Uno dei più grandi matematici di tutti i tempi scriveva: “Niente è più importante che poter osservare le fonti dell’invenzione, che sono, a mio parere, più interessanti delle invenzioni stesse”. Siccome Leibniz, l’autore, era anche filosofo e scienziato possiamo dedurre che non fosse troppo distante dalla verità. Osservare le fonti è un po’ come essere nel backstage di un film. È un privilegio assoluto! È entrare in una nuova realtà che sta per nascere. Vi regaliamo questa esperienza attraverso il racconto del professor Achille Cappiello, docente dell’Università di Urbino, che da 20 anni ha geolocalizzato l’innovazione tecnologica in pieno centro storico, a Urbino. E che, assieme al suo gruppo di ricerca e alla professoressa Pierangela Palma, ha vinto il The Analytical Scientist Innovation Award (TASIA).
Nel 2016 – spiega il professor Cappiello – abbiamo pubblicato i risultati del LEI (Liquid-EI), il prototipo di una macchina molto sofisticata basata sulla spettrometria di massa e in grado di identificare le molecole presenti anche in quantità piccolissime di campione. Attraverso questa strumentazione riusciamo a risalire alla composizione di molecole organiche (ormoni, pesticidi ecc.) che contengono carbonio o che sono presenti negli esseri viventi. Il grande vantaggio che abbiamo raggiunto sta nel fatto che la macchina è molto flessibile e riesce a individuare molecole diverse tra loro. Proprio per queste sue caratteristiche, che non hanno precedenti, LEI ha trovato spazio nella rivista più prestigiosa del settore: Analytical Chemistry.
Questa tecnologia potrà portare cambiamenti nella vita delle persone?
I benefici che sarà possibile trarne sono tanti: riguardano la biochimica ambientale, la sicurezza alimentare, l’anti-terrorismo, la medicina diagnostica, la scienza forense. LEI permette di conoscere con esattezza il livello di inquinamento, di ri-conoscere la presenza di contaminanti negli alimenti, oppure di ottenere maggiori informazioni sull’andamento di una malattia. Potrà essere di supporto alla giustizia: questa macchina consente, per citare un esempio, di stabilire qualità e quantità delle cosiddette droghe da stupro.
Su quale applicazione vi siete concentrati con il vostro gruppo di ricerca?
In campo ambientale ci siamo dedicati molto all’analisi dei pesticidi. L’altro filone sperimentale è stata la vitamina D, molecola di difficile analisi ma il cui studio ha ricadute davvero interessanti.
Chi c’è nel suo team?
Attualmente con me ci sono 2 ricercatori, 1 tecnico, 1 assegnista, 1 dottorando. Il numero complessivo è variabile dato che coinvolgiamo molti studenti dei corsi di laurea triennali e magistrali.
Qual è la formazione tipo?
Siamo chimici, biologi, ambientalisti. Eppure il nostro lavoro quotidiano richiede una conoscenza approfondita dei principi della fisica e dell’elettronica. La realizzazione di strumenti di analisi chimica necessita di un ampio background. Non bastano l’invenzione, il brevetto, non ci si può fermare a questo. La strumentazione deve anche avere affidabilità. Certamente all’inizio c’è il prodotto originale della ricerca, la soddisfazione per aver raggiunto un determinato traguardo scientifico, tuttavia non è sufficiente. Nel nostro caso, a partire dal brevetto depositato qualche anno prima, abbiamo messo insieme le diverse parti di LEI dovendo immaginare e disegnare ogni singolo elemento.
Come e dove avete reperito i materiali per la costruzione di LEI?
Per la realizzazione dell’idea iniziale si sono rivelate indispensabili le collaborazioni internazionali. Al momento abbiamo il supporto di Agilent Technologies, grande azienda del settore con sede a Santa Clara, in California, che ci ha fornito materiali e borse di studio per il valore di circa 1 milione di euro. Questa società continua a essere al nostro fianco anche adesso che stiamo perfezionando la macchina in maniera tale che sia trasportabile, che dia risposte in tempo reale e che possa un giorno finire sul mercato.
In Italia l’intervento dei privati nella ricerca scientifica non gode di troppi simpatizzanti. Perché?
A mio avviso si tratta di un pregiudizio di carattere ideologico. Il contributo che i privati possono dare allo sviluppo scientifico è eccezionale. Anzitutto perché ti tiene con i piedi ben piantati a terra evitando, laddove è possibile, sprechi di energie e risorse. Poi perché non interferisce con la libertà nel fare ricerca. Il contributo di cui parlo è infatti successivo alle prime sperimentazioni, arriva solamente nella fase finale. Un laboratorio come quello che coordino d’altra parte ha dei costi elevati: non poter più contare su investimenti privati significherebbe non poter più fare ricerca ad alti livelli. La libertà è uno dei motivi che mi lega ad Urbino: la mattina, quando entro nel mio laboratorio, nessuno mi dice che cosa devo fare. La libertà è un valore prezioso.
Fare ricerca è collezionare tentativi, ma è anche quel momento esatto in cui ti rendi finalmente conto di esserti spinto fin dove nessuno era arrivato prima.
È così. Tanti tentativi finché non senti addosso un’emozione, solitamente accompagnata da una frase tanto rudimentale, quanto vera e liberatoria: “ragazzi… funziona!”.
Che cosa si aspetta da Liquid-EI?
Mi aspetto moltissimo: è una strumentazione unica nel suo genere e molto versatile. Potremo applicarla all’analisi di moltissime molecole organiche e siamo aperti a collaborazioni interne ed esterne.
Professore, perché lei e Pierangela Palma per un triennio sarete Adjunct Faculty presso la Vancouver Island University (VIU)?
Da alcuni anni il nostro gruppo di ricerca collabora con quello del professor Chris Gill, della Vancouver Island University (VIU), Nanaimo, BC, Canada. Questa collaborazione ha prodotto pubblicazioni scientifiche e ha incentivato la mobilità del personale accademico, dei docenti e degli studenti tra le due Università. La prossima estate Pierangela Palma ed io ci recheremo alla VIU per proseguire le ricerche già iniziate nel campo dell’analisi ambientale utilizzando LEI. Il conferimento dello status di Adjunct Faculty ci fa onore e serve a corroborare e a facilitare le relazioni tra i due gruppi di ricerca.
Che tipo di reazione a catena ha generato l’arrivo di LEI nel grande network accademico internazionale?
La collaborazione con VIU ha permesso la creazione di un corridoio di scambio tra Italia e Canada. Inoltre, ad aprile, avremo tra noi una dottoranda della Repubblica Ceca, interessata alla valutazione delle applicazioni della macchina nello studio degli acidi grassi. A settembre invece una dottoranda iraniana… grazie al lavoro svolto, il laboratorio dell’Università di Urbino è divenuto il punto di arrivo di tanti ricercatori, visiting scientist, invited professor. Io e la professoressa Palma, infine, siamo stati inseriti nel progetto canadese Foundation for Innovation 2017, che dovrebbe portare alla costituzione di un nuovo centro di ricerca presso la VIU: il Centre for Health and Environmental Mass Spectrometry (CHEMS): Development and Application of Portable MS-Based Technologies for Direct in-situ/ On-site and Point-of-Care Monitoring.
Quali consigli ha da dare ad un ricercatore?
Soprattutto se giovane, gli direi di essere aperto alla comunità scientifica internazionale, di sentirsi parte di una rete che non ha geografie.