Martedì 14 marzo l’Università di Urbino ha ospitato sul palco del Teatro Sanzio il concerto per pianoforte e mandolino dei Maestri Bruno Canino e Giovanni Scaramuzzino. A margine dello spettacolo abbiamo avuto il privilegio di intervistare un artista che ha attraversato per quasi un secolo la storia della musica, collaborando con i maggiori strumentisti e direttori d’orchestra contemporanei. Il Maestro Bruno Canino.

 

Maestro, qual è il punto di origine del suo amore per la musica e della sua educazione musicale?

La mia iniziazione musicale è abbastanza particolare. Come lei sa io sono molto vecchio, ho vissuto e ricordo benissimo la guerra. Nel ‘43 l’arrivo degli americani a Napoli che un po’ gestirono anche il nostro grande teatro San Carlo. Per cui c’erano militari che facevano le comparse, schiavi etiopi erano dei biondissimi yankee e anche direttori d’orchestra, e mi portarono bambino a vedere Butterfly. Ecco, piansi disperatamente e quello fu il batterio che mi causò l’amore per la musica.

 

Papà era ingegnere, pianista dilettante; in casa c’era un pianoforte verticale molto antico e degli spartiti d’opera. Mio padre mi insegnò a leggere la musica e io, non andando a scuola e mettendo male le dita, imparai a leggere questi spartiti. Tutto il giorno ero in comunione con Chōchō-san, Violetta, Mimì, piangendo disperatamente. I miei genitori incoraggiarono questa mia passione e cercarono di contattare un giovane maestro che diventò poi, forse, il più famoso, capace insegnante di pianoforte italiano, il Maestro [Vincenzo n.d.r.] Vitali.

Parliamo di una passione che ha attraversato musica classica e avanguardia: è interessante l’ampiezza del suo sguardo libero.

Non sono pervenuto alla musica moderna dalla musica classica, romantica, ma sono pervenuto alla musica classica e romantica da camera arrivando dal grande repertorio del ‘900, e anche dalle esperienze più radicali. Al conservatorio di Milano c’erano tanti amici, talenti magnifici: Luciano Berio, Niccolò Castiglioni, Giacomo Manzoni che anche erano grimaldelli per conoscere quello che era avvenuto nella prima metà del passato secolo. Io sono partito da quello e penso, e spero, che una certa ideologia piuttosto radicale abbia potuto anche svecchiare certi modi di suonare del grande repertorio romantico. Come pure la consuetudine con la musica da camera forse ha potuto addolcire certa radicalità di un’avanguardia che adesso, purtroppo, non esiste più.

Ha collaborato con strumentisti del calibro di Salvatore Accardo e Uto Ughi, diretto da Claudio Abbado e Riccardo Muti. Come descrive la connessione che si realizza tra le diverse individualità in concerto?

Prevalentemente sono un pianista da camera, però ho suonato anche con grandi direttori: Abbado, Muti, Sawallisch, Boulez… e penso che il solista – sia da solo in recital, sia con orchestra – e il musicista da camera siano due lavori completamente diversi che richiedono un training, un’alimentazione, uno studio, una preparazione diversi, anche emozionalmente. Quando uno è solo è solo come un cane e, invece, quando suona con degli amici è in una bellissima situazione.

 

Sia Accardo che Ughi io li ho conosciuti che avevano i pantaloni corti e questo è un rapporto continuo – la settimana prossima devo suonare con Uto – quindi ci si conosce molto bene e il mio dovere è dare maggior valore possibile al talento, all’ideologia e anche allo stile di questi musicisti, non contraddirli.

 

In certi casi, quasi tutti, era importante stabilire un rapporto di amicizia. Io ho suonato, anche spesso, con un magnifico americano: Lynn Harrell, che purtroppo non c’è più da un paio d’anni, e noi facevamo dei viaggi magnifici. Sceglievamo di viaggiare in treno perché così potevamo giocare a scacchi, ed era un rapporto magnifico. Quindi la mia dichiarazione è: molto meglio suonare con un musicista professionista che ha un sano rapporto con la musica e che, magari, non è una cima ma una persona amabile, invece che con una stella odiosa, o prepotente.

In scena quanto spazio concede all’interpretazione, a un suo personalissimo modo di sentire e restituire la lezione degli autori?

Si può litigare molto su questa cosa. Io penso che l’interpretazione per alcuni è mostrare sé stessi, per altri è invece aiutare, essere un tramite tra i grandissimi, i grandi e i medio-piccoli che hanno scritto musica e chi la deve ascoltare. Quindi mi considero una specie di burocrate addetto alla trasmissione della musica.

Scrive musica?

Ho scritto musica, parecchia musica e ancora adesso viaggio all’antica: con la carta pentagrammata. Sono diplomato in composizione, il Direttore del conservatorio Giorgio Federico Ghedini mi stimava molto, ho avuto buoni maestri come Bruno Pettinelli il cui grande cruccio era che io non facessi full time il compositore.

 

Ma l’ho fatto, ho scritto pezzi che sono stati eseguiti alla Biennale di Venezia, pezzi sinfonici, quindi ho sempre scritto, ma è sempre stato una specie di hobby, nel senso che uno che vuole fare il compositore sul serio deve per tre, quattro, sei mesi lavorare tutte le mattine o tutti i pomeriggi perché mettere sulla carta un’opera richiede molto tempo e di questo non ho mai disposto abbastanza.

 

Continuo a scrivere: qualche mese fa è stato eseguito un mio pezzo a Tokyo richiestomi da un pianista giapponese. È un bisogno mio, non rinnego quello che scrivo, ma non vorrei imporlo ad altri. Adesso scrivo prevalentemente musica da camera e non vorrei che i miei amici con i quali suono fossero – poveretti – costretti o si sentissero obbligati a suonare la mia musica.

È possibile fare divulgazione musicale in Italia e avvicinare la musica classica alle nuove generazioni?

Adesso credo che non si dica più musica classica, si dice musica d’arte e questa musica non pretende più di essere su un piedistallo più alto della musica di consumo. Una delle risposte – molto banale condivisa da tutti, però in un modo che, ahimè, non porta svolte – è che il potenziamento, la diffusione e l’insegnamento della musica nelle scuole non musicali è assolutamente fondamentale.

 

Ci sono dei martiri, splendidi insegnanti nelle scuole elementari e nelle scuole medie a indirizzo musicale, però il loro sacrificio non è valutato ancora abbastanza dalle istituzioni. Certamente se un buon insegnante in una di queste scuole avrà avuto, diciamo, 100 allievi e se di questi anche un 5% vorrà conoscere la musica e amarla sarà un buon risultato, ma questo non avviene ed è un peccato.

Quale partitura musicale potrebbe raccontare la sua vita?

Mozart, Bach, ma anche Stravinskij… ci sono elementi di una ricchezza tale che insegnano che non bisogna fare degli steccati, anche stilistici e anche tra epoche e tra i vari livelli di diffusione della musica; che insegnano, quindi, a non avere delle preclusioni e anche, però, a non accettare tutto a scatola chiusa, insomma a fare una scelta.

 

Sono stato fortunato nella vita. Posso dirmi fortunato di aver conosciuto mia moglie, di aver avuto dei grandi amici e la fortuna principale di fare un mestiere che mi piace. Un mestiere che, però, rischia di diventare un po’ troppo esclusivo: fare soltanto il musicista forse non lascia spazio per altre attività, ma, del resto, ognuno ha uno specialismo e la fortuna di fare qualcosa che ama.

 

 

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