Sapete? Anche la Pop Art è digitale! C’era una volta Andy Warhol e un computer Amiga 1000. C’era quando non c’era internet, nell’eden informatico dei favolosi ‘80. La scoperta è recente e riguarda una serie di floppy disk, emersi per caso dagli archivi della Fondazione Warhol, che svelano riproduzioni pixelate di alcuni capolavori dell’artista. Insomma, era il 1985 e successe che i visionari della Commodore International intuirono il potenziale artistico dei primi home computer e coinvolsero il re della Factory in una serie di sperimentazioni che aprirono la strada alle complesse strutture della new media art, oggi delizia e profitto degli esclusivi vernissage di tutto il mondo.

In effetti l’arte, anche italiana, è sempre più digitale e così si avviano a essere la conservazione, la valorizzazione e la comunicazione dell’intero patrimonio culturale nazionale. Tant’è che la Scuola a Rete in Digital Cultural Heritage, Arts and Humanities, a cui partecipa anche l’Ateneo di Urbino, fonda la propria origine sull’obiettivo di divulgare i fondamenti di una cultura digitale affidabile e qualificata attraverso metodologie formative e percorsi didattici ad hoc.

Della Commissione DiCultHer della Carlo Bo, fa parte la Professoressa Maria Elisa Micheli; con lei e con la Professoressa Anna Santucci, Direttore scientifico del Museo dei Gessi di Urbino, abbiamo voluto riflettere sulle applicazioni delle nuove tecnologie ai beni culturali, anche in vista di due eventi che si terranno a Palazzo Albani. Nel dettaglio: il 21 aprile alle 17, La Venere de’ Medici alla luce dei recenti restauri di cui sarà relatore Fabrizio Paolucci, Direttore del Dipartimento di Antichità Classica delle Gallerie degli Uffizi di Firenze; il 28 aprile alle 17, Il Bacio Capitolino raccontato dalla Professoressa Maria Elisa Micheli.

Qual è la riflessione che ha sollecitato l’ingresso dell’Ateneo di Urbino nella Rete Digital Cultural Heritage, Arts and Humanities?

Maria Elisa Micheli Come ha già ben indicato Laura Gardini, chair del gruppo DiCultHer di Urbino, la Rete Digital Cultural Heritage, Arts and Humanities riunisce oltre 60 soggetti tra università, enti di ricerca, istituti di cultura associazioni e altre organizzazioni. L’Ateneo di Urbino partecipa ad un’esperienza allargata, connessa con le varie realtà territoriali, per rispondere anzitutto all’esigenza di giusta conoscenza del patrimonio culturale, diffondendola e anche valorizzandola tramite competenze digitali in una rete fortemente interattiva, aperta quindi all’innovazione.

In che modo le nuove tecnologie trovano applicazione nelle arti, nella conservazione e nella valorizzazione del patrimonio culturale?

Anna Santucci Le risorse digitali sono strumenti imprescindibili nel campo del patrimonio culturale, materiale e immateriale che esso sia; ne accompagnano di fatto tutto l’iter che dalla ricerca specialistica conduce all’edizione, alla conservazione, alla valorizzazione e alla corretta divulgazione. Documentare, analizzare, narrare possono essere considerate le parole chiave entro cui racchiudere le innumerevoli specificità applicative della cultura digitale. Importante, quindi, è avere chiaro l’obiettivo del proprio intervento al fine di selezionare di volta in volta, con ragionevole opportunità, le risorse digitali adeguate senza cadere nell’inganno di una vetrina talora dispendiosa e fine a se stessa.

La Scuola Rete DiCultHer e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo hanno firmato un protocollo d’intesa nell’ambito del piano nazionale per l’educazione al patrimonio culturale. Come si educa la smart society al patrimonio culturale?

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La Professoressa Maria Elisa Micheli

Maria Elisa Micheli Priorità di un sistema (universitario ma, in allargato, sociale) è fornire basi e strumenti critici per interpretare i processi di trasformazione e svolgere quell’attività scientifica che, individuate le linee culturali, le partecipa nella smart society riuscendo appunto a stare al passo con i tempi e, nel caso del patrimonio culturale, a renderlo identitario e globale insieme.

 

Anna Santucci Il punto nevralgico e strategico rimane comunque, a mio avviso, quello dei contenuti: qui si gioca la vera educazione della smart society, salvaguardando la formazione dei giovani, più in particolare, dalla cultura del ‘copia e incolla’.

Sono previste iniziative future legate al DiCultHer?

Anna Santucci Per quanto concerne il Museo dei Gessi senza dubbio. La tipologia stessa di questi materiali si presta a molteplici declinazioni nell’ambito delle culture digitali, ancor di più nella prospettiva della valorizzazione e divulgazione. È in programma, ad esempio, la creazione di un sito dedicato al Museo, e se il prossimo anno sarà confermata la formula prevista per l’edizione #SCUD2016 (ovvero il concorso Crowddreaming: i giovani co-creano cultura digitale), mi piacerebbe sviluppare un progetto con gli studenti del Liceo Artistico-Scuola del Libro: i saperi specialistici sono una risorsa per riavvicinare i giovani a quegli stessi materiali sui quali, benché con modalità diverse, si sono formati, per intere generazioni coloro che li hanno preceduti, a Urbino come ovunque in Europa.

Come nasce il Museo dei Gessi?

