Il suo percorso formativo alla Carlo Bo: laurea triennale in Biotecnologie, laurea specialistica in Biotecnologie Industriali; laurea magistrale in Biologia molecolare, sanitaria e della nutrizione. Si chiama Laura D’Ignazio, è al quarto anno del Wellcome Trust PhD Programme in Biologia Molecolare e Cellulare dell’Università di Dundee e di recente ha vinto il Dundee Plus Award.

 

Laura, molti rallegramenti! Raccontaci cos’è e come si conquista il Dundee Plus Award.

Grazie mille! Riceverlo è stata una grande soddisfazione!
Il Dundee Plus Award è un premio che riconosce le competenze acquisite in attività extracurricolari: la capacità di leadership, di lavoro in team, di risolvere problemi legati ad attività di organizzazione, di gestione del budget, ecc.
In sostanza, tutte quelle soft skills che ho portato in campo nelle diverse esperienze di cui sono stata protagonista a Dundee come Ambasciatrice dei dottorandi Wellcome Trust, e come membro della commissione incaricata dell’organizzazione del Simposio annuale del mio Dipartimento nel 2016.

E così, dopo la laurea specialistica in Biotecnologie Industriali, l’Università di Dundee ti seleziona per un PhD in Biologia Molecolare e Cellulare…

Non proprio, in realtà la mia esperienza di ricerca all’estero non comincia col dottorato in Scozia, ma con l’opportunità di un’esperienza lavorativa negli Stati Uniti al National Institute of Health. Capirai, il sogno americano… avevo appena finito la specialistica, non ci ho pensato due volte: ho preso l’aereo e sono atterrata a Baltimora, nel Maryland. Costa est. Un luogo che sarà nel mio cuore per sempre perché mi ha permesso di crescere molto come persona e professionalmente.
Ho trascorso lì tre anni, la metà dei quali lavorando durante il giorno e studiando durante la notte. Eh sì, perché non ti ho detto che prima di partire per l’America mi sono iscritta alla magistrale di Biologia molecolare, sanitaria e della nutrizione a Urbino per un completamento del curriculum.

Ok, è ufficiale: hai i super poteri! E dimmi, cosa studiavi al National Institute of Health?

Vuoi mettere la soddisfazione di spendere le ferie per tornare a Urbino e sostenere gli esami, di conquistare la terza coroncina di alloro nel 2013 e, soprattutto, l’orgoglio di aver pagato le tasse con i miei soldi?!
E ho anche avuto la fortuna di usare il progetto di ricerca di cui mi occupavo a Baltimora come argomento della mia tesi sperimentale. Li’, in particolare, studiavo due geni – Lhx8 e Foxl2 – importanti nel mantenimento della riserva ovarica nella donna.

Le vie della ricerca sono infinite. Italia-Stati Uniti, Stati Uniti-Scozia, è esatto?

Esatto. Mentre l’esperienza di Baltimora si concludeva ho cominciato a cercare il bando di dottorato: lo step di preparazione che ancora mi mancava. Ho valutato varie opzioni, anche in Italia, ma ho preferito orientarmi verso una dimensione internazionale per mettermi in gioco fino in fondo e perché adoro il fatto che in laboratorio circolino culture diverse che insegnano cose che vanno al di là del lavoro stesso.
Così, ho compilato gli application forms di vari Atenei in Inghilterra, Sudafrica, Danimarca, Francia, e sono stata selezionata dall’Università di Dundee per un programma di dottorato tra i più prestigiosi e meglio retribuiti d’Inghilterra: il Wellcome Trust.

Argomento e durata del Wellcome Trust PhD Programme?

Il programma dura quattro anni. Durante il primo anno si ha la possibilità di “testare” vari tipi di ricerca, prima di arrivare alla scelta del laboratorio in cui svolgere i tre successivi del dottorato vero e proprio.
In particolare, adesso studio due geni – HIF e NF-kB – importanti nel processo di adattamento e risposta del nostro corpo all’infiammazione e alla mancanza di ossigeno. Di questi geni, che sono interconnessi, indago il modo in cui si regolano a vicenda e lo faccio usando diverse linee cellulari di cancro e le Drosofile: i moscerini della frutta.

Dettagli sul tuo gruppo e sull’attività di ricerca?

La Principal investigator, Sonia Rocha, è una persona eccezionale che mi ha fatto innamorare da subito dell’argomento di studio.
In laboratorio ognuno ha il proprio progetto da seguire, ma tutto il gruppo è orientato alla massima collaborazione. Nessuna competizione, ma sostegno costante: se il mio esperimento non funziona cerchiamo insieme di capire, superare e risolvere la difficoltà.

