Che sia un’iniziativa riuscita lo può testimoniare la popolarità del nome. Pochi non l’hanno mai sentito. Il Programma dell’Unione Europea, che risale al 1987 e punta a consolidare mobilità degli studenti e dimensione europea dell’istruzione superiore, è ormai entrato nel vocabolario comune. Eppure ciò che è pop è necessariamente conosciuto? Chiaro che no.
Storia di un Desiderio
Desiderio. È lo pseudonimo utilizzato da Erasmo da Rotterdam per le sue opere. L’umanista olandese, autore dell’Elogio della follia, tra Quattro e Cinquecento aveva viaggiato per l’Europa, si era laureato in teologia a Torino, era stato a Bologna, Venezia, Parigi, Cambridge, Basilea, Strasburgo e in tutte le grandi città dell’epoca. Il viaggio concepito come studio, per di più in un secolo in cui il Grand Tour era ancora lontano: questo era Erasmo, questo è Erasmus, ribattezzato così alla luce di questa straordinaria vicenda umana. Nel 1995 si approda al Programma Socrates/Erasmus, oggi Erasmus+ (la pronuncia è alla latina). Sono 33 i Paesi aderenti membri dell’UE, 4 i Paesi partner, cioè quelli che possono partecipare ad alcune azioni. Sono previste infine priorità per ogni settore individuato: Scuola; Educazione degli adulti; Istruzione Superiore; Istruzione e Formazione Professionale; settore Gioventù. L’elenco potrebbe sembrare generico, in realtà contiene obiettivi precisi, come la riduzione dei tassi di abbandono scolastico precoce al di sotto del 10% o l’aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo al 3% del PIL dell’UE. Per tornare alla storia, negli anni Erasmus ha formato milioni di persone, rendendo concreto l’essere europei in un Vecchio Continente ancora diviso nei due blocchi est/ovest. Per il settennio fissa sei “priorità politiche comuni trasversali”: gli obiettivi della Stategia Europa 2020; gli obiettivi Education and Training 2020; il riconoscimento delle qualifiche e trasparenza; l’educazione all’imprenditorialità; ICT e risorse educative a distanza; il multilinguismo.
Il Programma in numeri
La Commissione europea, nel settembre 2014, ha pubblicato uno studio sull’impatto di Erasmus. La ricerca, condotta da esperti indipendenti su quasi 80 mila partecipanti, ha prodotto dati molto eloquenti. Si sa per esempio che l’incidenza della disoccupazione a cinque anni dalla laurea, per gli studenti che partecipano al Programma, è inferiore del 23%. Oppure che il 92% dei datori di lavoro ricerca competenze che Erasmus riesce a potenziare o che il 64% dichiara di assegnare maggiori responsabilità a chi ha avuto esperienze
internazionali.
Erasmus+ e Traineeship
Sono due le tipologie di mobilità europea previste e che corrispondono a due bandi differenti. Da una lato il più classico Erasmus+ (vedi il bando in scadenza il 26 febbraio 2016), ossia gli studenti che vanno all’estero, dove proseguono il proprio percorso di studio sostenendo esami e per un periodo deciso di volta in volta negli accordi tra Paesi. Dall’altro Erasmus + Traineeship, il programma che consente di svolgere un tirocinio formativo all’estero per un periodo minimo di due mesi.
L’impatto sull’Università di Urbino
Nel 2014 la Carlo Bo ha ottenuto dalla Commissione europea l’Erasmus Charter for Higher Education (ECHE), una certificazione che elenca i principi e i requisiti qualitativi per la mobilità europea e la cooperazione internazionale. Ricercando tra i numeri in possesso del Servizio Ricerca e Relazioni Internazionali dell’Ateneo siamo riusciti a pesare il valore di questa iniziativa e il suo progressivo successo tra gli iscritti. Partiamo da 142 studenti che hanno aderito al Programma Erasmus nel 2010/2011. Nell’anno accademico 2011/2012 si sale invece a 163 e nel 2012/2013 a 195. L’exploit è del 2014/2015, quando sono addirittura 262 gli studenti. Facendo attenzione alla destinazione è la Spagna la più gettonata, seguita, nell’ultimo anno di cui si dispongono dati, da Germania e Francia. “L’Università di Urbino – dice il professor Walter Balduini, delegato Erasmus – sta incrementando anno dopo anno i numeri di Erasmus+, sia degli studenti in uscita sia di quelli in entrata. Per questi ultimi abbiamo perfezionato un sistema di accoglienza: i tutor, cioè coloro che hanno già partecipato al Programma, affiancano i nuovi arrivati, soprattutto nelle fasi iniziali. Li accompagnano anche in un tour per familiarizzare con i luoghi e le attività universitarie. Dipartimenti e Scuole, ad inizio corsi, presentano invece l’iniziativa a tutti gli iscritti. Per entrambi, studenti in entrata e in uscita, il Centro Linguistico di Ateneo (CLA) organizza infine dei corsi intensivi di lingua”.
Effetti collaterali
È fuor di dubbio, rileva il professor Balduini, “che i ragazzi reduci da questa esperienza tornino con un bagaglio di esperienza significativo: si sono misurati con luoghi che non conoscono, acquisiscono una mentalità più flessibile. Ciò poi li rende più appetibili per il mercato del lavoro poiché favorisce la capacità di problem solving”. Pensare che i benefici siano riservati soltanto a loro tuttavia è riduttivo. “Per l’ateneo Erasmus è internazionalizzazione. È utile tra l’altro a confrontare gli strumenti didattici con quelli di altre Università europee che, talvolta, utilizzano sistemi spesso diversi, impostati più sull’apprendimento teorico-pratico dello studente”.
Più Europa = più futuro
Fatti due conti Erasmus è ormai un mattone senza il quale il futuro “albergo Europa” non potrebbe stare nemmeno in piedi. Perché sia a cinque stelle, mancano però degli elementi importanti: “Bisogna ancora risolvere – conclude Balduini – la frammentarietà. Con il Processo di Bologna si è andati verso una standardizzazione degli accordi europei, ma serve maggiore integrazione”. L’Università di Urbino concorre a suo modo ad innalzare i livelli di condivisione: “Stiamo lavorando – conclude il professor Balduini – per ottenere una sezione dell’Erasmus Student Network (ESN) qui ad Urbino. Contiamo di arrivarci entro il 2016. Partecipando così ad una piattaforma sempre più estesa saremo in grado di ampliare la nostra dimensione europea e dare maggiori opportunità ai nostri studenti”.