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La Professoressa Anna Santucci

Anna Santucci Il Museo dei Gessi, benché non formalmente istituito come tale, nasce a Palazzo Albani nel 1988 quando Carlo Gasparri, allora Direttore dell’Istituto di Archeologia, valorizzò in un allestimento aperto al pubblico questa piccola, ma pregiata raccolta di calchi in gesso da sculture antiche o all’antica. Si tratta di calchi appartenuti all’Istituto di Belle Arti delle Marche, fondato a Urbino nel 1861, i quali furono concessi in deposito all’Istituto di Archeologia, attorno alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, dall’Istituto Statale d’Arte (odierno Liceo Artistico ‘Scuola del Libro’) che ne conserva tuttora la proprietà.
Sono statue che hanno fatto la storia della cultura occidentale, e non solo da un punto di vista artistico. Continuano ad essere davanti ai nostri occhi molto più spesso di quanto si pensi: il punto è che non siamo più in grado di riconoscerle quando fanno capolino negli spot pubblicitari che invadono il nostro quotidiano o nei set hollywoodiani che le usano con scarso discernimento. Perfetti (s)conosciuti, per l’appunto, è stato il titolo della lettura inaugurale nell’ambito del breve ciclo Giovedì al… Museo dei Gessi.
In questo senso, visitare il Museo è, oserei dire per tutti, una piacevole sorpresa, come testimoniano i commenti lasciati da quanti vi sono passati, ma soprattutto è un’occasione per riconoscere la nostra storia, se da questa veniamo, o per conoscerla, se a un’altra storia si appartiene.
Il percorso espositivo proposto dal nuovo allestimento, inaugurato nel 2012 a seguito delle ristrutturazione di Palazzo Albani, è organizzato su due ambienti tematici, con il mondo degli dei e degli eroi nel primo e il mondo degli uomini nel secondo, uomini colti nelle loro distinte condizioni (vincitori vs vinti, intellettuali vs atleti). All’interno delle due sezioni i gessi sono ordinati secondo l’inquadramento cronologico delle opere, in marmo o bronzo, da cui dipendono, le quali sono brevemente richiamate dalle didascalie poste a corredo dei gessi stessi.

La Venere de’ Medici alla luce dei recenti restauri e Il Bacio Capitolino si inseriscono in uno specifico ciclo di eventi?

Anna Santucci Sì. Come ho in parte anticipato, si tratta di un breve ciclo di letture intitolato Giovedì al… Museo dei Gessi, che è stato avviato la scorsa settimana con il mio intervento Perfetti (s)conosciuti: antichità classiche dalla riscoperta ad Hollywood, ma di fatto è stato inaugurato dalla presentazione del video Il potere delle immagini: documentare, analizzare, narrare nel tempo della cultura digitale, prodotto in occasione della prima edizione della Settimana delle Culture Digitali, 4-10 aprile 2016. Una demo del video è disponibile nel sito DiCultHer, ma si potrà assistere alla proiezione integrale (della durata di 15 minuti) nel Museo dei Gessi in occasione dei prossimi incontri in programma.

Il Direttore del Dipartimento di Antichità Classica delle Gallerie degli Uffizi di Firenze, Fabrizio Paolucci, farà il punto su La Venere de’ Medici alla luce dei recenti restauri. Un breve ragguaglio in anteprima per Uniamo?

Anna Santucci La Venere de’ Medici è tra le statue più emblematiche del percorso culturale cui facevo riferimento. Ha incarnato per secoli l’ideale della bellezza femminile, dal tempo della sua scoperta a Roma (poco prima della metà del Cinquecento) ai primi decenni dell’Ottocento, quando fu per certi aspetti detronizzata dalla Venere tornata alla luce nell’isola di Milo nel 1820.
La fortuna della Venere de’ Medici fu (ed è) indissolubilmente legata alla Tribuna degli Uffizi, dove fu sistemata nel 1678: la sua immagine è stata moltiplicata nel tempo in tutte le forme possibili. Nonostante l’enorme fama e la vastissima letteratura che le è stata riservata, la Venere è stata però oggetto di vivaci dibattiti scientifici e controverse interpretazioni incentrate, più in particolare, sulla sua base che reca un’iscrizione in caratteri greci: antica, moderna o antica ma manipolata in epoca moderna? I recenti restauri, condotti sotto la direzione scientifica di Fabrizio Paolucci, Direttore del Dipartimento di Antichità classica delle Gallerie degli Uffizi, permettono oggi di chiarire molti di questi aspetti, ma non solo. Potremo apprezzare, infatti, la Venere anche nella sua componente policroma non più visibile a occhio nudo: il potere delle immagini digitali!

Professoressa Micheli, perché ha scelto di raccontare Il Bacio Capitolino?

 Bacio Capitolino è la denominazione data fin dal Settecento al marmo che traduce a tutto tondo l’abbraccio tra Eros e Psiche: un piccolo gruppo che visualizza un momento di una storia celebre dall’antichità ai giorni nostri, grazie anche al suo carattere di ‘favola bella’. Realizzato in età medio-imperiale e derivato da una creazione di periodo ellenistico, il gruppo, che umanizza le divinità, coglie un momento poco rappresentato visivamente: un po’ come i ‘baci censurati/tagliati’ nel Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore. Ripercorrere storia e fortuna della scultura è anche un modo per seguire le modalità della sua pervasiva incidenza nella cultura europea, attuata attraverso media diversi, precursori della moderna moltiplicazione (e manipolazione) digitale delle immagini.

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