L’Università di Urbino partecipa alla missione Solar Orbiter, un progetto scientifico dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, in collaborazione con NASA, Università e Istituti di ricerca italiani e internazionali. L’obiettivo della ricerca è l’esplorazione del sole a distanza ravvicinata e attraverso tecnologie spaziali senza precedenti.
Ne parliamo con Catia Grimani, docente di Fisica sperimentale dell’Università di Urbino, co-investigator del team scientifico Solar Orbiter-Metis e coordinatrice del gruppo di ricerca dell’Università di Urbino.

 

 

Catia Grimani, co-investigator Solar Orbiter-Metis

Professoressa Grimani, Solar Orbiter è una missione che non ha precedenti. In che modo studierà l’attività solare?

Solar Orbiter è un satellite, un osservatorio spaziale che ha a bordo dieci strumenti scientifici grazie ai quali studierà il sole come mai era stato fatto fino ad oggi. Si avvicinerà moltissimo alla nostra stella, raggiungendo una distanza di soli 42 milioni di chilometri, e potrà resistere a condizioni ambientali estreme perché protetto da uno scudo termico che resiste a temperature di 500 gradi centigradi.

 

Alcuni dei dispositivi che ospita faranno osservazioni in situ, cioè indagheranno l’area intorno al satellite, e altri faranno osservazione in remote sensing: telerilevamento a maggiore distanza dal sole.

 

Il fatto importante è che quando il satellite entrerà nell’orbita prevista non girerà sul piano della terra, ma si alzerà sull’eclittica e, per la prima volta, osserverà il polo nord e il polo sud del sole e porterà informazioni nuove che riguardano sia la corona solare, sia l’accelerazione delle particelle energetiche del sole anche a grandi latitudini.

 

Il viaggio del satellite Solar Orbiter intorno al sole. Immagine ESA-S.Poletti.


 

Qual è il ruolo dell’Università di Urbino nella collaborazione internazionale?

L’Università di Urbino, attraverso il gruppo di ricerca che coordino, partecipa alle indagini che riguardano il coronografo Metis.
Metis è uno strumento che fotografa la corona del sole, cioè lo strato più esterno dell’atmosfera solare. Ed è il primo coronografo al mondo in grado di produrre contemporaneamente le immagini della corona solare sia in luce visibile, sia in luce ultravioletta. Con un livello di risoluzione e di dettaglio mai raggiunto in precedenza.

 

Questo dispositivo è stato realizzato dall’Agenzia spaziale italiana (ASI) in collaborazione con l’Istituto nazionale di astrofisica (INAF), con il Cnr e con Università e Istituti di ricerca nazionali e internazionali.

Qual è l’obiettivo della ricerca sviluppata dal gruppo Uniurb?

In generale, l’obiettivo delle nostre ricerche è quello di valutare gli effetti delle particelle di alta energia sul funzionamento e sull’efficienza degli strumenti a bordo di missioni spaziali. Nel caso di Solar Orbiter questa valutazione la facciamo per Metis.
Abbiamo detto che Metis è dotato di fotocamere e produce immagini. Ora, queste fotocamere hanno alla base del loro funzionamento alcuni rivelatori in silicio, quindi occorre capire in che modo le particelle di alta energia possano alterare le immagini.

 

In sostanza, i raggi cosmici passando attraverso questi rivelatori generano segnali spuri e l’immagine, di conseguenza, potrebbe presentare una serie di spot non voluti. Ecco, la nostra consulenza consiste in una valutazione predittiva, che consenta di prevedere il numero degli spot, gli effetti che questi producono e le modalità per rimuoverli. Ma non è la sola indagine realizzata dal nostro gruppo finora.

Questo significa che la ricerca procede per step successivi?

Certamente. Qualche tempo fa abbiamo sviluppato, ad esempio, uno studio per Metis che aveva l’obiettivo di valutare la possibilità che i raggi cosmici e le particelle solari di alta energia scurissero le lenti del polarimetro – ossia la parte del dispositivo che studia la luce polarizzata emessa dalla corona solare – e alterassero le funzioni dello strumento.

 

Ed è emerso che non prevediamo questo problema. Anche perché la sonda è partita nel corso di un “minimo solare” e, quindi, per i primi anni di missione ci aspettiamo pochissimi eventi importanti di particelle energetiche dal sole.

 

Gli strumenti scientifici a bordo del satellite Solar Orbiter. Immagine ESA-S.Poletti.


