Il Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali di Uniurb lancia Impact Design: la summer school che insegna a progettare la nuova responsabilità sociale per la comunicazione delle imprese, e a costruire traiettorie narrative inedite intorno all’impatto che l’impegno civico delle aziende produce in termini di cambiamento sulla collettività e sull’ambiente.

Il corso, rivolto a studenti, neolaureati e professionisti della comunicazione, si svolgerà in streaming dal 14 maggio al 26 giugno durante quattro fine settimana. Le iscrizioni si chiuderanno il 10 maggio 2021.

Ne parliamo con Paolo Iabichino che ha ideato il nuovo percorso formativo con Giovanni Boccia Artieri, Prorettore alla Didattica e alla Comunicazione Interna ed Esterna del nostro Ateneo.

 

 

Paolo Iabichino

Paolo, bentrovato! A un anno dal lancio della campagna di comunicazione del nostro Ateneo, di cui hai curato la direzione creativa, torni a Urbino. Quale rapporto hai costruito con la città e con l’Università?

Il rapporto con la città è intimamente legato a quello con l’Ateneo, ed è un rapporto che risale a una decina d’anni fa e che riconduco senz’altro all’amicizia con Lella Mazzoli. Quando lei scopre Invertising, il mio primo libro, mi chiede di portare il volume in aula durante le lezioni dei suoi corsi e insieme cominciamo a costruire un legame basato sulla reciproca stima e sull’affetto che procede parallelamente sul binario della collaborazione professionale.

 

Sono entrato anche nel comitato scientifico del Festival del Giornalismo Culturale, ormai da qualche edizione, e questa circostanza mi ha sempre portato molto volentieri a Urbino dove ho trovato un humus particolarmente vivace tra i ragazzi, che percepisco come persone molto attente, curiose, aperte: un fatto mai scontato all’interno di un’aula universitaria, ti assicuro.

 

Le collaborazioni assorbono molto tempo ed energia e a Urbino ho sempre ricevuto in cambio una buonissima dose di entusiasmo e creatività, che poi è la stessa che abbiamo messo in circolo esattamente un anno fa quando il Rettore – dando seguito a un’intuizione di Lella che stava concludendo felicemente la sua carriera universitaria – mi ha chiesto di occuparmi del riposizionamento dell’Università, attraverso il progetto di laboratorio partecipato con gli studenti che hanno prodotto la campagna di comunicazione 2020-2021.

Come nasce l’idea di questa summer school?

L’idea di questa summer school è nata a margine di una conversazione con Giovanni Boccia Artieri con il quale, durante questo lockdown e anche nel precedente, sono stato quotidianamente in contatto. Lo scorso anno, con delle dirette su Instagram, abbiamo dato vita a Carosello is back per stare vicino alle ragazze e ai ragazzi privati della didattica in presenza perché l’Università non era raggiungibile.
Dopodiché abbiamo deciso di proseguire questa esperienza, che ci aveva dato grandissime soddisfazioni, ci siamo spostati su Facebook e abbiamo continuato settimanalmente a replicare lo stesso format che poi è diventato un format di presentazione di libri, Carosello is book.

 

Si è trattato quindi di una serie di appuntamenti con la conoscenza, con la curiosità, che hanno riguardato temi che sono di nostra competenza: la cultura digitale, la sociologia, l’informazione, il giornalismo, la pubblicità, la comunicazione, la creatività eccetera. Temi che in questa cornice di sperimentazione abbiamo sentito riverberare, risuonare in maniera molto forte, e reclamare un percorso formativo che pensiamo non esista in questo momento.

 

Per cui eccolo: un percorso di progettualità del dibattito che si articola in un ciclo di lezioni che passano dalla visione alla pratica, con verticalizzazioni formative su quelli che sono i fondamentali che riteniamo essere chiave per affrontare il nuovo tempo.

Qual è l’obiettivo di questo ciclo di lezioni?

In un percorso formativo fatto di soli quattro fine settimana crediamo di aver messo insieme un team di docenti in grado di dare uno sguardo decisamente inedito su: digital communication and networked brands, civic brands, marketing aumentato, progettazione culturale e corporate journalism perché non vengano banalizzati dalla retorica del purpose e siano, invece, affrontati in maniera sincera, onesta e schietta sui territori dell’azione e dell’impatto.

 

Un impatto che va progettato e non narrato. Non mi interessa tanto lo storytelling dell’impatto, mi interessa molto di più la progettazione dell’impronta, perché siamo tutti chiamati a lasciare un segno nei prossimi anni. Corporate, istituzioni, ma anche individui, finalmente depositeremo un lascito benefico diverso da quello che l’Antropocene ha consegnato al pianeta.

Come si struttura il corso?

Abbiamo messo in programma fronti di indagine e di analisi variegati. Una serie di intelligenze parteciperanno alla lettura dello scenario contemporaneo.

 

Giovanni Boccia Artieri lo osserverà attraverso la lente della sociologia e della cultura digitale, io attraverso quella della creatività, della scrittura, della comunicazione pubblicitaria, dei media digitali, Ipsos Italia porterà l’esperienza dell’Osservatorio Civic Brands e quindi gli esiti dell’analisi e del monitoraggio della capacità di impegno sociale delle aziende italiane, cioè dell’impatto che le iniziative messe in atto dai brand per produrre un cambiamento sviluppano nell’ambito della sostenibilità ambientale, della gender equality, del rispetto delle filiere, delle politiche di diversity e inclusion, e di molto altro ancora.

 

Le aziende stesse restituiranno, inoltre, la propria testimonianza e, non ultimo, è previsto un laboratorio e una progettualità conseguente che sarà sviluppata durante tutta la durata del corso e presentata nell’ultimo weekend di lavoro.

Nell’emergenza e nel post Covid-19, secondo te, quali nuove traiettorie narrative dovrebbero raccontare le aziende?

Io mi auguro – ed è uno dei motivi per cui abbiamo organizzato un corso che si intitola Impact design, quindi “progettare l’impatto” – che le aziende siano meno preoccupate di raccontare e di raccontarsi e molto più impegnate a produrre azioni che generino cambiamenti.

 

Se si realizzasse questo spostamento di paradigma per il nostro mestiere sarebbe un salto quantico, perché per questa via la comunicazione delle imprese, la comunicazione della Corporate Social Responsibility ma, non solo, la comunicazione nel suo complesso comincerebbe a preoccuparsi prima di tutto di disegnare e progettare un’azione di impatto, di disegnare e progettare il cambiamento e una nuova modalità di consumo e poi, casomai, di raccontarla, ma solamente dopo.

L’impatto della pandemia ha già prodotto un cambiamento. Nel perimetro di questa profonda mutazione socio-economica, e dell’anima prima di tutto, nuovi saranno i consumatori, nuove le abitudini di consumo, e nuovi anche i comunicatori, e penso ai nostri studenti della Scuola di Scienze della Comunicazione.

È evidente: l’impianto capitalistico deve essere ridisegnato. Le piattaforme hanno dimostrato un limite enorme da questo punto di vista rispetto allo stato di diritto. Bisogna correre velocemente ai ripari, da una parte progettando un nuovo modo di stare sul mercato, dall’altra – banalmente – progettando un risarcimento rispetto a un modo di consumare tossico che la pandemia ci ha rivelato essere assolutamente a fine corsa.
Per cui, senza dubbio, chi si laurea in Scienze della Comunicazione si troverà investito da uno tsunami che riorganizzerà completamente le coordinate del mestiere, non solo del comunicatore ma di chiunque faccia impresa nei prossimi anni.

 

Immagine Paolo Iabichino. Credits: Daniele Barraco.

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