La Società Geochimica Italiana ha premiato le tre migliori tesi di dottorato del 2019 e sul podio dei vincitori ha portato Marco Taussi, Dottore di ricerca in Scienze di Base e Applicazioni, Curriculum in Scienze della Terra, oggi Assegnista di ricerca dell’Università di Urbino.

Surface exploration and petrological applications in high enthalpy geothermal areas: a multidisciplinary approach for the Cerro Pabellon project (Northern Chile) è il titolo dello studio sulla geotermia ad alta entalpia che ha ottenuto il riconoscimento ed è stato condotto in collaborazione con Enel Green Power e l’Università del Cile.

Per saperne di più abbiamo intervistato l’autore della ricerca vincente, ex studente di Uniurb laureato in Scienze Geologiche e in Scienze e tecnologie geologiche.

 

Marco, molti complimenti! Cosa rappresenta per te questo riconoscimento?

Grazie! Questo riconoscimento è una grande soddisfazione! È un premio al mio intero percorso formativo – dalla triennale in Scienze Geologiche fino al dottorato – che è nato dal desiderio di studiare i vulcani ed è stato guidato da una passione per le Scienze della Terra in generale, e per la geotermia in particolare.

 

Fin da piccolo ho capito di essere incuriosito dalle continue trasformazioni di ciò che vedevo in natura e dall’azione delle stesse forze naturali che generano questi cambiamenti. Tutti gli anni andavo con la mia famiglia sui Monti Sibillini e con mio nonno facevo lunghe passeggiate per i sentieri che salivano verso le cime.

 

Parlavamo tanto e io mi chiedevo sempre il motivo per cui quelle rocce si trovassero lì e come ci fossero arrivate. A lui devo l’amore per la natura che continua ad essere un punto fermo della mia vita, una specie di bussola per orientarmi.

Come utilizzerai il premio in denaro?

Lo investirò in formazione. Ho intenzione di seguire corsi che riguardano tematiche di geochimica delle bonifiche ambientali.

Per la tua tesi di dottorato hai svolto parte del lavoro di ricerca sul campo, più precisamente, nel deserto di Atacama in Cile. Raccontaci perché…

Perché nel nord del Cile ho potuto studiare l’area che ospita la centrale geotermoelettrica Cerro Pabellón di Enel Green Power, la prima di questa tipologia in tutto il Sud America. Durante il mio dottorato di ricerca la centrale era in costruzione. In realtà per una parte lo è ancora, perché da poco sono stati avviati i lavori che realizzeranno una terza unità produttiva. L’acquisizione dei dati della mia tesi di dottorato è avvenuta mentre le prime due unità della centrale erano ancora in costruzione.

 

Precisamente, l’impianto produce energia elettrica sfruttando il calore della terra. Volendo semplificare, si perfora il sottosuolo fino a raggiungere il serbatoio di acqua calda o vapore presente a una certa profondità; si estrae questo fluido geotermico che passa in apposite turbine, attiva una sorta di dinamo e attraverso un trasformatore produce energia elettrica.

 

Tieni conto che i pozzi hanno una profondità di circa 2000 metri e lì le temperature si aggirano intorno ai 250 gradi centigradi. Completato il ciclo di estrazione e di produzione, il fluido viene reimmesso nel sottosuolo così da non essere disperso, ma rinnovato e riutilizzato: per questo la geotermia è una fonte di energia rinnovabile.

 


Cile, altopiano del deserto di Atacama. Il professor Alberto Renzulli e Marco Taussi.


 

Lo studio si è svolto in partnership con Enel Green Power e con l’Università del Cile, è esatto?

Sì! Insieme al Professor Alberto Renzulli, relatore della mia tesi di dottorato, ho collaborato con Enel Green Power, proprietaria della concessione di esplorazione e di sfruttamento dell’energia geotermica di questo sito.

 

In virtù dell’accordo, per vitto e alloggio abbiamo potuto usufruire delle strutture del campo base della centrale (a 4.000 metri di altitudine e a una distanza di circa trenta minuti dall’area di interesse di studio), e abbiamo potuto pubblicare su riviste scientifiche specializzate i dati emersi dal lavoro di ricerca.

 

La partnership scientifica principale è stata con l’Università del Cile e con il CEGA, il Centro di Eccellenza in Geotermia delle Ande, con il quale ho realizzato parte delle analisi, le campagne di terreno e ho pubblicato gli articoli.

 

Tra l’altro, il Direttore di questo centro di eccellenza è stato il correlatore della mia tesi di dottorato ed è anche entrato a far parte del Collegio dei docenti, per il Curriculum in Scienze della Terra, del nuovo dottorato in Research Methods in Science and Technology del nostro Ateneo.

Quali sono i risultati prodotti dalla ricerca e pubblicati?

La tesi di dottorato segue tre argomenti principali e in riferimento agli esiti di ognuno sono stati estratti quattro articoli, pubblicati su riviste scientifiche internazionali.

Due articoli riguardano il complesso vulcanico che si trova a breve distanza dall’area geotermica della centrale. Il primo studio ha determinato la profondità delle camere magmatiche degli edifici vulcanici, l’altro ha evidenziato l’evoluzione geochimica e petrologica delle lave eruttate.

