Dal 2019, insieme all’Università della Tuscia, all’Università della Campania e all’Università di Bonn, l’Ateneo di Urbino partecipa al progetto di ricerca internazionale e interdisciplinare sulla necropoli di Monte Abatone a Cerveteri. Un sito che per ampiezza e rilevanza è assimilabile al complesso monumentale della Banditaccia, già Patrimonio UNESCO dal 2004, e che rappresenta una testimonianza eccezionale della civiltà etrusca.
Ne parliamo con la Professoressa Alessandra Coen, docente di Etruscologia e Antichità Italiche, che coordina il progetto per l’Università di Urbino.
Su RaiPlay il servizio sulla campagna di scavo di Unomattina.
Professoressa Coen, quando è stata avviata l’indagine e da quali gruppi di ricerca?
Abbiamo avviato la ricerca sulla necropoli di Monte Abatone ormai da tanti anni. L’indagine – che coinvolgeva originariamente solo l’Università della Tuscia, e poi anche l’Università della Campania, presso la quale io lavoravo – si è concentrata sullo studio dei molti materiali rinvenuti nelle oltre seicento tombe individuate, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, grazie alle indagini geofisiche condotte dalla Fondazione Lerici di Milano in collaborazione con l’allora Soprintendenza per l’Etruria meridionale.
Nel 2018 il gruppo di ricerca si è allargato coinvolgendo anche l’Università di Bonn, con la partecipazione del Professor Martin Benz, e da quel momento, insieme a Fernando Gilotta dell’Università della Campania e Marina Micozzi dell’Università della Tuscia, abbiamo avviato anche la campagna di scavo. Dalla fine del 2019, con il mio trasferimento di sede, anche l’Università di Urbino è entrata nel progetto.
Quali sono gli obiettivi della campagna di scavo?
Monte Abatone, pur essendo una delle maggiori necropoli urbane di Cerveteri, è ancora quasi del tutto sconosciuta per cui l’obiettivo principale della ricerca è non solo conoscere e far conoscere questa necropoli, ma dimostrare anche che per estensione e importanza può essere paragonabile a quella più nota della Banditaccia.
Le finalità dello studio sono, quindi, molteplici e riguardano sicuramente la necessità di definire l’organizzazione topografica del sito, di dare seguito allo scavo, di fornire la documentazione delle architetture funerarie e studiare i materiali rinvenuti. Non dimentichiamo che si tratta di una necropoli di Cerveteri: città tra le più importanti dell’Etruria meridionale, pertanto studiare gli oggetti provenienti dai contesti tombali serve a comprendere, ad esempio, anche la dimensione internazionale dell’Etruria e delle sue realtà cittadine.
Ma lo scavo ha anche lo scopo di indagare la zona più prossima al Tumulo Campana – un monumento funerario della metà del VII secolo a.C., scavato a più riprese fin dalla metà dell’Ottocento – e di renderla fruibile al pubblico, visto che proprio questa porzione della necropoli di Monte Abatone è al momento l’unica a presentare strutture emergenti, che potrebbero dunque essere rese visitabili. Purtroppo, per esigenze conservative e di sicurezza, le altre aree indagate nelle campagne 2018, 2019 e 2021 si sono dovute ricoprire.
Le chiedo una panoramica dei principali risultati emersi.
La nuova campagna di scavo ha già modificato profondamente la configurazione del sito e ha reso possibile, in un’area del settore ovest della necropoli, la ricostruzione di un piccolo settore funerario con esempi di tutte le tipologie tombali in uso a Cerveteri tra la fine dell’VIII e il VI secolo a.C. e materiali provenienti da tutte le zone del Mediterraneo.
Lo scavo, come ho detto, è stato esteso fino alla zona intorno al Tumulo Campana, il solo in grado di competere in dimensioni con i grandi tumuli della Banditaccia, la cui monumentale rampa di accesso è stata per la prima volta portata in superficie e analizzata.
Si è studiata, inoltre, la prima linea delle tombe che a est fiancheggia il Tumulo le cui suggestioni spettacolari, ai margini della rupe, è possibile apprezzare dalla città antica.
Con nostra grande soddisfazione, l’area archeologica è stata aperta al grande pubblico nelle Giornate Europee del Patrimonio organizzate dalla SABAP per l’Etruria meridionale e la Provincia di Viterbo e dal Comune di Cerveteri, e anche in occasione del Festival della Scienza 2021.
Non poche sono le pubblicazioni scientifiche già edite dal gruppo di ricerca, relative sia allo studio dei materiali, sia alle attività di scavo. Più in generale, nel giro di qualche anno contiamo di pubblicare il primo grosso nucleo di dati sulla necropoli.
Importante è anche la ricaduta didattica del progetto, è esatto?
Certamente. La ricerca si svolge con il supporto degli studenti di ciascun Ateneo. Questo significa che per un periodo di tempo ragazze e ragazzi tedeschi e italiani hanno la possibilità di studiare e imparare sul campo, in un contesto che è nazionale e internazionale insieme. Collaborano, socializzano, partecipano, condividono e vivono un’esperienza di grande crescita umana e culturale.
Credo molto nella valenza didattica di questo approccio alla conoscenza che è anche professionalizzante, non solo per l’attestato che il team di ricerca rilascia, ma soprattutto per l’approfondimento continuo degli argomenti e delle metodologie di lavoro che garantisce. Partecipando, gli studenti hanno di fatto la possibilità di trovare, vedere e toccare gli oggetti e i materiali non in aula ma in un cantiere di scavo, organizzato scientificamente, e hanno anche l’opportunità di confrontarsi in tempo reale con il docente per ricostruire la storia del reperto e, insieme, del suo contesto.
Immagino che la campagna di scavo si sia avvalsa di tecniche e metodologie di ricerca innovative.
Lo scavo si è avvalso della collaborazione dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR di Roma che ha effettuato una serie di indagini di tipo geofisico e geomagnetico con strumentazioni, ovviamente, molto più evolute rispetto a quelle utilizzate negli anni ‘50 e ‘60 che permettono di leggere il sottosuolo a più livelli di profondità. Nell’area di vastissime dimensioni della necropoli i georadar ci hanno consentito, ad esempio, di indirizzare e concentrare l’attività di scavo in zone specifiche di interesse, evitando sprechi di tempo e risorse. Grazie a queste tecnologie abbiamo, inoltre, avuto la possibilità di ricostruire la mappatura generale della necropoli e di convertire i dati acquisiti in modelli tridimensionali.
Si tratta, quindi, di un progetto scientifico interdisciplinare.
Sì, certo. Noi componenti del team siamo tutti etruscologi, ma ci avvaliamo della collaborazione di colleghi universitari di altre aree disciplinari: penso ai restauratori, ad esempio, o agli informatici, fondamentali per la gestione informatizzata dei dati archeologici attraverso i software GIS.
È possibile prevedere una nuova stagione di indagine?
È prevista una campagna di scavo anche il prossimo anno, quindi sicuramente il ciclo avviato nel 2018 proseguirà nel 2022. Dopodiché ragioneremo sulla possibilità di fermarci, per la pubblicazione dei dati, o di continuare con una campagna successiva. Per cui, invito le ragazze e i ragazzi del nostro Ateneo a contattarmi e a partecipare. L’esperienza è aperta a tutti, non solo ai futuri archeologi, perché studiare l’antichità, studiare il nostro passato e conoscere le nostre radici culturali per capire il nostro presente credo sia fondamentale per ognuno di noi. Sarò felice di partire per il prossimo scavo con un bel gruppo urbinate!