Lo scorso 28 febbraio, la rivista internazionale Science ha pubblicato Aminoalkyl radicals as halogen-atom transfer agents for activation of alkyl and aryl halides, una ricerca condotta dall’Università di Manchester che dimostra il ruolo fondamentale delle ammine nei processi di fotocatalisi.

Coautore dello studio è Alessio Regni, studente iscritto al quinto anno del corso di laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche dell’Università di Urbino. La partecipazione al programma Erasmus+ Traineeship ha permesso ad Alessio di collaborare col team di ricerca del Dipartimento di Chimica dell’Università di Manchester e di contribuire ai risultati ottenuti.

 

Alessio, complimenti! Sei iscritto al quinto anno di CTF e hai già cofirmato un articolo su Science! Per noi è un fatto eccezionale, per te?

Grazie mille e grazie anche della possibilità di parlare a tutti gli studenti di Uniurb e ai miei compagni di studio. Per me si tratta di un traguardo estremamente importante! Premetto che ho contribuito a sviluppare la ricerca all’interno di un team eccezionale con il quale ho avuto la fortuna di collaborare.

 

Quando ho scoperto che lo studio sarebbe stato pubblicato da una rivista con “quel” fattore di impatto ho pensato si fosse realizzata la metà di un sogno! Con la possibilità di essere coautore dell’articolo, il duro lavoro è stato pienamente ripagato, cosa che non sempre accade, per cui mi sento anche po’ fortunato.

Com’è nata l’idea di partecipare al progetto Erasmus+ Traineeship e per quanto tempo hai collaborato col Dipartimento di Chimica dell’Università di Manchester?

Il progetto è partito alla fine del quarto anno di CTF, quando ho inviato la domanda online. L’idea era quella di acquisire il maggior numero di competenze riguardanti la Chimica Organica, in modo da dare un orientamento preciso al mio percorso formativo e poterlo spendere in maniera più mirata nel mercato del lavoro, dopo la laurea.

 

Devo dire che sono stato molto influenzato dal Dottor Michele Mari, giovane e appassionato ricercatore di Chimica Farmaceutica del nostro Ateneo, e dal Professor Giovanni Piersanti, docente di Chimica Organica. Entrambi mi hanno aiutato ad ampliare e perfezionare un certo bagaglio di conoscenze che nei laboratori di Manchester mi sarebbe certamente servito. Anche a distanza, mi hanno sostenuto nella realizzazione del progetto.
In Inghilterra, col team di ricerca ho collaborato per tre mesi, il massimo del tempo che potessi investire nell’impresa.

 

 A Manchester hai seguito, da subito, una specifica linea di ricerca?

Sì, in linea di massima sapevo quello che sarei andato a fare. Il gruppo di ricerca guidato dal Professor Daniele Leonori è specializzato nella fotocatalisi e nel coinvolgimento delle ammine in questo processo.
Provo a semplificare i concetti. La fotocatalisi è un processo ecosostenibile per mezzo del quale, attraverso l’azione della luce, una sostanza può modificare il proprio comportamento chimico, sia termodinamicamente (producendo nuove reazioni e reattività), sia cineticamente (accelerando le reazioni).

 

Le ammine sono composti chimici; sono un gruppo funzionale fondamentale sia in ambito biologico (basti pensare alle proteine, ai neurotrasmettitori ecc.), sia nell’ambito della sintesi organica (della costruzione, cioè, di molecole organiche attraverso processi chimici).
Noi abbiamo lavorato nel campo della chimica organica sintetica, sviluppando e ampliando l’utilizzo dei radicali delle alchilammine – facilmente accessibili dalle ammine stesse – nella formazione pratica e sostenibile di legami Carbonio-Carbonio, che sono lo scheletro delle molecole organiche.

Gli esiti di questo studio sono stati pubblicati da Science! Qual è l’obiettivo della ricerca?

Sicuramente dimostrare come, tramite l’utilizzo di ammine, si possano attivare gli alogenuri arilici e alchilici (un’altra tipologia di gruppi funzionali) e, quindi, dare prova dell’utilità delle ammine, soprattutto nei processi di fotocatalisi.

Quali risultati ha evidenziato l’indagine e quale impatto è possibile prevedere?

I risultati sono stati strabilianti! Abbiamo applicato con successo la fotocatalisi nell’attivazione di aryl e alkyl alogenuri (specie estremamente stabili e difficili da utilizzare come building block) per le formazioni Sp3-Sp3, Sp3-Sp2 e Sp2-Sp2 carbon-carbon bonds.

