Chiamatelo pure pioniere. La storia di Luca Renzi, professore associato di Letteratura tedesca dell’Università di Urbino è in effetti una sorta di scoperta: la scoperta dell’Europa. Uniamo ve la racconta in occasione dell’uscita del nuovo bando Erasmus, a cui è possibile partecipare fino al 31 gennaio 2018.
1987-2017, quest’anno il Programma Erasmus compie 30 anni e io – spiega il professor Renzi – sono stato tra i primi a partecipare. Anno 1988, Università di Tubinga, in Germania. Dal quel momento la mia vita è cambiata: grazie a Erasmus tutta una generazione è stata attraversata dal nuovo spirito dell’Europa.
Come è iniziata questa esperienza?
A Tubinga sono andato per lavorare alla tesi: Computer e scienze umane. A parlarmi per la prima volta del Programma Erasmus fu il mio professore, Aldo Venturelli, germanista che ha anche ricoperto l’incarico di direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Berlino. Ero già stato nella Germania dell’est un anno prima, ma per un periodo più breve. Dopo l’Erasmus mi sono fermato a Tubinga per 10 anni, assunto dall’Università come lettore.
Cosa è cambiato in questi 30 anni?
Nel 1988 Erasmus significava davvero staccare da tutto: dalla famiglia, dall’Italia, dagli amici. Non c’erano mail e cellulari per comunicare, l’Unione contava forse la metà dei Paesi e andare in Germania, benché non fosse la Germania dell’est (cioè una nazione sconosciuta dietro la cortina di ferro) non era per niente facile e scontato. Oggi si usa la stessa moneta, si rimane iperconnessi con tutti. Diciamo che tutto è molto più semplice. Inoltre il Processo di Bologna, basato sul sistema dei crediti ECTS (European Credit Transfer and Accumulation System), ha migliorato la mobilità degli studenti. Oggi Atenei come la Carlo Bo si sono dotati di un Ufficio Erasmus ed è nato Erasmus placement, il Programma che permette di effettuare uno stage formativo all’estero.
Che cosa è rimasto immutato?
Il fatto che Erasmus è un momento fondamentale per la formazione. Chi è stato in Erasmus padroneggia una lingua
straniera, sa muoversi in un Paese europeo, ha una visione più completa della realtà, anche a livello politico. Ma idealmente egli diventa soprattutto parte di quella nuova generazione di europei che non a caso è stata chiamata generazione Erasmus e che è la vera speranza della nuova Europa. Jean Monnet, prendendo atto del ruolo decisivo (colpevolmente sottovalutato) della cultura, o meglio delle differenze culturali nel processo di costruzione europea, citando Jack Lang, per lunghi anni ministro della cultura francese, affermò : “Se potessi ricominciare daccapo, inizierei dalla cultura”.
Per lei Erasmus che cosa è stato?
Come ho detto mi ha cambiato la vita. Nel periodo di soggiorno a Tubinga ho approfondito il tedesco, ho arricchito il mio bagaglio culturale. Soprattutto ho conosciuto quella che sarebbe diventata mia moglie.
Si dice che la cittadinanza europea derivi molto da questo Programma. È così?
Senz’altro è stato un passo in avanti notevole nel processo di integrazione. Tuttavia nel nostro Paese manca ancora la cultura di una formazione europea. Quando c’è però i risultati sono eccellenti. Cito sempre l’esempio di una studentessa della Carlo Bo che dopo l’Erasmus a Stoccarda è entrata a far parte di un grande gruppo automobilistico e oggi è manager d’azienda.
Qual è la risposta degli studenti nel nostro Ateneo?
I numeri di chi partecipa alle selezioni sono sempre molto elevati.
Numeri alleati della più grande sfida che l’Europa abbia mai conosciuto, la sempre maggiore integrazione degli Stati Membri dell’Unione, prima ancora che attraverso le leggi attraverso un popolo.
Immagine in evidenza: Fabrizio Verrecchia