Martedì 27 giugno, il Rettore Giorgio Calcagnini ha conferito il Sigillo di Ateneo a Massimo Moratti, Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Saras, leader europeo nel settore della raffinazione, e storico Presidente dell’Inter. Durante la cerimonia, che si è svolta nell’affollatissima Aula Magna di Palazzo Battiferri, e nell’intervista affidata ai microfoni di Uniamo abbiamo avuto il privilegio di ascoltare il racconto di una vita straordinaria. La vita di un uomo di sorprendente umiltà “dotato di geniali intuizioni, aperto ai sentieri dell’innovazione tecnologica e attento agli aspetti più propriamente umani ed etici”.

 

Presidente, benvenuto a Urbino! Quale impressione suscita la nostra città?

Magnifica, magnifica, bellissima, meravigliosa. La visito per la prima volta con la voglia di approfondirne la conoscenza perché qui c’è tutta la cultura d’Italia, ed è quello che affascina.

Se dovesse dare una definizione della sua vita come la racconterebbe?

Fortunata sotto un certo aspetto, sorprendente per altri, bella senza dubbio. Non posso ritenerla faticosa perché le fatiche sono altre nella vita, però certamente impegnativa.

Se dovessi definire io la sua vita userei le parole: Famiglia, Saras, Inter, Solidarietà. Quale peso specifico attribuisce alla “famiglia”?

La famiglia certamente è fondamentale, la mia famiglia originale e la famiglia che ci siamo creati con mia moglie. Quella originale dovuta all’immensa devozione e ammirazione che abbiamo avuto sempre nei confronti di mio padre. Persona straordinaria fuori dalla normalità, genio, di una grande umanità, di una grande generosità, di una grande creatività, persona che senza darci spiegazioni ci ha insegnato a capire il mondo.

 

Lui è stato il fulcro della famiglia, lui e mia madre, donna spiritosissima e simpaticissima oltre che innamorata persa di mio padre e che, in quanto tale, ci ha sempre portato a vederlo come qualche cosa di meraviglioso. Da lì è nato tutto, è nato il nostro piacere per il lavoro che abbiamo affrontato insieme a lui, il fascino di questo lavoro che è un mestiere rischioso ma interessantissimo, che in futuro andrà a spegnersi a fronte di nuove fonti di energia. Quindi la famiglia è stata fondamentale.

Per il mondo Saras è il Gruppo europeo leader nel settore dell’energia e della raffinazione, fondato da Angelo Moratti nel 1962. Per lei che cosa rappresenta?

È il senso del dovere e di attaccamento alle persone. Come quando uno dice che è innamorato di una città: è innamorato delle persone di quella città, così in un’azienda non sei innamorato dell’azienda di per sé come fatto teorico, ma vuoi bene alle persone che lavorano e che hanno lavorato all’interno. Ci sono legami molto forti in Saras com’è dimostrato costantemente dalle persone che ci lavorano dentro, con gesti di affetto, di simpatia e di fiducia nei confronti di noi che abbiamo l’obbligo e il piacere di dirigere.

 

E questo è uno scambio di sentimenti che sembra nell’industria una cosa da poco e che, invece, è fondamentale anche nel prendere le decisioni progettuali per il futuro della società. Quindi con Saras stiamo cercando sempre di essere all’altezza della situazione essendo un centro energetico e, come tale, stiamo cercando di adattarci sempre di più, di avanzare e di arrivare bene e per primi a soluzioni di carattere energetico nuove che siano più vicine alle esigenze del clima e della vita di tutti.

Ha detto che “legarsi all’Inter significa essere pronti a vivere una vita emozionante”, immagino non solo per i 16 trofei conquistati.

L’Inter è un innamoramento e fa parte sempre di qualcosa che avevo vissuto da ragazzo con mio padre e con tutta la famiglia, qualcosa che era rimasto nel cuore, per cui quando c’è stata l’occasione, l’opportunità – forse neanche cercata – l’ho colta non so se con coraggio o incoscienza. Anche perché non capivo perfettamente quale fosse la portata di questa cosa, ma è una portata che ho sempre retto bene, forse per le esperienze che mi ero fatto da ragazzo. L’ho sempre vista come qualche cosa di possibile, di accettabile, di bello, non mi ha mai spaventato e questo mi ha messo in condizioni di avere sempre la speranza dentro, una costanza di ricerca del risultato, perché la gente aveva bisogno di una soddisfazione, di una felicità che poi la fortuna ha voluto che raggiungessimo.

Come suo padre anche lei, nella gestione dei processi aziendali e nella gestione della società calcistica, ha fatto leva sul fattore umano. Suo padre diceva: la “comprensione umana” e la “capacità comunicativa” sono “il segreto del successo nel calcio”. Guardando all’attuale sistema calcio pensa sia ancora un modello praticabile?

In questo momento il calcio è soprattutto comunicazione e quindi l’innovazione di chi riesce ad avere una comunicazione vincente è importante. Adesso però il calcio è, molto più di prima, figlio dell’economia e della finanza soprattutto, e quindi è importante che la finanza possa suscitare lo stesso fascino che prima suscitava la famiglia o il gruppo che si interessava perché c’era un sentimento. Un sentimento che adesso è difficile trovare, o almeno, che la gente fa fatica a trovare in mezzo a queste iniziative (adesso l’Arabia Saudita si è lanciata in questi nuovi investimenti) che sono qualche cosa che spacca il calcio sotto il profilo economico, ma che mette in condizioni però di far crescere un Paese. Quindi la sua utilità il calcio la dà, poi bisogna vedere se questa è la strada giusta.

“I sentimenti valgono molto più dei soldi che uno mette in una società” ha spiegato in più di un’occasione. E penso a quando ha donato il suo stipendio annuale – 1,5 milioni di euro – ai dipendenti di Saras per arginare l’impatto della crisi pandemica. Quale senso attribuisce alla parola solidarietà?

Io credo sia la partecipazione alla vita degli altri. Credo che un industriale già partecipa alla vita degli altri con l’industria, ma ti guardi in giro e sai che costantemente chiunque altro ha bisogno di sentimenti, quasi tutti di un aiuto economico e, quindi, devi essere pronto a capire queste situazioni e a intervenire dov’è necessario, anche se ti senti sempre in ritardo perché è tantissimo quello di cui il mondo ha bisogno e di cui la gente ha bisogno. Quel poco che fai non basta mai a completare la soddisfazione delle persone che conosci o di una situazione difficile: guardiamo a quella dei migranti o delle vittime della guerra. Vorresti fare molto più di quello che ti riesce di fare.

Continua ad amare la sua pazza Inter?

Certamente, quello che manca in questo nuovo rapporto è il senso del dovere. Prima quello che dava forza a tutto era un senso del dovere nei confronti del pubblico, nei confronti della storia, della società, della responsabilità che avevo, cosa che adesso non ho più. Rimane il sentimento per una storia, anche familiare, abbastanza incisiva nei confronti della società e, quindi, è bello veder crescere la società sperando che vada sempre meglio.

 

 

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