Martedì 14 maggio, nell’Aula Magna di Palazzo Battiferri, Fabio De Luigi ha incontrato le studentesse e gli studenti dell’Università di Urbino. A dare il via all’evento Il comico è un lavoro serio? La mia esperienza è stato il Rettore Giorgio Calcagnini. “Siamo felici di aprirci anche a esperienze e riflessioni apparentemente lontane dal mondo accademico, come quelle che vedono protagonisti De Luigi oggi e Fiorello nei prossimi giorni – ha spiegato il Magnifico – perché l’apprendimento e la curiosità non hanno perimetri”. Subito dopo, l’attore ha raccontato le tappe fondamentali della sua lunga carriera in un serrato dialogo con Igor Pellicciari, docente di Storia delle Istituzioni Politiche dell’Università di Urbino. Erano tantissimi i giovani di Uniurb presenti in aula: li vedremo tutti nelle immagini che accompagnano l’intervista a Fabio De Luigi, realizzata all’arrivo dell’artista in Rettorato.
Il tuo stalker preferito – il Professor Igor Pellicciari – ti ha portato in Ateneo. Contento di incontrare i ragazzi di Uniurb?
Il mio stalker mi ha portato qui oggi, quindi il primo motivo di felicità è che smetterà di stalkerarmi. Seriamente, sono felice di incontrare i ragazzi perché è un momento di arricchimento. È piacevole confrontarsi con le nuove generazioni, e sono anche vagamente preoccupato di quello che potrò dire. Spero di essere all’altezza o di essere utile, dicendo qualcosa di significativo che serva al loro percorso di studenti.
50 km all’ora, di cui sei regista, sceneggiatore e attore, è un film d’amore, di morte e motorini. Quanto è stato importante per te mantenere vivo l’adolescente che eri: quello che puliva la candela del Ciao, che respirava felice l’odore del Castrol. In sostanza, quanto è importante quella memoria per diventare ciò che davvero si vuole essere?
Per me è fondamentale tenere vivo il famoso fanciullino. È una dimensione che conservo molto viva dentro di me quella del bambino, dell’adolescente. Bisogna conservarla e superarla, cioè non dimenticarsi di esserlo stato più che esserlo, altrimenti si rischia di rimanere ancorati a una visione della vita che necessariamente invece cambia, crescendo. Però quel tipo di sguardo, quel tipo di entusiasmo, quel tipo di sogno, è importante tenerli vivi e farci anche i conti io aggiungo. Nel senso che è bello, ogni tanto, rivolgersi da adulti ai “sé stessi” bambini, o ragazzini, per vedere se quello che pensavamo sarebbe stato giusto diventassimo ci soddisfa da adulti.
C’è stato un momento in cui hai avuto la percezione esatta di saper far ridere?
Ho capito di far ridere molto presto. Un po’ perché mi piaceva e un po’ perché gli altri, effettivamente, ridevano. Parliamo di una cosa che è nata molto presto: i primi ricordi risalgono addirittura ai tempi dell’asilo. È stata una fortuna che mi è capitata.
La Gialappa’s è il Big Bang del tuo successo?
La Gialappa’s fu uno dei punti di svolta della mia – ahimè – lunga vita artistica e non. Ho cominciato molto prima, tanti anni fa, facendo piccoli spettacoli, scrivendo e interpretando ruoli comici.
Hai nostalgia delle tue maschere strampalate e divertentissime?
Ho nostalgia più che delle maschere, del periodo in cui facevo quelle maschere perché è stato molto divertente per me, per i Gialappa’s, per tutti quelli che facevano parte del gruppo. Eravamo più giovani e lo rimpiango anche da quel punto di vista, ma è qualcosa che non vorrei riaffrontare. Fare personaggi che interpretavo vent’anni fa sarebbe sbagliato adesso, secondo me, però mi mancano.
Il tuo successo è straordinario, eppure continui a essere affetto – per tua stessa ammissione – dalla sindrome dell’impostore…
La sindrome dell’impostore non so se colpisca tutti noi che facciamo questo lavoro, ma sicuramente colpisce me. Il punto è che devi, comunque, sempre accettare la fortuna di poter fare una cosa che ti piace tanto. Poi, se pensi quanto ti è costato riuscire a ottenere questa cosa, allora la sindrome dell’impostore ti passa. Però te lo devi ripetere, devi cercare – ogni tanto – di mettere a fuoco quello che hai fatto per arrivare dove sei arrivato. Far ridere – ho detto prima – credo sia una specie fortuna che capita, non la impari più di tanto però la puoi coltivare, migliorare. Il mestiere, in tutte le sue sfumature, va assolutamente curato. Bisogna lavorare tanto.
Fabio, per noi sei definitivamente Amazing, ma tu un premio sei riuscito ad assegnartelo?
Non sono riuscito ad assegnarmi il premio… no, non ancora. Però, come ti dicevo, ogni tanto faccio una cosa che è un po’ contraria alla mia natura: valuto, cioè, da dove sono partito e dove sono arrivato e, magari, adesso che sono più grande un “bravo” me lo dico… di nascosto però.