Siete da poco atterrati a Pechino, appuntamento di lavoro. Riconoscete il vostro interlocutore all’aeroporto. Salutate con un cenno del capo, vi avvicinate. Dopo i primi convenevoli, con qualche parola abborracciata con un po’ di difficoltà, frugate nella valigia. E che cosa avete scelto per il vostro uomo? Un orologio. A questo punto il volto che vi sta di fronte si farà cupo. Dove sta l’errore, pensate. Il fatto è che un orologio in dono ad un cinese è come un crisantemo alla propria fidanzata italiana il giorno di San Valentino. Avete presente? L’espressione songzhong (regalare un orologio) significa infatti anche fine, morte. Ma l’errore a dire il vero non è tanto questo. Piuttosto questa è la conseguenza inevitabile per aver trascurato le usanze e le abitudini di un popolo. Un dettaglio che può far saltare un affare. Come non ricascarci? Uno degli antidoti è quello che sta prendendo forma a Urbino, dove il prossimo 5 novembre verrà inaugurata a palazzo Petrangolini l’Aula Confucio. Il Governo cinese, per divulgare e far conoscere lingua e cultura del proprio Paese ha impiantato in Italia gli Istituti Confucio. Ce ne sono in molte città italiane. Uno è a Roma e fa riferimento all’Università la Sapienza. Proprio da questo Istituto discende l’aula che sta per aprire i battenti all’Università di Urbino. “Il progetto – contestualizza la coordinatrice Gloria Gabbianelli – è finalizzato all’insegnamento della lingua e della cultura cinese. L’Hanban, l’ufficio affiliato al Ministero dell’Istruzione cinese, vuole in questo modo estendere capillarmente la conoscenza della Cina sul territorio”.
L’Aula. Questo spazio fisico sarà la base di corsi aperti a tutti, compresi naturalmente gli iscritti dell’Università che godranno di alcune agevolazioni. “Le attività si occuperanno di cultura, calligrafia e arti cinesi” dice Gabbianelli. “Oltretutto – riprende – organizzeremo anche eventi per avvicinare ulteriormente le persone al progetto. E’ estremamente importante presentare il mondo asiatico sotto una luce affrancata dallo stereotipo”. Non ci sono solo ragioni di carattere culturale, ma anche economico. “Abbiamo tante aziende che ci chiedono un supporto. Perciò spesso diamo risposte attraverso i nostri tirocinanti. Tuttavia – spiega la coordinatrice – l’offerta non è mai adeguata all’entità della richiesta. Per alcune realtà produttive, avendo già un tessuto economico in Oriente, l’esigenza è immediata”. Se è vero, come è vero, che negli ultimi 4 anni (al netto di ultime inflessioni di mercato) l’export di prodotti marchigiani verso la Cina è passato da 112,9 a 212 milioni di euro il perché non necessita di grandi argomentazioni.
La didattica. Ogni corso sarà tenuto da due docenti, uno italiano, l’altro madrelingua. L’insegnamento sarà inoltre strutturato in base al livello di conoscenza iniziale. “Diversificheremo l’offerta organizzando corsi per bambini e attivando convenzioni con le scuole superiori. Le lezioni frontali verranno arricchite dall’utilizzo di strumenti multimediali. I docenti verranno inoltre selezionati da un’apposita Commissione. Alla fine dei programmi, al superamento dell’esame di livello, – aggiunge la professoressa Gabbianelli – rilasceremo un attestato valido per l’accesso alle Università cinesi. Prossimamente poi daremo la possibilità di sostenere gli esami per l’HSK (Chinese proficiency test), la certificazione internazionale di competenza della lingua cinese ufficialmente riconosciuta dall’Hanban e per cui vengono messe a disposizione borse di studio”.
Confucio e Ricci: l’altro “made in China”. L’Aula Confucio, sicuramente utile a coloro che si occupano di impresa ed economia, ha un indubbio interesse culturale. “Attraverso la lingua dei simboli cinese – conferma la coordinatrice, che ha lavorato in collaborazione con la dottoressa Lucia Bernacchia – è possibile scoprire un mondo dal fascino indiscusso”. Eppure, il che è rafforzativo della convenienza del progetto, risalendo alla storia dei rapporti tra Marche e Cina si può trovare una matrice antica. Al di là infatti delle similitudini (sic!) fra le due culture e della penetrazione dello stesso Confucio nel pensiero occidentale, il nome di Matteo Ricci stabilisce un legame ancor più saldo. E’ incrociando il grande sinologo cinquecentesco (collocato al pari di Marco Polo) che questo lavoro diventa tradizione. Suo il motto che ancora oggi può evitare gaffes “da orologio”: “Farsi cinese coi cinesi”. Più che un ottimo consiglio.