Venerdì 29 novembre 2024, l’Oratorio di San Giovanni di Urbino ospiterà l’inaugurazione della mostra Matilde Festa Piacentini – Opere da una collezione privata. Studi e diagnostica, curata da Francesca Bottacin, Laura Baratin e Veronica Tronconi dell’Università di Urbino. In questo luogo d’eccezione saranno esposte, fino al 13 dicembre 2024, 14 opere autografe della pittrice, decoratrice e mosaicista italiana in piena attività nella prima metà del Novecento. A lungo studiate nei laboratori della Scuola di Conservazione e Restauro dei Beni Culturali, le tele provengono da una collezione privata.
“Questa mostra – spiega Laura Baratin, Presidente della Scuola di Conservazione e Restauro dei Beni Culturali – è il risultato di un grande lavoro multidisciplinare, che lega la parte storico-artistica alla conservazione, al restauro e alla documentazione digitale, e popola il primo volume della Collana Didattica e Ricerca Quaderni della Scuola di Conservazione e Restauro dedicato alla ricerca. A Urbino saranno esposte le opere dell’artista, mentre le copie digitali e tutti i contenuti multimediali, grazie a tecnologie di ultima generazione, voleranno in Egitto. Al Cairo, con la collaborazione dell’Istituto Italiano di Cultura, faranno parte del festival artistico e culturale internazionale She Arts Festival che vede protagoniste le donne, in una gamma diversificata di creazioni artistiche. Questa importante occasione ci permetterà, quindi, di far conoscere anche a livello internazionale la Scuola di Conservazione e Restauro e di rivalutare la figura di Matilde Festa Piacentini”.
L’ingresso alla mostra, che si correda di un apparato digitale realizzato dallo Studio Quantique di Urbino, è gratuito e permette di ottenere crediti etici WOM tramite un QR code, posto a margine del percorso espositivo, e attraverso l’app WOMPocket.
Approfondiamo l’argomento nell’intervista che segue con Francesca Bottacin, docente di Storia dell’arte moderna, e Maria Benedetta Fazi, restauratrice e docente del Laboratorio dipinti su tela.
Professoressa Bottacin, ha dato voce a un’artista dimenticata: una circostanza che dimostra come la storia dell’arte sia un racconto in divenire. Perché ha voluto scrivere questa porzione di realtà passata che ancora mancava?
Mi occupo da molto tempo di storie di donne: è un argomento che mi è sempre stato a cuore. Ho cominciato negli anni ’90 con la mia mentore Caterina Limentani Virdis, che ha scritto la prima antologia di donne pittrici in Veneto. Del resto, condivido con Dacia Maraini l’idea per la quale non è che non siano mai esistite donne artiste, è che poi «nella valorizzazione della memoria scompaiono».
Per fortuna, negli ultimi trent’anni sono molte le figure di rilievo che si sono scoperte e Matilde è una di queste. E tutto il lavoro di ricerca su di lei è stato uno dei momenti più entusiasmanti della mia carriera di storica dell’arte. Perché, come mi ha detto il nipote: «Matilde mi ha fatto da madre per un decennio e vedere che finalmente i suoi meriti artistici sono riconosciuti è un grandissimo piacere». Ecco, restituire dignità a una persona a cui l’avevano tolta è stato per me un momento molto significativo.
Il suo lavoro di ricerca è confluito nel volume che ha vinto il XXIV Premio di Scrittura femminile Il Paese delle donne 2023. Per quali caratteristiche la figura di Matilde Festa Piacentini è rilevante oggi, e quale messaggio porta la sua vita ritrovata?
Il messaggio che Matilde Festa Piacentini porta è, in senso lato, un messaggio femminista. Fa capire come le donne abbiano subìto trattamenti fortemente misogini e di cancellazione dalla memoria. Matilde nasce a Roma nel 1890, ma si trasferisce subito al Cairo dove vivono due suoi zii, pittori orientalisti che fondano, lavorano e dirigono l’Accademia di Belle Arti del Cairo. Viene ammessa all’Accademia di Napoli – teniamo conto che al tempo l’Accademia era l’unica istituzione in grado di dare professionalità alle donne – dove studia diplomandosi in pittura.
Vince svariati premi, si trasferisce a Roma partecipando con successo alla Seconda Esposizione Internazionale della Secessione e qui conosce il noto architetto Marcello Piacentini, che sposa nel 1914. Per cui ha una partenza professionale di grande respiro che poi, con Piacentini, pur disponendosi a un’ampia apertura internazionale si depotenzia. Matilde si trova infatti a incarnare il ruolo cui erano relegate le donne nell’arte, perlomeno, fino a metà del secolo scorso: da una famiglia di artisti passa a un matrimonio “d’arte” che certamente le offre straordinarie opportunità, ma che comincia anche a inghiottirla piano piano. Tra l’altro, durante l’epurazione lei viene fortemente attaccata, tant’è che dopo la fine della guerra smette di dipingere, mentre il marito continua a essere un uomo di successo.
Quindi, come artista si caratterizza per tratti che definirei romantici, intimistici: riesce molto a catturare i silenzi e il fascino dei paesaggi, soprattutto egiziani. Per quanto riguarda il messaggio, Matilde porta una storia sulla quale è bene riflettere visto che ancora oggi si negano meccanismi di patriarcato che, in realtà, seppure in misura minore, sono vivi e che dobbiamo senz’altro continuare a contrastare.
Professoressa Fazi, in quale anno i dipinti sono arrivati nei laboratori del nostro Ateneo e che tipo di intervento la Scuola ha privilegiato ed eseguito sulle tele?
I quattordici dipinti di Matilde Festa sono giunti nel laboratorio di restauro del corso di Conservazione di Uniurb nel 2014, provenienti da una collezione privata a cui sono pervenuti negli anni Settanta del ‘900. Nell’ambito delle convenzioni che il nostro corso stipula con privati ed enti pubblici, il corpus dei dipinti è stato inserito nel programma didattico, il che significa che dal 2014 al 2017 in ogni modulo di laboratorio le allieve e gli allievi hanno lavorato sulle opere, guidati dal docente di turno.
Il primo approccio, come sempre, è consistito nella valutazione dello stato di conservazione che è subito apparso discreto: non venivano segnalate evidenti problematiche riferite a processi di degrado, e alcune opere erano interessate solamente da depositi superficiali incoerenti. Tutte le opere sono state sottoposte a spolveratura e, nel tempo, quelle che presentavano un valore di tensionamento insufficiente sono state sottoposte a foderatura parziale dei bordi. In alcuni casi sono stati effettuati risarcimenti di lacune del supporto tessile e di cadute di preparazione e pellicola pittorica. Anche le cornici sono state sottoposte a interventi di fissaggio delle scaglie sollevate e integrazione cromatica.
La ricerca ha restituito informazioni sulle tecniche esecutive adottate da Matilde Festa Piacentini?
Sì, l’occasione del restauro ha reso possibile indagini diagnostiche non invasive e microinvasive finalizzate soprattutto, trattandosi di un’artista mai studiata, all’individuazione della tecnica esecutiva. L’assenza di trattamenti protettivi finali, la scelta di preparazioni industriali ad alto contenuto di zinco su tele anch’esse di produzione industriale, l’assenza del disegno preparatorio e l’ampio uso di pigmenti di matrice industriale, ancora associati alla presenza dell’olio come legante, hanno delineato un approccio procedurale consolidato e pienamente coerente con i tempi, testimoniando dunque l’aderenza di Matilde Festa al contesto storico.