Il 25 di ogni mese, continuano ad inanellarsi in una prospettiva di equilibrio reciproco le letture dei testi che Carlo Bo ha dedicato a Urbino. L’interpretazione numero 3 è di Gilberto Santini – Direttore dell’AMAT, l’Associazione Marchigiana Attività Teatrali – che delle pagine su cui posa la voce è anche coautore.
Urbino, Albergo Italia restituisce, infatti, la conversazione del Magnifico con un giovanissimo Santini, registrata a Milano il 15 febbraio 1997, che apre la raccolta degli scritti di Bo Parole sulla città dell’anima, curata dall’allora neolaureato in Lettere Moderne e pubblicata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Urbino.
Partner del progetto internazionale Urbinate per sempre. Architetture della luce e dello spirito – ideato e coordinato da Tiziana Mattioli, docente di Letteratura italiana dell’Ateneo urbinate, e promosso nell’ambito del Prorettorato allo Sviluppo di Partenariati Strategici Nazionali e Internazionali – Gilberto Santini ha approfondito l’argomento nell’intervista che segue.
Per ascoltare e leggere i testi è possibile accedere al sito dedicato al progetto cliccando su eventi.uniurb.it/urbinate-per-sempre
Dottor Santini, dopo molti anni ritrova Carlo Bo esplorando gli inediti territori narrativi del progetto Urbinate per sempre. Architetture della luce e dello spirito!
Ho accolto con piacere l’invito della Professoressa Mattioli che conosco e stimo dai tempi della mia frequentazione universitaria, prima come studente e poi come studioso.
Con Carlo Bo ho avuto il piacere e l’onore di collaborare quando ero giovanissimo, in un periodo in cui stavo mettendo meglio a fuoco la mia vocazione di essere umano, quindi senza dubbio è stato un incontro molto importante che ha avuto come conseguenza anche la pubblicazione di tre miei lavori.
Tra l’altro, proprio di recente ho ripensato con sempre maggiore urgenza alla possibilità di tornare a studiare la sua opera, per cui quando Tiziana mi ha chiamato proponendomi di partecipare al progetto con l’omaggio della lettura ho avuto come l’impressione che fosse arrivato il momento di riaprire i conti con la lezione di Carlo Bo, tuttora inesausta sia per me, sia per il mondo della cultura in genere.
Come ricorda gli anni della collaborazione con “l’instancabile profeta della letteratura come vita”?
La collaborazione con Bo è stata un’esperienza molto curiosa. Provo a descriverla così.
Sono uno studente di Lettere Moderne – mi laureerò poi con la Professoressa Anna Teresa Ossani in Letteratura Teatrale Italiana – e faccio un incontro fondamentale, per la mia vita e per il mio futuro professionale: l’incontro col teatro nella persona di Giovanni Testori, uno dei maggiori intellettuali del momento, scrittore, pittore, critico d’arte e letterario, drammaturgo, poeta e giornalista, insomma un genio dai tratti rinascimentali.
Lo conosco a Urbino dove porta in scena In exitu, uno spettacolo che si rivela un grande successo e un grande scandalo; per me una folgorazione, la messa a fuoco definitiva della mia passione teatrale.
Inizia la nostra frequentazione e molte delle nostre conversazioni sono proprio su Bo, che considera autore di alcune tra le pagine più belle e più importanti dedicate alla sua opera seppure mai organizzate in libro, e mi suggerisce di sentire il Rettore per proporgli di raccoglierle, finalmente, in un volume.
Accolgo l’invito, comincio a fare la spola tra Testori a Milano e Carlo Bo a Urbino e mi ritrovo a soli ventidue anni a pubblicare, come curatore presso Longanesi, gli scritti di Carlo Bo su Testori in un libro dal titolo L’urlo, la bestemmia, il canto dell’amore umile che, tra l’altro, vorrei rieditare.
Da lì inizia il percorso di lavoro con Bo che poi porta alla raccolta dei suoi scritti sulla città e che si conclude nei migliori dei modi.
Ci racconta il finale perfetto?