 

Cos’è un minimo solare?

È un intervallo di tempo in cui l’attività del sole è notevolmente ridotta. Il sole presenta periodi di maggiore e minore attività che si avvicendano ciclicamente, ogni undici anni circa. Durante quello che si chiama “massimo solare” l’attività del sole è alta e si verificano frequenti emissioni di massa coronale che accelerano le particelle di origine solare e creano le tempeste magnetiche, ad esempio.

 

Nel minimo solare si verificano, invece, pochissimi eventi solari – sebbene a volte di grande intensità – ma viene osservato un alto flusso di raggi cosmici di origine galattica. Per cui attraversando, Solar Orbiter, un minimo solare al momento del lancio e nei primi anni della missione, ci siamo preoccupati di valutare, essenzialmente, le dosi e gli effetti dei raggi cosmici di origine galattica e abbiamo stimato che non vi saranno danneggiamenti per il polarimetro di Metis.

Un alto flusso di raggi cosmici potrebbe, tuttavia, compromettere la qualità delle immagini delle fotocamere in luce visibile e in luce ultravioletta.

Esatto. Ed è quello che stiamo valutando adesso, attraverso una simulazione dettagliata delle fotocamere e dei flussi di raggi cosmici che le attraversano.

Più nel dettaglio, l’indagine si svolge attraverso la creazione di modelli matematici?

Certamente. Io mi sono occupata di fornire una previsione dei flussi di raggi cosmici, ho fatto una stima che ho tradotto in numeri.
Michele Fabi, il tecnico-informatico del gruppo, attraverso un software 3D, ha prodotto una rappresentazione digitale altamente dettagliata dello strumento coinvolto nel nostro studio.

 

Per cui, simulando all’interno del dispositivo virtuale il passaggio di particelle di alta energia nel valore stimato, ha poi studiato il comportamento del sistema ed estratto una serie di dati generati dall’algoritmo di calcolo che io ho, successivamente, interpretato.

Quando sarà possibile verificare il grado di esattezza della previsione?

A sei mesi dal lancio saranno disponibili i primi dati registrati da Metis e potremo capire se la predizione trova corrispondenza nel dato effettivo.

Animazione ESA/ATG medialab


 

Perché è importante studiare il sole attraverso le missioni spaziali e quali sono le ricadute previste da Solar Orbiter?

È importante perché il sole impatta sul nostro pianeta, sulle nostre tecnologie e sulle nostre vite e studiarlo può consentirci di controllare e ridurre i suoi effetti di disturbo.

 

Attualmente, Solar Orbiter affianca la missione complementare Parker Solar Probe della NASA, lanciata nel 2018. L’obiettivo di entrambe le missioni è capire come nasce il campo magnetico del sole e quali sono i meccanismi che regolano l’eliosfera, cioè quell’immensa regione di spazio attraversata da particelle cariche in cui la Terra e gli altri pianeti del Sistema solare sono immersi.

 

Ecco, conoscere il sole ci aiuterà a capire in che modo le sue attività – come le tempeste geomagnetiche e i cicli solari, ad esempio – influenzano e alterano la qualità delle nostre comunicazioni radio e satellitari, provocano black out elettrici e condizionano i cambiamenti climatici del nostro pianeta.

Le due missioni forniranno, quindi, dati che si completeranno e integreranno vicendevolmente?

Esatto. Parker Solar Probe arriverà nei prossimi anni a una distanza – mai raggiunta dai satelliti finora – di 6,2 milioni di chilometri dal sole, ma, ad esempio, non ha fotocamere a bordo perché non esistono, oggi, tecnologie in grado di riprodurre immagini dirette da un punto dello spazio così vicino alla nostra stella, senza bruciare e disintegrarsi.

 

Inoltre, mentre Parker Solar Probe girerà intorno al sole sul piano dell’eclittica, Solar Orbiter si solleverà – come ho detto – rispetto a questo piano ed esplorerà direttamente, per la prima volta, le regioni polari della stella.

 

Quindi, i dati delle due missioni si integreranno per sviluppare modelli in grado di predire le attività solari, e limitare gli effetti sulla Terra di tutti i processi studiati dalla nuova branca della fisica nota come “space weather” che si occupa degli eventi meteorologici spaziali.

 

I satelliti Solar Orbiter e Parker Solar Probe. Illustrazione ESA/ATG medialab, NASA/Johns Hopkins APL


 

Immagine di copertina: ESA/ATG medialab

 

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