La transizione ecologica è uno dei tre assi strategici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR – predisposto dal Governo italiano per dare attuazione al pacchetto di investimenti e riforme del Next Generation EU, e contrastare gli effetti della crisi economica e sociale generata dall’emergenza pandemica.
Ne parliamo con Giovanni Marin, Professore Associato di Economia Applicata dell’Università di Urbino, vincitore della IV edizione dell’European Award for Researchers in Environmental Economics under the Age of Forty.
Il premio è stato riconosciuto “all’economista ambientale under 40” per il suo significativo contributo alla “conoscenza nell’ambito dell’economia ambientale” e, nello specifico, alla ricerca scientifica più riferita agli effetti della transizione ecologica sul mercato del lavoro.

 

Professor Marin, molti rallegramenti! Come ha accolto la notizia del Premio EAERE?

Grazie! Ho accolto la notizia del premio con sorpresa. Nel profondo è ovvio che ci sperassi. L’anno scorso, quando è stato premiato un economista francese che conosco molto bene – ha un anno più di me e fa ricerche anche simili alle mie – ho pensato: se ha vinto lui, chissà, magari un giorno…

Il Professor Giovanni Marin

Sorprende il suo stupore, se anche il New York Times ha citato studi che ha contribuito a realizzare!

In effetti, diversi studi a cui ho partecipato hanno avuto risonanza anche sui media, soprattutto negli Stati Uniti. Il New York Times ha citato, in più di un’occasione, articoli che anche io ho firmato e ha intervistato un collega statunitense coautore di queste indagini. Del resto, le ricerche più recenti che mi hanno coinvolto si sono concentrate soprattutto negli USA per rintracciare gli effetti dell’American Recovery and Reinvestment Act sul mercato del lavoro.

 

Per affrontare la crisi finanziaria, il Governo americano ha approvato nel 2009 questo piano di spesa straordinario che prevedeva circa 800 miliardi di dollari, destinando il 19% del totale dei fondi alla sostenibilità. Per cui, ciò che abbiamo fatto è stato valutare la manovra politica in questione, raccogliendo dati e facendo analisi statistiche, per verificarne l’impatto. L’aumento dell’occupazione, soprattutto nel lungo periodo, è risultato evidente e, a pari condizioni, le aree che hanno tratto più vantaggi sono state quelle che prevedevano già una forza lavoro con competenze ambientali. Quindi, proprio questa caratteristica ha fatto da volano allo stimolo economico, che altrimenti avrebbe impiegato un tempo più ampio a creare occupazione.

Tenendo conto della motivazione del premio, quali effetti della transizione ecologica è possibile prevedere sul mercato del lavoro?

L’impegno dell’Europa – e degli Stati Uniti – a far leva sugli investimenti pubblici in relazione a specifici temi, tra cui anche la sostenibilità ambientale e l’impatto climatico, per uscire dalla crisi pandemica è epocale, non ha precedenti, tuttavia, potrebbe generare sul mercato del lavoro una serie di criticità. La prima riguarda il divario tra domanda e offerta: si assisterebbe, infatti, a un aumento della domanda di lavoratori dotati di competenze specifiche, che oggi mancano, con il conseguente rallentamento nella rincorsa agli obiettivi ambientali. Il secondo effetto è di tipo distributivo: chi fosse in possesso di competenze utili potrebbe lavorare molto e aspirare a stipendi più alti. Inoltre, diversi settori produttivi – collegati all’estrazione e all’utilizzo dei carburanti fossili, ad esempio – subirebbero un grosso danno economico in seguito alla transizione verde.

 

Il fatto interessante emerso dai nostri studi è che i lavoratori di questi settori a rischio con competenze ingegneristiche, tecniche, competenze di gestione dei processi, competenze scientifiche e competenze di monitoraggio legislativo, di monitoraggio dell’impatto ambientale, della produzione e del consumo, potrebbero convertire e riutilizzare il proprio know-how nell’economia verde abbastanza facilmente. Quindi, chi prima scavava pozzi petroliferi in Basilicata potrebbe riqualificarsi altrove, specializzandosi nella creazione di siti di cattura della CO2, per intenderci.

La quota d’investimento destinata dall’Italia ai progetti green è pari al 31,05% dell’importo totale del PNRR. Riusciremo a migrare verso un’economia a impatto zero?

La transizione verde dell’Italia parte con qualche vantaggio. Siamo un Paese con poche risorse naturali, per cui storicamente abbiamo dovuto fare investimenti notevoli per rendere le nostre attività produttive molto efficienti, non potendo contare su risorse a basso prezzo. In fatto di economia circolare il nostro è tra i Paesi europei leader sia in termini di risultati, sia di tecnologia. Però c’è molto da fare.

 

Stiamo vivendo un momento unico nella storia, i governi sono riusciti a stanziare risorse importantissime per una transizione ecologica anche “giusta”, che fornirà il sostegno finanziario alle regioni e ai lavoratori sui quali graverà il peso maggiore della profonda trasformazione socio-economica a cui andiamo incontro. In generale, è un’occasione che va sfruttata senza titubanze e con grande attenzione incanalando queste risorse dove esistono gli input necessari, perché la transizione verde non solo è un vantaggio per l’economia, ma è anche – e soprattutto, forse – urgente per l’ambiente.

L’Ateneo di Urbino quali azioni sta portando in campo per procedere nella direzione della transizione verde e della sostenibilità?

Con la creazione del nuovo Prorettorato alla Sostenibilità e alla Valorizzazione delle Differenze, guidato dalla Professoressa Elena Viganò, l’Ateneo di Urbino ha deciso di impegnarsi attivamente per contribuire alla sostenibilità ambientale – ma non solo – e alla transizione verde. Abbiamo creato il sito Uniurb Sostenibile che raccoglie, via via, le iniziative messe in campo. Sul fronte della didattica, con diciassette docenti dell’Ateneo, abbiamo predisposto una serie di brevi lezioni sui singoli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile che saranno disponibili a breve, e che hanno l’obiettivo di sensibilizzare la comunità universitaria rispetto alla nuova strategia ONU.

 

Per quel che riguarda la ricerca, stiamo mappando le attività dei docenti già impegnati sui temi della sostenibilità e ci stiamo organizzando per partecipare ai bandi previsti dal PNRR. Nell’ultimo anno l’Ateneo ha avviato, inoltre, una ricognizione di tutti gli edifici di cui dispone allo scopo di programmare investimenti di efficientamento energetico.
Insomma, c’è molto lavoro da fare, ma ci stiamo muovendo nella direzione indicata dal Rettore Giorgio Calcagnini in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2021-2022: “mitigazione del cambiamento climatico e rafforzamento del legame tra benessere, salute, tutela dell’ambiente e rispetto dei diritti”.

 

 

 

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