Il Rettore era un uomo di grande intelligenza oltre che molto potente, io ero un giovanissimo studente e poi studioso, e non potrò mai dimenticare il nostro ultimo incontro, quando lui mi chiese: “posso fare qualcosa per te? Posso aiutarti in qualche modo?”. Io lo guardai e gli dissi che non avevo nulla da chiedergli perché quello che avevamo fatto insieme era già straordinario e non avevo bisogno di altro.
Ricordo che lui fece un sorriso bellissimo e mi disse solo: “ho capito”.
Ecco, questa gratuità con cui si è conclusa la nostra frequentazione per me è il suggello della sua grandezza imperitura.
A Bo ha certamente chiesto, per sua e nostra fortuna, l’intervista Urbino, Albergo Italia.
Quella sì, perché avevamo raccolto i suoi testi dedicati a Urbino e avevamo scelto di aprire il volume Parole sulla città dell’anima con una chiacchierata che restituisse una sintesi dei diversi capitoli.
Di quella conversazione che si tenne nelle sua casa di Milano, ricordo tutti i particolari e rileggendola, nell’occasione inattesa della mia partecipazione a questo progetto, mi ha molto colpito e commosso perché nelle pagine che raccolgono le nostre parole dette, Bo racconta cose che non dice altrove e lo fa con una familiarità e con un calore che erano suoi e che qui emergono molto bene e che, soprattutto, possono oggi far guardare a Urbino con occhi diversi.
In qualche modo, il rilancio di questa conversazione credo possa aiutarci a capire quante visioni e quale profondità di lettura della città abbia avuto Carlo Bo rispetto a Urbino.
Le chiedo una sequenza di fotogrammi del Magnifico ritratto nella dimensione più intima della conversazione.
Mi colpiva molto una delle caratteristiche più evidenziate di Bo, l’essenzialità. Era un uomo di poche parole che si tratteneva pochissimo con le persone. Ricordo che in occasione dei nostri incontri, spesso non di breve durata, ad un certo punto ci raggiungevano le persone del suo seguito allarmate da quel protrarsi insolito.
Ricordo un Bo incuriosito da questo buffo ventenne affamato di bellezza e letteratura, e credo che il nostro scambio lo divertisse molto perché man mano i suoi silenzi si erano sciolti e lo vedevo sempre molto contento dei percorsi che facevamo insieme.
Non sono stato suo amico, né voglio fingermi tale, dico solo che pur nella differenza incolmabile di ruoli e generazioni il nostro fu certamente un dialogo appassionato e autentico.
Del progetto ha apprezzato particolarmente la sezione dedicata alle letture dei testi di Bo. Attribuisce, forse, a queste pagine un carisma di teatralità?
Devo dire che la dimensione orale dei testi finora letti è abbastanza sorprendente e inattesa.
Nel caso della conversazione si è trattato solo di riportare all’oralità qualcosa che è nato attraverso la voce eppure, più in generale, l’oralità è molto pertinente alla scrittura di Bo e ha una grande forza. Per cui su questa caratteristica imprevista, che non so se possa riferirsi a una misura propriamente teatrale, credo valga la pena ragionare in futuro.
Invitiamo insieme le studentesse e gli studenti di Uniurb a conoscere e riscoprire Carlo Bo?
Di recente ho tenuto una serie di lezioni per l’Università di Urbino e sono ripartito proprio da alcuni testi di Bo invitando gli studenti a ritrovarlo per recuperare la forza di un magistero, di una profonda intelligenza, ironica, mai narcisistica. A tratti stravagante anche: oltre che per il suo eterno sigaro mi colpiva che fosse spessissimo senza scarpe, come se ci trovassimo a casa sua piuttosto che in Rettorato. Ed era un’abitudine resa celebre da una foto pubblicata sul Corriere della Sera in occasione dei suoi cinquant’anni da Rettore dell’Università di Urbino.
L’invito è quindi a riscoprirlo e ad andare incontro ad un uomo che si è interrogato senza sosta sulla condizione del mondo e dell’umanità e che ha vissuto la letteratura, la politica, la stessa gestione dell’Ateneo sempre in attesa di una notizia capace di superarci.