 

Siamo così riusciti a definire che questo sistema vulcanico ha una camera più superficiale, che sembrerebbe essere la principale fonte di calore del campo geotermico, e una sorgente di calore più profonda di cui stiamo cercando di capire il ruolo e l’influenza su Cerro Pabellón e altri campi geotermici andini.

L’argomento del terzo articolo?

Il terzo studio ha individuato le tipologie di minerali e rocce che permettono ai fluidi geotermici di rimanere in pressione e confinati alle profondità alle quali si trovano prima di poter essere estratti. Dobbiamo pensare al sistema geotermico come a una sorta di pentola a pressione, per cui la domanda che ci siamo fatti è stata: qual è il coperchio che tiene l’acqua in ebollizione ad alta temperatura?

 

Attraverso analisi in diffrazione di raggi X dei frammenti di rocce derivanti dalle perforazioni, abbiamo concluso che la roccia che “sigilla” il sistema geotermico è costituita da un’elevata quantità di minerali argillosi impermeabili, ha uno spessore di circa 300 metri e riesce a mantenere il fluido geotermico in profondità ad alte temperature e pressione.

 

Non resta che parlare del quarto!

Certo. Un’ulteriore indagine ha riguardato la capacità di tenuta di queste “rocce sigillo” rispetto ad eventuali emissioni di CO2 dal suolo. L’anidride carbonica potrebbe derivare dal serbatoio, le sacche di calore di cui ho detto prima, e da lì risalire in superficie senza manifestazioni visibili come fumarole, geyser o pozze d’acqua bollente ecc.

 

Tramite misurazioni ad hoc abbiamo osservato che, effettivamente, non ci sono emanazioni di CO2 dal serbatoio e confermato che queste “rocce sigillo” sono estremamente impermeabili e mantengono la condizione necessaria e ideale per lo sfruttamento dell’energia geotermica.

 

Quest’ultimo lavoro l’ho sviluppato in stretta collaborazione con Orlando Vaselli, docente di Geochimica dell’Università di Firenze, e Barbara Nisi, ricercatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Grazie a loro ho potuto portare in Cile tutta la strumentazione necessaria per fare queste misurazioni.

 

 

Hai caricato la strumentazione nel bagaglio a mano?

Più o meno! Lo strumento che ho in spalla nella fotografia che ti ho inviato ha viaggiato con me in una grande valigia. È un flussimetro portatile, una “camera di accumulo” per la misurazione dei flussi di gas dal suolo. Io l’ho usato per misurare i flussi di CO2 dal suolo.

 

Trasportarlo è stato impegnativo perché la centrale geotermoelettrica si trova a 4.500 metri di altezza, in uno dei luoghi più straordinari ma anche più aridi del mondo, dove l’aria è rarefatta e le temperature oscillano tra -20° di notte e 30° di giorno.

 

Insomma, qualche difficoltà in quota l’ho avvertita, ma il bello della ricerca, o meglio della passione per la ricerca, è che riduce il senso della fatica. Se hai in mente un’ipotesi, un dato che vuoi verificare, lo fai e basta. L’entusiasmo e la curiosità ti portano verso l’obiettivo che vuoi raggiungere a qualunque costo, e il costo, se c’è la passione, è sempre vicino allo zero.

La tua passione, dopo il dottorato di ricerca, dove ti ha portato?

Terminata l’esperienza del dottorato, ho vinto un assegno di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Pure e Applicate dell’Università di Urbino che mi permette di studiare la geotermia di bassa entalpia, cioè un sistema di utilizzo dei primi 100-200 metri di sottosuolo come scambiatore di calore, per produrre energia termica attraverso le cosiddette pompe di calore geotermico.

 

Una soluzione che permette il condizionamento termico delle abitazioni.
Il mio studio attuale riguarda il potenziale del territorio lungo la vallata del Metauro, da Fano a Fossombrone. L’obiettivo è individuare nel sottosuolo le aree con le caratteristiche geotermiche più favorevoli alla costruzione di questo tipo di impianto.

Qual è la tua aspirazione professionale?

Non ho dubbi: fare ricerca nel campo delle Scienze della Terra. In particolare, mi piacerebbe poter dare un contributo reale agli studi sulla geotermia perché i sistemi energetici che ne derivano sono sistemi sostenibili, che garantiscono una riduzione delle emissioni di CO2 e quindi la produzione di energia pulita.

 

È utopico pensare a un mondo senza petrolio al momento, non lo è pensare a una forte riduzione dell’uso delle fonti fossili – come il carbone e gli idrocarburi – e a un aumento dell’utilizzo di fonti rinnovabili. Quindi, non solo eolico, fotovoltaico e idroelettrico, ma anche geotermia che ha il vantaggio di non essere dipendente dalle condizioni atmosferiche.

Un sondaggio del 2019 di Demos & Pi lascia ben sperare: per l’83% dei giovani tra i 15 e i 24 anni la tutela dell’ambiente è una priorità rispetto alla crescita economica!

Sì, infatti sono fiducioso: il cambiamento è nell’aria e in parte è già in atto. I consumatori sono sempre più attenti alla sostenibilità. I giovani, in particolare, dimostrano una sensibilità verso la salvaguardia dell’ambiente che non si era mai vista, quindi dobbiamo assolutamente puntare sulle fonti rinnovabili di energia!

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