Emanuele Zinato la chiama “oscillazione tra fuga e ritorno”. I due estremi della pendolarità di Paolo Volponi rispetto al punto fermo della sua città, Urbino, “la nemica figura che mi resta”, “che io non posso fuggire”, eppure quella che – scrive – “dovrei lasciare”. Nei giorni e nell’anno del centenario dalla nascita una mostra e un convegno, l’avvio di una serie di iniziative che accompagneranno tutto il 2024, riporteranno sul ritorno la traiettoria di questa oscillazione.

 

Professor Ritrovato che cosa succederà a partire dal 6 febbraio 2024?

Nel giorno del compleanno di Paolo Volponi, appunto il 6 febbraio, inaugureremo la mostra Paolo Volponi. Un itinerario nella vita e nell’opera. Nel pomeriggio si apriranno invece i lavori del convegno di studi Paolo Volponi. Le carte, l’opera, la polis. Senza dimenticare la scopertura della targa ad opera del Comune a casa Volponi. Questo è l’inizio delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore urbinate. Si è costituito anche un Comitato nazionale presieduto dal Rettore Giorgio Calcagnini.

Fermiamoci alla mostra, che è la prima iniziativa a celebrare un autore così complesso e ricco di sfumature.

L’allestimento a cura di Caterina Volponi (cui va il nostro più sentito ringraziamento per la generosità e disponibilità), del sottoscritto, di Alessio Torino, Elena Baldoni, Marcella Peruzzi, Alberto Fraccacreta, Sara Serenelli e Ursula Vogt, nella veste grafica realizzata dall’ISIA di Urbino, durerà fino al 13 dicembre 2024. Attualmente ci troviamo in una delle sale allestite a Palazzo Passionei Paciotti. Qui raccontiamo il Volponi politico, il Volponi che scrive i discorsi parlamentari. Devo subito precisare tuttavia che Volponi quando scrive è sempre “politico”. Lui stesso diceva che scrivere è fare politica. Ad ogni modo questa è una delle sale della mostra, che si articola in 28 teche, distribuite in 9 ambienti e due piani di Palazzo Passionei, destinate a mettere in luce i tanti aspetti che compongono la vita è l’opera di Volponi poeta, romanziere, dirigente, uomo politico e collezionista d’arte.

Che cosa viene esposto e da dove proviene questo materiale?

Abbiamo manoscritti, dattiloscritti, foto, video, musicassette e testi. Ci sono molti documenti inediti che provengono dal Fondo Volponi, donato all’Università di Urbino dall’erede, la figlia Caterina, e che entrano a far parte della biblioteca digitale Sanzio Digital Heritage.

Qual è il visitatore per il quale avete pensato questo percorso?

Proviamo a raccontare Paolo Volponi con rigore critico, pensando non soltanto agli addetti ai lavori ma anche a un pubblico eterogeneo di studenti e di curiosi. Il registro è biografico-documentale. Abbiamo cercato di ricostruire un profilo puntuale di Volponi intrecciando opera, affetti, slanci e battaglie politiche.

Che cosa ci dicono di nuovo le teche di questa mostra?

A volte bozze e correzioni possono illuminare meglio il tragitto. Il materiale è vastissimo. Dal punto di vista contenutistico al centro del suo pensiero c’è sempre l’uomo, l’altro. Io sono per l’industria – diceva – ma l’industria deve avere al centro l’uomo.

In mostra ci sono molte foto, alcuni scatti storici di Mario Dondero e altre immagini della collezione di famiglia. Poi abbiamo soprattutto manoscritti, cartoni preparatori… Perché?

È strano per un dirigente Olivetti, ma Volponi non scriveva i suoi testi a macchina, li dettava. Per sé scriveva a mano, oppure appuntava audio nei nastri.

La scrittura a mano ha reso più difficile l’interpretazione dei testi?

No, la sua scrittura è nitida, anche quando prende appunti veloci. Ci sono ad esempio poesie fissate sulla carta intestata del Senato della Repubblica, su fogli piccolissimi. Tutte testimonianze di un’incontenibile vena creativa, di uno scrittore lavico, appassionato, che sperimenta e conserva tutto minuziosamente.

Qual è il ritratto più privato che emerge?

Nel privato ci sono la sua famiglia e la famiglia di origine, la fabbrica di mattoni del padre, un rovello, soprattutto negli anni difficili della guerra. Poi gli amici, quelli con cui giocava a tresette. I maestri, per l’esattezza tre. Carlo Bo, che considerava un padre letterario. Nel 1947, ancora 23enne gli porta le prime poesie, che verranno pubblicate proprio con la prefazione di Bo. Olivetti, conosciuto grazie allo stesso Bo e a Fortini. Figura chiave sia per il Volponi scrittore sia per il Volponi uomo. Colui che lo farà diventare dirigente a Ivrea dopo un periodo di gavetta in Sicilia e in Calabria, dove conoscerà tra gli altri Carlo Levi e Scotellaro. Pasolini, quasi coetaneo, che lo mette sulla strada della letteratura e gli dà consigli senza prevaricarlo, il vero letterato a tempo pieno, a differenza sua che deve svolgere un altro lavoro. Nella mostra abbiamo una lettera firmata da Pier Paolo, Morante e Moravia inviata dall’India e indirizzata a Giovina e Paolo Volponi e c’è anche un piccolo quadro di Pasolini.

Gli altri carteggi fra le teche di questo percorso con chi sono?

Diverse le lettere a editori, da cui fu molto conteso. Al secondo piano c’è una doppia edizione di Corporale, conteso da Garzanti ed Einaudi. Una vicenda finita anche nei tribunali. Al di là dell’aspetto più personale, queste lettere ci consentono di constatare quanto sia cambiato il rapporto fra editori e scrittori, oggi forse filtrato da troppe mediazioni di natura commerciale. Nel ricostruire l’opera di Volponi è possibile notare un’editoria più attenta all’autore e meno alle indagini di mercato…

Prima ha citato anche la presenza di video. A che cosa faceva riferimento?

Abbiamo inserito nel percorso video-interviste presenti sul web e in possesso di collezionisti. Ce n’è una molto nota, rilasciata alla Rai, nella quale Volponi commenta La Flagellazione di Piero della Francesca, un capolavoro attraverso il quale egli entra nella dimensione più ampia e universale della cultura umanistica.

Se il suo pensiero ruotava attorno ad un centro, l’uomo, che idea aveva Volponi della letteratura e del suo ruolo?

Già dalla metà degli anni ‘60 in alcuni interventi pubblici dichiara che la letteratura deve irrompere e rompere la realtà, mettere in discussione ciò che c’è di assodato, farci vedere criticamente le cose. Ha pertanto un valore politico, nel senso però originario del termine, in relazione cioè alla polis.

Il suo antropocentrismo può essere indice di una visione “comunista” ma non ideologica della storia?

Lui si professa comunista e fa riferimento con questa definizione a un mondo di giustizia e libertà. Questo è il suo comunismo mentre assiste alla degenerazione dei rapporti industriali, al passaggio dal capitalismo di produzione a quello finanziario. Nella sua visione di società “comunista” cerca di contemperare anche la sfida utopica di un’industria non al servizio del capitale ma al servizio dell’uomo, secondo la lezione di Adriano Olivetti. Quel che colpisce in lui è però una cosa inattuale e attualissima al tempo stesso: Volponi, fino in fondo, crede a quel che fa e scrive.

 

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