La formazione nelle aule e nei laboratori della Carlo Bo, di certo ha avuto qualche influenza sul percorso di ricerca successivo. Ti è capitato di misurarne gli effetti?

Certo, spessissimo, perché ha avuto e continua ad avere un peso enorme. Solo per fare un esempio, il fatto di partecipare alle lezioni in gruppi mai troppo numerosi ci dava la possibilità di essere seguiti dai professori e di ottenere una preparazione in laboratorio certamente approfondita e completa.
Ma, in generale, da quando faccio ricerca all’estero ho capito che la formazione italiana è imbattibile. Non abbiamo l’abitudine dei test a crocette, il nostro sistema universitario prevede esami orali che ci consentono di registrare un numero sconfinato di informazioni, di conseguenza sappiamo tenere un discorso più o meno lungo, accompagnato da una presentazione PowerPoint.

 

E poi noi italiani siamo maestri nell’arte dell’arrangiarci in ogni ambito, anche in quello della ricerca. Se durante un esperimento si presenta un problema preferiamo riflettere cinque minuti in più per arrivare al risultato migliore spendendo meno possibile. Questo ovviamente perché ci siamo “allenati” a lavorare in economia nel nostro Paese, dove i fondi della ricerca non abbondano.
Tornando alla formazione urbinate, è stata fondamentale sì, anche perché non si basava sul rapporto formale e distaccato studente-professore, ma sul senso del gruppo che diventava quasi famiglia; insomma frequentare le lezioni era veramente come andare a casa ogni volta.

Il coraggio di scegliere la propria strada, in cinque righe.

Cinque non bastano! Il coraggio di scegliere la mia strada lo devo a me stessa e ai miei, ed è una forza che ha una contropartita importante: la lontananza da loro, dai miei affetti più cari. Pesa tantissimo salutare la mia famiglia prima di ogni partenza. Non puoi immaginare… Guardo mio padre e mia madre che mi spronano ad andare e mi dicono “vai i tuoi successi sono la nostra soddisfazione…”
Per questo dico che il mio impegno nella formazione e nel lavoro di ricerca è sì ambizione e voglia di realizzare i miei sogni, ma è anche riconoscenza, è il mio modo di dire grazie a loro e a mia sorella… perché se posso scegliere il mio posto nel mondo è anche grazie a lei che è rimasta vicino ai miei genitori e che, nell’emergenza, se io non faccio in tempo… arriva sempre.

Sei un cervello in fuga, Laura?

Non mi sento un cervello in fuga, in realtà non sento di essere un “cervello”, sono una persona che sceglie di fare ricerca all’estero. Per continuare a crescere.
Se ripenso a quando sono arrivata negli Stati Uniti, catapultata in una cultura totalmente diversa dalla mia senza paracadute, senza neanche conoscere l’inglese, mi rivedo mentre apro il conto in banca leggendo i suggerimenti del libretto “Parlo americano”! Da allora ho imparato a vivere la vita con un’energia diversa e ho acquisito nuove competenze.
Per cui, certo, ho intenzione di tornare in Italia un giorno, ma prima voglio raggiungere, in un altro posto del mondo, lo step successivo della mia formazione e della carriera e applicare la mia ricerca in ambito medico e clinico, perché ho bisogno di verificare sul campo che quello che studio abbia un’utilità reale e aiuti concretamente la vita delle persone.

Il dottorato sta per concludersi e sono sicura tu abbia un nuovo progetto nel cassetto… Dove? Quando?

Eh, sì! La prossima è la scelta più matura e consapevole, perché so esattamente cosa voglio fare nei prossimi anni e dove lo voglio fare, ma per scaramanzia ti anticipo solo che sarà dall’altra parte del mondo!

Immagina di realizzare il tuo più autentico desiderio di vita…

Non mi immagino a fare niente che non sia lavorare in laboratorio, quindi il sogno è un gruppo di ricerca tutto mio.
Banalmente, vorrei fare quello che mi piace, in un posto che mi piace, con le persone che mi piacciono. Ho la fortuna di avere un’amica, Francesca Carrieri, che ha le mie stesse ambizioni e fa il mio stesso lavoro e che, ormai, è la mia seconda famiglia, la mia seconda sorella.
Con lei, da dodici anni, condivido ogni scelta. Viviamo insieme, ci siamo laureate per tre volte nelle stesse sessioni, abbiamo lavorato nello stesso laboratorio di Baltimora, entrambe siamo state selezionate per il PhD al Dundee in Scozia, e finché ce ne sarà la possibilità ogni salto nel buio lo faremo insieme. Probabilmente il fatto di avere l’altra inclusa nel pacchetto sarà un problema per i rispettivi fidanzati, quando arriveranno!

Ancora insieme anche “dall’altra parte del mondo”?

Ovviamente… ci stiamo lavorando!

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