Domani termina il ciclo di lezioni seminariali che chiude i programmi accademici di Analisi dell’opinione pubblica e Sistema Politico Europeo. Gli incontri, tenuti in modalità e-learning, sono destinati agli studenti del corso di laurea triennale in Scienze Politiche, Economiche e del Governo e del corso magistrale in Politica Società Economia Internazionali. Dovevano essere un piano b per motivi di forza maggiore. Invece si sono rivelati un’importante occasione. Il professor Ilvo Diamanti, titolare dei due insegnamenti, ci ha spiegato le ragioni di un’emergenza divenuta opportunità.

Perché ritiene che lezioni seminariali a distanza non siano state soltanto una risposta al distanziamento sociale?

Nei miei corsi ho sempre chiamato a parlare colleghi ed esperti dei settori di cui mi occupo da anni, quell’area che incrocia politica, società e comunicazione. Eppure le piattaforme di e-learning ci è hanno dato un vantaggio altrimenti impossibile: avere tantissimi relatori nell’arco di un solo mese. Gigi Riva, giornalista dell’Espresso, Marc Lazar, docente al Sciences Po di Parigi, Nando Pagnoncelli, country chairman di Ipsos, Lucio Caracciolo, direttore di Limes, Romano Prodi, che non ha bisogno di presentazioni, Giorgio Zanchini, giornalista Rai, Marco Damilano, direttore de L’Espresso, Vittorio Meloni, esperto di comunicazione che siede nei cda dell’Istituto Treccani, di Auditel e ADS. Nomi che, salvo poche eccezioni, erano già stati a Urbino ma che sarebbe stato impossibile avere in un ciclo seminariale con un calendario concentrato nelle ultime settimane dei corsi.

Questa situazione dunque almeno un aspetto positivo lo ha avuto?

Senz’altro l’e-learning – grazie anche al lavoro di Giada Fiorucci, collaboratrice del DESP che è anche stata mia dottoranda  – ha funzionato, ma va detto che non può essere un modello alternativo. L’emergenza ci ha fatto capire l’utilità del digitale. Senza lo stato di necessità sarebbe rimasta una parte collaterale nelle nostre attività, mentre adesso è centrale. Il dopo non sarà più come il prima. Quest’esperienza, ovviamente affiancata alla didattica in presenza, lascerà un segno profondo. Ma ripeto, nulla sostituisce il rapporto in aula con gli studenti. In futuro faremo lezione in una doppia aula, dove il digitale sarà un ulteriore medium per l’insegnamento.

La mia abitudine è fatta di lezioni in presenza ma dalla metà degli anni ‘80, durante il mio dottorato presso l’Università di Trento, ho iniziato a lavorare online, con il Cineca che elaborava i dati delle ricerche. Viaggiavo con un portatile in valigia di 8 chili. Oggi inizia una nuova fase.

Lei è un nostalgico delle lezioni frontali?

Devo dire che studenti e colleghi mi mancano moltissimo. Quando sei in aula a far lezione non sei solo: vedersi è esauriente, così ti esaurisci. La comunicazione funziona meglio quando è diretta e gli studenti che sono in aula con te sono anche tra di loro, realizzano la società, dentro gli spazi dell’Università e in quel luogo magnifico che è Urbino.

In politica, visto che il tema è stato al centro dei primi due incontri, che cosa cambia?

L’emergenza ha ridisegnato il ruolo della politica e delle politiche, intese come interventi di settore. I dati raccolti da Demos, l’Istituto di ricerca politica e sociale che dirigo a Vicenza e che mi serve per trovare risposte alle domande che mi pongo, sottolineano come in un clima di emergenza le opposizioni (indipendentemente da chi le rappresenti) siano messe in secondo piano e non piacciano. Si alimenta invece uno spirito di coesistenza e coabitazione, una solidarietà necessaria che spinge i cittadini a trovare riferimenti comuni. Le divisioni non sono apprezzate.

Ci sono numeri che non si aspettava di trovare negli ultimi sondaggi che Demos ha condotto?

Diciamo che non mi ero mai trovato di fronte al 70% dei consensi verso un Presidente del Consiglio. Una percentuale inconsueta, come inconsueta è la situazione che stiamo vivendo. Generata dalla paura e dalla vulnerabilità.

L’Europa, altro tema trattato dal ciclo seminariale, come sta attraversando questa fase?

L’Europa di cui mi occupo insieme ai miei collaboratori (Fabio Bordignon, Luigi Ceccarini, Martina Di Pierdomenico, Elisa Lello e Fabio Turato) è quella dell’opinione pubblica. L’atteggiamento degli italiani verso l’Ue va oltre il distacco, è di delusione, già da un po’ di anni. Storicamente, dopo un primo momento di entusiasmo, caratterizzato dal timore di non essere accolti, l’entrata nella moneta unica ci ha reso “europei nonostante”. In Italia abbiamo indici di fiducia più bassi rispetto alla media degli altri Paesi, eppure più dei due terzi, in caso di referendum per la fuoriuscita (la nostra Brexit), voterebbe no, per timore. Siamo eurotattici.

Domani l’ultima lezione sarà con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini. Il titolo scelto è di estrema attualità: Come il clima di opinione influenza la politica e le politiche.

Tratteremo delle questioni legate all’impegno istituzionale del Ministro, ma parleremo anche dei dati che emergono dal dossier sul consenso dei leader. Questo tuttavia non sarà l’ultimo incontro. In appendice, dopo la fine delle lezioni, torneremo sull’Europa con Paolo Gentiloni. In qualità di Commissario europeo per gli affari economici e monetari e di specialista di lungo corso della comunicazione, è il giusto punto di convergenza delle lezioni.

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