 

Sembra uno scioglilingua, ma quello che ho appena detto rende la fotocatalisi sempre più utilizzabile. Di sicuro questo studio avrà un impatto sulla prossima ricerca di base perché offre un’altra possibile spiegazione di ciò che accade in queste reazioni, porta alla sintesi di nuove molecole, contribuendo soprattutto a un cambio di pensiero.

 

Per un’applicazione pratica e specifica occorrerà ancora del tempo, ma nel prossimo futuro si realizzerà anche quella di sicuro. Si tratta, infatti, di una tecnica ecosostenibile, estremamente “green”, che produce meno scarti perché impiega reagenti poco pericolosi e crea condizioni di reazioni meno “estreme”, quindi a temperature più basse, con livelli di pressione contenuti, e attraverso l’utilizzo di reagenti più blandi.

Di quali aspetti della ricerca ti sei occupato?

Ho lavorato molto sia all’ottimizzazione delle reazioni, nello specifico – per gli esperti – all’arilazione e all’alchilazione di composti eteroaromatici, sia al loro “scope”. Due fasi importanti della ricerca; la seconda in particolare perché serve a dare prova della duttilità e della tolleranza della metodica sviluppata. Serve cioè a capire con quali e quanti composti differenti la tecnica dà i risultati sperati.

 

Diamo i voti! Da 1 a 10, in che misura la formazione acquisita nei quattro anni di studio a Urbino ha sostenuto il tuo lavoro di ricerca nei laboratori dell’Università di Manchester?

Bella domanda! La preparazione che mi ha dato l’Università di Urbino è stata fondamentale, senza il background costruito nelle aule e nei laboratori di questa città non avrei mai potuto scegliere di fare un’esperienza di ricerca all’estero così impegnativa.
La cosa che vorrei evidenziare il più possibile in questa chiacchierata è la grande disponibilità di tutto il corpo docente e dei ricercatori verso gli studenti, e le tantissime opportunità che l’Ateneo offre ai suoi iscritti!

 

Io posso parlare solo per il mio corso di laurea ovviamente, ma voglio dire ai ragazzi e alle ragazze che lo frequentano di sfruttare queste occasioni, di cercarle e di mettersi in gioco.
Il segreto per raggiungere l’obiettivo è impegnarsi e stringere un po’ i denti. Quello che viene dopo è una soddisfazione grandissima.
Quindi per rispondere alla domanda direi un bel 10, più che meritato!

Qual è la tua aspirazione professionale e dove ti immagini dopo la laurea in CTF?

Il mio sogno è continuare a fare ricerca nell’ambito della chimica organica. Mi piacerebbe tentare la strada del Dottorato di ricerca, ma ho ricevuto diverse proposte legate alla mia formazione e alle mie competenze, per cui dovrò riflettere molto e con attenzione. Devo dire che sono molti gli sbocchi lavorativi di questa laurea: incredibile!

Da piccolo qual era il tuo sogno?

Di fare lo scienziato! Ovviamente giocavo al “piccolo chimico” e mamma era sempre spaventatissima dagli intrugli poco rassicuranti e a rischio esplosione che mettevo insieme. Ho sempre avuto la necessità di spiegare il mistero delle cose che vedevo e toccavo e di esplorare l’ignoto. Crescendo, questo bisogno si è legato sempre più al desiderio di fare ricerca per aiutare, migliorare e salvare vite umane.

Se tra vent’anni ti dicessi “Uniurb”?

Tra vent’anni sarò ricercatore. Mi vedo così. Quindi ti direi che Uniurb mi ha messo le ali!
Ho un legame speciale con l’Università e con la città; ormai mi sento un po’ “urbinate”, quindi, non mi dispiacerebbe trovare uno spazio da queste parti. Ma, ovunque queste ali mi porteranno, di una cosa sono sicuro: che grazie a Uniurb la mia passione diventerà anche una professione!

 

E tra vent’anni ringrazierò ancora il Professor Daniele Leonori, Timothée Constantin e il Dottor Fabio Julia Hernandez, che sono stati i miei punti di riferimento per tutta la durata del progetto di ricerca e tutti gli amici con cui ho collaborato a Manchester. E ringrazierò sempre la grande famiglia dell’Università di Urbino, in particolare il Professor Piersanti, Michele Mari e tutti i ricercatori della Scuola di Farmacia del nostro Ateneo.

 

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