetto città. Arte/Cinema/Modernità il monumentale, ultimo libro di Trione pubblicato da Bompiani.
Chi prende la parola dice di pittura, cinema, architettura, letteratura e metropoli perché pittura, cinema, architettura, letteratura e metropoli sono esattamente tutto quanto Effetto città racconta. Trione interviene in videoconferenza e spiega come la messinscena della metropoli sia stata la premura privilegiata della migliore arte del ‘900. La città è uno dei capolavori dell’uomo, un’opera corale che abbraccia una molteplicità di produzioni artistiche e il libro non poteva che restituirne i contorni, per un verso disegnandola come opera grandiosa impreziosita dall’arte del paesaggio urbano, per l’altro interrogandosi sull’identità e sulla rappresentazione che artisti e cineasti hanno tentato di attribuirle.
Da Napoli a Vienna, da Parigi a New York, la narrazione è un viaggio nelle città dell’Occidente del mondo sui binari dei visual studies “un campo disciplinare eclettico frequentato da studiosi provenienti da saperi differenti (storia dell’arte, storia del cinema e dei media, studi culturali, sociologia, estetica”.
Nel percorso incontriamo “pittori che pensano come registi e cineasti che ragionano con finezza pittorica”. Dario Argento cita Edward Hopper ricostruendo sul set l’esatta rappresentazione della fonte pittorica. Un dripping di Jackson Pollock si accosta a uno scatto dall’alto di Shanghai firmato Olivo Barbieri, evidenziando una sorprendente sovrapposizione del vortice ordinato di linee che gira in entrambe le opere, di pittura l’una, di fotografia l’altra. Singolare è l’”effetto pitturato” di Deserto rosso di Michelangelo Antonioni che sul set consultava i cataloghi di Cy Twombly, di Antoni Tàpies e di Mark Rothko.
La “filosofia urbanistica” di Pasolini apre il volume, poi Benjamin e Calvino si impongono tra gli altri, eppure a guidare l’intero percorso è Baudelaire che ha intuito “alcune modalità moderne di vedere lo spazio urbano, oscillando tra presenza e assenza, tra partecipazione e distanziamento, tra compenetrazione con il visibile e fuga dal mondo”.
Il racconto prosegue. Zanchini e Bartezzaghi ne rimarcano frammenti ad alta voce che commentano. Trione incalza caricandolo di informazioni, immagini e visioni secondo una precisa geografia narrativa. Tanto da far venire in mente che quando si sfogliano le prime pagine di un libro la sensazione che d’istinto irrompe è di attraversarlo per arrivare da qualche parte, in qualche luogo, mentre per Effetto città la regola non vale o vale doppio, nel senso che i luoghi che ci fa attraversare sono una costellazione inesauribile, eppure il libro stesso è luogo e, più precisamente, è città. Si costruisce, infatti, sul modello della cartografia urbana di New York. La prosa si orienta secondo una rigorosissima scansione geometrica di street e di avenue intervallate, in omaggio a Benjamin, dai passages: gallerie di immagini e illustrazioni non di corredo al testo, ma esse stesse testi visivi paralleli. Figure che ritraggono anche i non pochi episodi cinematografici indagati, da Blade Runner all’imprescindibile modello di metropoli(s) di Fritz Lang, girando intorno alla filmografia di Wim Wenders per arrivare ad Apocalypse Now di Francis Ford Coppola e rispondere alla domanda: cosa diventeranno le nostre città quando alla fine arriveranno alla fine?
L’invito è a riflettere sull’apocalisse laica della nostra quotidianità. Una metafora, chiaro. La città è uno straordinario spettacolo al quale non ci si può sottrarre, ma è anche l’archetipo della disfatta di un organismo regolato che apre la strada all’avventura irresistibile dello smarrimento necessario.