Si sono chiusi lo scorso sabato i lavori dei Seminari “La comunicazione nella politica che cambia” organizzati da LaPolis a compimento di un iter di studi iniziato con le lezioni del Corso di Formazione Permanente OpeRA. Come cambia la politica al tempo del web 2.0? Lo abbiamo chiesto al Professor Ilvo Diamanti, Direttore del Corso.
Professor Diamanti, come si inseriscono i Seminari “La comunicazione nella politica che cambia” nel più ampio progetto didattico di OPeRA?
Il seminario è l’ultimo atto didattico di OPeRA il Corso di Formazione Permanente che LaPolis, il Laboratorio di Studi Politici e Sociali dell’Ateneo di Urbino, ormai da molti anni organizza. Le lezioni si sono svolte da marzo a giugno 2015 e hanno coinvolto un pubblico impegnato in attività di comunicazione istituzionale o solo vicino per inclinazione a quest’ambito specifico. OPeRA è, infatti, l’acronimo di Opinione Pubblica e Rappresentanza. I seminari della Summer School hanno concluso l’evento aprendolo non solo ai 40 iscritti al corso, ma ad una platea più ampia di professionisti e laureati con interessi legati alla comunicazione politica.
Quando ho pensato a questo corso l’ho immaginato come percorso di studi, ma anche come luogo. Il luogo è il corso, il luogo è anche Urbino: lo spazio dove si tirano le somme riguardo all’andamento dell’opinione pubblica in alcuni contesti. Per cui questa Summer School ha l’ambizione di diventare la prima di una lunga serie di eventi che si ripeteranno negli anni più o meno con lo stesso obiettivo, la stessa prospettiva e lo stesso progetto.
Sondaggi, professioni della consulenza, campagne elettorali, finanziamento, lobbying e fundraising sono alcuni dei temi approfonditi dai corsi. Quali altri segmenti del marketing politico hanno indagato i seminari?
I seminari si sono svolti in quattro diverse sessioni. Il soggetto della prima giornata è stato il Presidente del Consiglio. Un caso esemplare che, a proposito di luoghi, ha fatto della comunicazione il suo luogo privilegiato. Per Renzi il rapporto tra comunicazione e politica non è un binomio, ma una sovrapposizione esatta: la comunicazione è politica e la politica è comunicazione. Abbiamo affrontato l’argomento anche con Francesco Nicodemo, Consigliere alla Comunicazione di Palazzo Chigi e specialista di new media e di social media.
Nella prima parte della seconda giornata ci siamo interrogati sul rapporto diretto tra comunicazione e spettacolo, e tra politica e spettacolo. Anche qui la “e” può essere intesa sia come congiunzione sia come verbo. Da qualche tempo si assiste a una crisi della politica in televisione (in particolar modo nei talk show) e della politica come spettacolo. Non a caso abbiamo previsto l’intervento di giornalisti che conducono talk show. Massimo Giannini di Ballarò, Paolo Ruffini (ex direttore di Rai 3 e di La 7) oggi Direttore di Tv2000 e ideatore di Ballarò e Corrado Formigli di Piazzapulita, programma televisivo di approfondimento politico in onda su La7.
Ecco, insieme ci siamo chiesti: perché i talk show non funzionano più come in passato? È un problema del medium televisivo? Oppure è un problema dell’oggetto, dell’argomento o degli attori di questo spettacolo?
Copiamo e incolliamo le domande. Perché i talk show non funzionano più come in passato? È un problema del medium televisivo? Oppure è un problema dell’oggetto, dell’argomento o degli attori di questo spettacolo?
La questione in sé è complessa, è evidente. Lo spettacolo della politica funziona male perché la politica come argomento televisivo è scadente e gli attori hanno una capacità comunicativa diversa, forse ieri più efficace. Oggi ci siamo anche abituati al modello “rissa” perché va in scena a tutte le ore e su tutte le reti. Siamo assuefatti.
Veniamo da una lunga stagione beneficiata, tra virgolette, da Berlusconi che ha permesso il funzionamento di una tipologia di spettacolo che per esistere aveva necessità di dividere in due. Il format televisivo era dualista. Metteva uno di fronte all’altro, il berlusconiano e l’antiberlusconiano, con pro e contro, uno vinceva l’altro perdeva la partita mediatica del momento. Oggi, in una fase di grande frammentazione politica, il format viene meno perché viene meno la sua definizione, la sua delimitazione, il suo schema che non è più duale. E se non è duale non funziona. La marginalità politica di Berlusconi rende meno efficaci i format.
Soggetti e oggetti delle ultime due giornate di studio?
Nel pomeriggio del 4 settembre abbiamo parlato del Papa, grande divulgatore che conosce l’importanza della parola e dell’immagine e le gestisce anche grazie al sostegno di specialisti della comunicazione. Circostanza che non stupisce in quanto oggi, qualunque leadership si affida ad esperti della comunicazione istituzionale.
Abbiamo chiuso i lavori sabato 5 settembre, ragionando sulla funzione mediatica del terrorismo. Il terrore nel momento in cui viene esibito e ribadito attraverso tutte le reti televisive e soprattutto attraverso tutti i new media e il web, produce nella comunità sociale che guarda e ascolta un urto di intensità smisurata. Un attentato senza gravi conseguenze come quello avvenuto sul treno che viaggiava tra Amsterdam e Parigi, non avrebbe avuto alcuna eco e alcun impatto se non fosse stato comunicato e mandato in rete attraverso i video prodotti dai cellulari. Per questo, l’obiettivo dei nostri seminari è stato verificare come la nuova comunicazione impatti sul piano pubblico.
Come cambia la politica quando cambia la comunicazione?
La comunicazione è cambiata perché i new media hanno realizzato una connessione simbiotica tra “realtà” reale e mediale. I new media sono parte integrante della nostra vita, anzi, sono la nostra vita perché ogni istante può essere riprodotto, autoriprodotto, rilanciato e spinto ovunque. Quindi, in ultima analisi, l’iniziativa della nostra Scuola di fine estate vuole anche essere una riflessione su noi stessi che siamo attori mediali.
Non c’è gesto di qualche impatto pubblico che non faccia i conti con i nuovi media perché i nuovi media sono alla portata di tutti. Ed è questa la vera differenza rispetto al passato.
Il berlusconismo era figlio di una fase in cui la comunicazione poteva essere controllata da pochi. Esisteva, sostanzialmente, un duopolio per cui si controllava la comunicazione politica se si controllava Mediaset o la Rai. Oggi non è più così.
La comunicazione si muove di là dalla politica, e attraverso il web va dove vuole andare. La rete non è nata per fare politica, ma chi vuole fare politica deve essere lì, presente, e deve sapere come attraversarla. Il fenomeno del Movimento 5 Stelle lo dimostra ampiamente.
Come evolverà tutto questo non è dato saperlo. Non sono possibili previsioni perché i new media sfuggono a qualunque forma di controllo. Per fortuna.